Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20963 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20963 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a BARLETTA il 30/09/1964
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, con ordinanza depositata il 23.01.2025, ha rigettato l’istanz di riparazione per ingiusta detenzione proposta da NOME la quale era stata sottoposta alla custodia cautelare in carcere dal 30.03.2017 e poi agli arresti domiciliari dal 02.02.2016 al 19.01.2021 per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990 dal quale poi era stata assolta per non avere commesso i fatti con sentenza della Corte di appello di Bari del 19.01.2021, divenuta definitiva.
La Corte territoriale rigettava l’istanza di riparazione ritenendo che il comportamento tenuto dalla ricorrente fosse idoneo ad integrare un’ipotesi di colpa grave, incompatibile con l’accoglimento della richiesta avanzata.
L’imputata, per il tramite dei propri difensori di fiducia, ha proposto due ricorsi.
2.1. Con il primo lamenta vizio di motivazione ex art. 606, co.1 lett. e) cod. proc. pen. in riferimento ad atti del processo indicati nel contenuto del ricorso. Il giudice del riparazione avrebbe infatti omesso di considerare quanto affermato in sede di merito dalla medesima Corte di appello di Bari la quale aveva escluso che la ricorrente, dopo l’arresto del genero COGNOME, avesse organizzato un incontro con gli esponenti delle due associazioni dedite allo spaccio di stupefacenti (quella tranese e quella cerignolana) al fine di chiarire le presunte responsabilità degli uomini del clan cerignolano in relazion all’arresto. Si contesta pertanto l’assunto secondo cui la COGNOME, atteggiandosi ad esponente del clan tranese, non si limitò solo a comprendere le ragioni di quanto accaduto al genero ma entrò volontariamente in contatto con il vertice del clan cerignolano, ossia il COGNOME.
2.2. La ricorrente affida il secondo ricorso a due motivi.
Con il primo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, co.1, lett. b) e lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla ritenuta condotta colposa della Lavecchia. I giudice della riparazione avrebbe valorizzato circostanze escluse o non provate dai giudici della cognizione al fine di negare la riparazione richiesta dall’istante. Nella specie, sottolinea come la Corte territoriale abbia erroneamente valorizzato le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME omettendo di dare conto alle intercettazioni svolt durante le indagini preliminari dalle quali emergeva che la ricorrente non conoscesse affatto i soggetti del sodalizio cerignolano.
Con il secondo motivo solleva vizio di motivazione ex art. 606, co.1, lett. e) cod. proc. pen. in riferimento alla soccombenza delle spese ed alla quantificazione delle stesse. La ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese fra le parti, alla luce dell’asserita sussistenza di “gravi ed eccezionali ragioni” che rendevano derogabile il principio della soccombenza. Inoltre, lamenta l’erroneità nella liquidazione delle spese,
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alla luce del generico riferimento della Corte a “parametri di valore”, senza l specificazione delle singole voci e dell’entità delle stesse.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria in cui ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
La decisione della Corte di merito è in linea con i canoni elaborati da questa Corte di legittimità. La nozione di colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod.proc.pen. ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va infatti individuata in quella condo che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale. A tale riguardo, il giudice del riparazione deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ed effetto” (Sez. 4, n. 3359 del 22 settembre 2016, COGNOME, Rv. 268952; Sez. 4, n. 9212 del 13 novembre 2013, Maltese, Rv. 259082; Sez. Un., n. 34559 del 26 giugno 2002, COGNOME, Rv. 222263).
Ancora, va ricordato che, sempre secondo i consolidati principi affermati da questa Corte di legittimità, il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclusi al fine di decide sulla sussistenza del diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010 , Rv. 247867 – 01; Sez. 4, n. 3895 del 14/12/2017, Rv. 271739 – 01).
Tanto premesso, la Corte territoriale sottolinea che, alla luce degli elementi emersi dalle sentenze di merito, seppur non sia stato dimostrato il ruolo della Lavecchia di diretta organizzatrice dell’incontro tra i due opposti clan, tranese e cerignolano, presso la propria
pizzeria, l’odierna ricorrente non aveva comunque esitato a prendere parte al suddetto incontro, rapportandosi direttamente con i capi dei sodalizi, dai quali aveva preteso chiarimenti in ordine all’arresto del genero. L’ordinanza impugnata rileva altresì come, nell’occasione, la Lavecchia era volutamente e consapevolmente entrata in contatto con il vertice della banda cerignolana, ossia con il COGNOME, individuo di elevatissimo spessore criminale, partecipando ad un secondo incontro con quest’ultimo, alla presenza di altro soggetto, tale COGNOME NOME, sempre appartenente al clan cerignolano, cui, secondo le dichiarazioni del collaborante COGNOME, aveva chiesto conto dell’arresto del genero, negandogli poi il pagamento della partita di stupefacente sequestrata. Precisamente, la Corte territoriale cita testualmente un significativo passaggio della sentenza assolutoria, secondo cui ( cfr. pag. 4 della ordinanza impugnata) ” non poteva escludersi che la predetta (La vecchia, ndr), sfruttando il rispetto nutrito nell’ambiente · malavitoso n confronti di suo marito COGNOME NOME e la sua fama di” donna con le palle” si sia fatta portavoce, presso il clan cerignolano, delle lagnanze di suo genero COGNOME circa i motivi del suo arresto e ciò al fine di evitare i pagamento della partita sequestrata sfruttando l’ausilio del correo COGNOME COGNOME che, così come dichiarato dal COGNOME e riscontrato dalle captazioni telefoniche innanzi elencate, era colui che, per conto dei tranesi manteneva contatti con il COGNOME, esponente apicale dei cerignolani”.
2.1. Orbene, sempre secondo l’insegnamento di questa Corte, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenu comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il diretto coinvolgimento nelle attività illecite (Sez. 4, n. 574 del 05/12/20 Rv. 287302; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Rv. 260397).
2.2. Nel caso di specie il giudice della riparazione ha ben spiegato la ragione per cui i comportamento dell’odierna ricorrente poteva essere interpretato come indizio di complicità. Infatti, la partecipazione della Lavecchia agli incontri presso la pizzeria “Bel INDIRIZZO” da lei gestita, in cui volontariamente entrò in contatto con le figure apicali del banda cerignolana (Cutolo), la circostanza che la donna si era direttamente rapportata con altro esponente del clan cerignolano, COGNOME Alessandro, contestandogli la responsabilità in relazione all’arresto del genero, nonché la decisione, al culmine del secondo incontro, di non pagare la partita di droga ceduta dai cerignolani al Peschechera, e poi finita in sequestro a seguito dell’arresto, sono tutti elementi che, a corretto avvi della Corte di appello, hanno indotto l’autorità giudiziaria a ritenere l’apparenza del pien inserimento della Lavecchia nell’associazione criminale tranese di cui ai capi d’imputazione.
Il secondo motivo del ricorso proposto dall’avv. COGNOME è infondato. Nel procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione, la parte soccombente deve essere condannata, anche ex officio, al pagamento delle spese processuali, nel caso in cui, a
seguito della costituzione del Ministero, sia stata rigettata la domanda di riparazione, salvo che lo stesso Ministero abbia chiesto la compensazione delle spese di giudizio
(Sez.4, n. 16867 del 30/01/2024, Rv. 286176; Sez. 4, n. 41307 del 02/10/2019, Rv.
277357). Nel caso di specie, l’Avvocatura generale si era costituita in giudizio ed aveva richiesto il rigetto del ricorso, pertanto, instauratosi il procedimento contenzioso tra
parti, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio della soccombenza nelle spese di cui all’art. 91 cod.proc.civ. Infine, con riferimento alla quantificazione de
spese, secondo la più recente giurisprudenza, il ricorrente ha comunque l’onere di indicare e dedurre se la liquidazione, anche considerata nel suo complesso, sia al disopra
dei valori medi e comunque non giustificata dalla attività difensiva, costituendo così un effettivo pregiudizio che costituisce la ragione della ricorribilità in Cassazio
(Sez. 6, n. 42543 del 15/09/2016, Rv. 268443 – 01; Sez. 2, n. 47860
del
14/11/2019,
Rv. 277894 – 01). Nulla è stato dedotto, al riguardo, dalla ricorrente, con conseguente infondatezza del motivo proposto.
4. I ricorsi vanno conclusivamente respinti. Segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla refusione delle spese nei confronti del
Ministero resistente, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in complessivi euro mille.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2025.