Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10481 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10481 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERENZIA il 02/02/1953
Ministero dell’economia e delle finanze
avverso l’ordinanza del 05/06/2024 della Corte d’appello di Perugia
Udita la relazione della Consigliera NOME COGNOME;
Lette le conclusioni depositate dalla Procura Generale, nella persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Perugia, con ordinanza depositata il 30 ottobre 2024, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da NOME COGNOME il quale era stato sottoposto, con ordinanza del 13 febbraio 2018, alla misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 416 bis cod.pen. e 74 e 73 D.P.R. 309/1990; tale misura si era protratta sino al 22 dicembre 2018, data in cui gli erano stati applicati gli arresti domiciliari; la misura era stata sostituita con l’obbligo di dimora il 7 febbraio 2009, il 27 febbraio 2009 con l’obbligo di presentazione alla p.g. e poi definitivamente revocata il 21 dicembre 2009.
Il COGNOME, dopo essere stato rinviato a giudizio per i soli reati relativi al traffico di stupefacenti, con sentenza del 23 febbraio 2021 del Tribunale di Perugia, era stato assolto perché il fatto non sussiste quanto al reato di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990, mentre veniva dichiarato non doversi procedere per gli ulteriori fatti, riqualificati quale ipotesi di cui all’art. 73, quinto comma, t.u. n. 309/1990.
La Corte territoriale rigettava l’istanza di riparazione, ritenendo che ostasse al riconoscimento del diritto la circostanza che il proscioglimento non era avvenuto con formula di merito, anche se per alcuni reati comunque idonei a sostenere la misura cautelare. Neppure si sarebbe potuta ipotizzare, ora per allora, una diversa qualificazione di tali reati.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, lamentando: vizio di motivazione ex art. 606, co. 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla valutazione di sussistenza di un comportamento ostativo all’insorgenza del diritto azionato; i Giudici del merito non avevano considerato che in capo al ricorrente, ai fini del reato associativo contestato, non erano mai emersi significativi elementi rivelatori di una volontà del Benincasa di partecipare al sodalizio. La Corte territoriale non aveva tenuto conto delle caratteristiche del reato associativo, omettendo di spiegare per quali ragioni potesse ritenersi integrata la condotta ostativa. La custodia cautelare era stata mantenuta per oltre 313 giorni di custodia in carcere e 47 giorni di arresti domiciliari ed erano state ingiustificatamente rigettate le ripetute istanze della difesa di revoca o sostituzione della misura custodiale; violazione di legge processuale con riferimento all’art. 125 cod.proc.pen. e vizio di motivazione in quanto il ricorrente aveva fatto presente che, con le reiterate richieste di revoca della misura cautelare, in nessun modo aveva concorso al mantenimento della misura, ma sul punto nessuna motivazione era stata fornita dalla Corte d’appello.
Il Procuratore generale ha concluso, con memoria scritta, per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, ove il provvedimento restrittivo della libertà sia fondato su più contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di queste sempreché autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà impedisce il sorgere del diritto, salvo che per l’eventuale parte di custodia sofferta soverchiante la pena che in astratto avrebbe potuto infliggersi per il detto reato, essendo irrilevante il pieno proscioglimento nel merito dalle altre imputazioni, sempre che non si versi in ipotesi di c.d. “ingiustizia formale” (Sez.4, 10/01/2024, n.8300; Sez. 4, n. 29623 del 14/10/2020, Russo, Rv. 279713; Sez. 4, n. 5621 del 16/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258607; Sez. 4, n. 31393 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257778; Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241855; nonché, anche per il riferimento al rilievo dell’eventuale “ingiustizia formale”: Sez. 4, n. 2058 del 15/02/2018, COGNOME; Rv. 273264; Sez. 3, n. 2451 del 09/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262396; Sez. 4, n. 44492 del 15/10/2013, Ca-turano, Rv. 258086; Sez. 4, n. 34661 del 10/06/2010, COGNOME, Rv. 248076).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, nella fattispecie in esame il richiedente si è giovato di una pronuncia di prescrizione alla quale non ha inteso rinunciare, pur avendone il diritto (art. 156 cod. pen.) esercitabile anche al fine di giovarsi della precondizione alla quale l’art. 314, cod. proc. pen., subordina l’accoglibilità della domanda di riparazione. Qualora il richiedente avesse voluto perseguire l’interesse alla riparazione del periodo di restrizione cautelare sofferto, in presenza di reati prescritti, avrebbe difatti dovuto, rinunciando alla prescrizione, chiedere e ottenere sentenza che, assolvendolo nel merito, al tempo stesso avrebbe conclamato l’ingiustizia della custodia cautelare.
3.Né una tale scelta avrebbe posto l’instante in una situazione d’irragionevole pregiudizio, stretto tra la necessità di assicurarsi, comunque, un esito penalmente favorevole e l’utilità di poter coltivare successivamente l’azione di ristoro per l’ingiusta detenzione; trattasi di due esigenze aventi lo stesso rango valoriale, di talché assicurandosi il soddisfacimento di una perciò stesso, si deve correttamente rinunciare all’altra (Sez. 4, n. 30404 del 05/07/2022, Maggi, non massimata).
Ove in presenza di rischio processuale l’imputato scientemente decida di avvantaggiarsi dell’effetto estintivo della prescrizione, la rinuncia, conseguente, alla possibilità di ottenere pronuncia assolutoria di merito, condizione necessaria per domandare in seguito l’indennizzo per l’ingiusta detenzione, non appare sotto alcun profilo irragionevole, trattandosi, per l’appunto di un effetto per così dire indesiderato ampiamente secondario rispetto al raggiunto primario obiettivo
dell’esonero dalla penale responsabilità (Sez. 4, n. 5621 del 2014, COGNOME, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 2058 del 2018, Dogaru, cit., in motivazione).
5. Al riguardo, si è altresì osservato che il proscioglimento per prescrizione richiede, pur sempre, una valutazione di merito, ancorché limitata alla verifica della inesistenza delle cause previste dal secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., che consente, già di per sé, di escludere l’ingiustizia della detenzione (Sez. 4 n. 34661 del 2010, COGNOME, cit.).
della Consulta si vedano, ex plurimis: Sez. 4, n. 2058/2018, Dogaru, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 5621/2014, COGNOME, cit., in motivazione).
Il ricorrente ignora la detta consolidata interpretazione dell’art. 314 cod. proc. pen., della quale la Corte territoriale ha invece fatto buon governo, e non tiene conto che non ricorre neanche un’ipotesi di “ingiustizia formale”.
L’ordinanza impugnata, difatti, come del resto confermato dallo stesso ricorrente, oltre a ritenere non configurata una “ingiustizia formale”, ha rigettato l’istanza perché il richiedente, pur assolto nel merito da alcune imputazioni sottostanti all’applicata misura cautelare, è stato prosciolto, per essersi i reati estinti per prescrizione, da altre imputazioni (detenzione a fine di spaccio, qualificati ai sensi dell’art. 73, quinto comma, d.p.r. n. 309/1990 solo in sede dibattimentale ben oltre l’avvenuta revoca della misura ) costituenti di per se sole, attesi i limiti edittali, titolo legittimante l’emissione e il mantenimento de provvedimento cautelare, senza che la custodia patita abbia soverchiato la pena che in astratto avrebbe potuto infliggersi per i detti reati.
Ne consegue che la misura cautelare è stata legittimamente disposta in relazione al titolo di reato contestato e non è stata illegittimamente mantenuta dopo la derubricazione dei medesimi con la sentenza di primo grado.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 gennaio 2025.