Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37856 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37856 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/11/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 09/01/2025 della Corte d’appello di Napoli Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Napoli ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME, con riferimento alla detenzione da costui subita (dall’8 novembre 2019 al 19 gennaio 2020) in un procedimento penale, nel quale gli erano stati contestati il reato di cui all’art. 628 cod. pen. e il reato di cui agli artt. 10, 12 e 14 legge n. 497/1974.
1.1. Secondo l’imputazione , COGNOME, nel contesto di una lite con NOME COGNOME, presso il quale aveva lavorato per quindici giorni in un villaggio turistico di Vieste, gli aveva sottratto il cellulare e aveva sparato al suo indirizzo un colpo di pistola.
Con sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 19 gennaio 2020, COGNOME era stato assolto da tutti i reati a lui ascritti con la formula perché il fatto non sussiste.
1.2.La Corte della riparazione ha rigettato la domanda, ravvisando nella condotta del richiedente la condizione ostativa della colpa grave.
Avverso l’ordinanza la difesa dell’interessat o ha proposto ricorso, formulando tre motivi, che possono essere esposti unitariamente in quanto attinenti alla violazione di legge e al vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della colpa grave e del nesso causale fra la condotta del ricorrente e la restrizione della libertà personale.
Secondo il difensore, la Corte di appello avrebbe desunto la colpa grave da fatti che la sentenza assolutoria non aveva accertato nel loro accadimento fattuale e in particolare avrebbe attribuito a COGNOME un atteggiamento oggettivamente aggressivo e violento nei confronti di colui che era stato individuato come la vittima della rapina, senza che vi fosse in atti alcun riscontro in tal senso. Il Tribunale nella sentenza assolutoria aveva dato atto che COGNOME, recatosi presso COGNOME per essere pagato dell’attività lavorativa prestata, era stato aggredito e indotto alla fuga e che, prima ancora, lo stesso COGNOME insieme ad altre persone aveva colpito la sua autovettura, danneggiandola; i giudici si erano limitati a ipotizzare che COGNOME si fosse presentato al cospetto del suo interlocutore con fare brusco, ma non avevano qualificato la sua condotta come violenta.
Il ricorrente, dunque, non aveva tenuto alcun atteggiamento gravemente colposo, né poteva dirsi per lui prevedibile che dalla condotta tenuta, ovvero l’avere richiesto, sia pure con fermezza, il proprio salario, potesse originare un provvedimento restrittivo della sua libertà. Piuttosto il procedimento aveva tratto origine dalla denuncia presentata da NOME, il quale aveva anche consegnato
ai carabinieri un bossolo, affermando, con accuse non veritiere e ritorsive, che era stato COGNOME COGNOME sparare. In tesi difensiva la ricostruzione per cui COGNOME era stato aggressivo sarebbe frutto di un travisamento RAGIONE_SOCIALE emergenze processuali: i n particolare la Corte, in un passaggio dell’ordinanza , ha dato atto che era stato lo stesso COGNOME ad ammettere di aver tenuto un atteggiamento aggressivo nei confronti del denunciante COGNOME COGNOME di aver dato avvio ad una colluttazione, mentre, in altro passaggio, ha riportato le dichiarazioni rese da COGNOME nel corso dell’esame, secondo le quali egli aveva sì colpito la persona offesa con uno schiaffo e un pugno, ma solo per ‘liberarsi’, dopo che quest’ultima gli aveva strappato la maglia e gli si era avvicinata insieme ad altre persone con fare minaccioso.
Infine, il difensore lamenta che la Corte non avrebbe motivato in ordine alla gravità della colpa attribuita a COGNOME e alla sussistenza del nesso casuale fra l’atteggiamento di questi e la emissione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare. Non può definirsi imprudente la condotta del lavoratore che chiede il pagamento del proprio salario e che, a fronte del rifiuto oppostogli e addirittura dell ‘ aggressione posta n essere nei suoi confronti, cerca di difendersi. In proposito, secondo il ricorrente, la valenza del certificato medico relativo alle lesioni subite dalla persona offesa doveva essere considerata neutra.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOMECOGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento co n rinvio dell’ordinanza impugnata.
Il difensore del ricorrente, in data 31 ottobre 2025, ha presentato memoria con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto manifestamente infondati i motivi in tutte le loro articolazioni.
La Corte della riparazione, muovendo dalla disamina della sentenza assolutoria e dalle circostanze che tale sentenza aveva ritenuto provate nel loro accadimento fattuale, ha ravvisato nella condotta del ricorrente gli estremi della colpa grave, ostativa all’indennizzo .
I giudici hanno evidenziato che lo stesso COGNOME aveva ammesso di avere tenuto una condotta violenta: in particolare aveva riferito che, dopo che NOME lo aveva afferrato per un braccio per farlo uscire dal negozio e gli aveva strappato la maglia, ‘aggrappandosi’ al suo orologio , egli lo aveva spinto e lo aveva colpito
al volto con uno schiaffo e un pugno ‘per liberarsi’; i giudici hanno sottolineato , altresì, come tale ricostruzione, proveniente dallo stesso ricorrente, fosse stata suffragata dal certificato medico in atti, con cui erano state refertate le lesioni riscontrate a NOME (contusione ecchimotica regione zigomatica dx, abrasione come da graffio al dorso del naso e palpebra sup. sin).
3.Il percorso argomentativo così articolato appare esente dalle censure dedotte.
3.1.In primo luogo la Corte, nel rispetto del principio per cui il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, Rv.247663; Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Rv. 259082), ha valorizzato elementi di fatto concreti accertati nella loro dimensione ontologica nel giudizio di merito. Il ricorrente lamenta che sarebbero stati indicati comportamenti non accertati nel loro accadimento fattuale, quando invece i giudici hanno preso le mosse proprio dalle evidenze processuali accertate nel giudizio, pur se ritenute insufficienti a fondare una pronuncia di condanna.
In tal senso, manifestamente infondata è la censura per cui la ricostruzione del giudice della riparazione si fonderebbe su un travisamento dei dati risultanti dall ‘ istruttoria: la Corte, al contrario, ha desunto la sussistenza della condotta aggressiva e perciò gravemente colposa di COGNOME dalle sue stesse dichiarazioni, oltre che dal certificato medico che valeva a documentare le lesioni prodotte alla presunta vittima del reato a lui contestato. A fronte del pertinente e ragionevole richiamo da parte della Corte a tale certificato come elemento di riscontro rispetto al comportamento violento del richiedente, ostativo al l’indennizzo , il ricorrente assume, in maniera apodittica e francamente illogica, il carattere ‘neutro’ di tale documento ai fini di interesse.
3.2.La Corte, inoltre, ha adeguatamente motivato in ordine alla natura gravemente colposa della condotta extraprocessuale di COGNOME. A tal fine deve ribadirsi che il concetto di ostatività della colpa deve essere inteso come una macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, che realizza una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria attraverso l’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o la mancata revoca di uno già emesso (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Rv. 203636-01). Deve, altresì, ribadirsi che la motivazione da parte del giudice della riparazione in ordine al carattere gravemente colposo della condotta del richiedente, tale da indurre in errore il giudice della cautela, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Rv.276458).
Qualora siffatta condotta non si configuri in termini di gravità, si ritiene possa essere dato rilevo, ai fini della determinazione dell’indennizzo, anche ad ipotesi di colpa c.d. lieve.
Nel caso di spcie la valutazione della condotta del ricorrente come gravemente colposa non è manifestamente illogica, in quanto riferita al suo coinvogimento in una collutazione, in cui vi era stato un passaggio a vie di fatto e nella quale il suo contendente aveva riportato lesioni. Il motivo di ricorso, nel contestare tale giudizio e nel ribadire che non può ritenersi contraria a qualsivolgia regola cautelare la pretesa della corresponsione degli emolumenti per l’attività prestata , non si confronta con il percorso argomentativo della Corte che, come detto, ha ravvisato la colpa grave non già nella mera richiesta di COGNOME, per quanto ferma, di essere pagato, bensì nella aggressione da lui agita nei confronti di COGNOME.
3.3 Infine generica è la doglianza relativa al mancato accertamento della efficacia sinergica della condotta colposa rispetto al provvedimento restrittivo emesso dal giudice della cautela. Vero è che il giudice della riparazione, in forza del meccanismo causale che governa la condizione ostativa, deve verificare che la condotta del soggetto istante abbia avuto ‘efficacia sinergica’ rispetto al provvedimento restrittivo, ovvero che la stessa, creando l’apparenza del reato per cui si procede, sia stata causa o concausa dell’intervento dell’autorità giudiziaria. Sotto tale profilo, si è affermato che la condizione ostativa non può essere integrata dalla commissione di illeciti diversi da quelli per cui sia stata subita la detenzione, non sussistendo in tal caso il nesso eziologico fra il comportamento dell’interessato e la sua privazione della libertà, conseguente a un provvedimento del giudice determinato da un errore cui quel comportamento abbia dato causa. In altri termini non è sufficiente rinvenire nella condotta del richiedente elementi che creino apparenza di un qualsiasi reato, ma occorre che la condotta colposa abbia creato l’apparenza del reato per il quale è stato adottato il provvedimento restrittivo (Sez. 4 , n. 10195 del 16/01/2020, Rv. 278645): solo qualora sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta e la custodia cautelare, in relazione sia al suo momento genetico, sia al suo mantenimento, potrà essere
ragionevolmente escluso il riconoscimento del diritto all’equa riparazione (Sez. 3, n. 45593 del 31/01/2017, dep. 2017, Rv. 271790 – 01).
Nel caso di specie, la Corte della riparazione ha fatto corretta applicazione di tali principi, attribuendo rilievo alla condotta violenta del richiedente, oggettivamente idonea a creare l’apparenza del reato di rapina e, dunque, sinergica e concausale rispetto all’adozione da parte del giudice della cautela del provvedimento restrittivo della libertà personale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE, somma così determinata in considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Deciso il 6 novembre 2025. Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME