Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 46585 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46585 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONTECORVINO ROVELLA il 28/01/1964
avverso l’ordinanza del 03/07/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni ex art. 611 c.p.p. del PG in persona del sostituto Proc. gen. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Salerno per nuovo esame.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Salerno, con ordinanza del 3 luglio 2024, rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex rt. 314 cod. proc. pen. dall’odierno ricorrente COGNOME COGNOME, subita dal 1/8/2019 al 15/4/2022 gg.98 in regime di custodia cautelare in carcere e gg. 891 agli arresti domiciliari), data quest’ultima in cui il GIP aveva revocato la misura su richiesta del PM, in esecuzione dell’ordinanza resa dal GIP di Salerno il 18/7/2019 per i reati p. e p. dall’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 e 416 bis cod. pen. con l’accusa di essere partecipe del clan di COGNOME NOME dedito alla vendita di grossi quantitativi di sostanza stupefacente ed in diretto collegamento con i fratelli COGNOME e COGNOME NOME.
Successivamente il COGNOME veniva assolto dai reati ascrittigli con sentenza n, 735/2023 passata in giudicato 17/10/2023.
Nella sua istanza il difensore ricorrente aveva evidenziato che il COGNOME, nel corso del suo interrogatorio di garanzia, in data 5/8/2019, si era dichiarato completamente estraneo ai fatti relativi al traffico di stupefacenti, ma le successive istanze di revoca della misura avanzate nel suo interesse erano state rigettate dall’AG competente che lo riteneva’ sulla base delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME NOME e NOME Antonio, intraneo al gruppo malavitoso del De Feo.
La Difesa aveva evidenziato le carenza indiziaria sin dalle prima fasi del procedimento penale a carico de! COGNOME, “sulla scorta di supposizioni investigative mai approfondite a sufficienza”. Aggiungeva che alcun dolo o colpa grave poteva ravvisarsi in capo al COGNOME per la lunga detenzione subita, avendo egli sempre sostenuto la propria estraneità ai fatti ed essendosi anche prodigato per fare mergere elementi necessari a sostegno della propria causa. E perciò chiedeva un congruo risarcimento per i danni patiti a seguito dell’ingiusta detenzione, secondo il parametro aritmetico e quello equitativo.
Avverso il provvedimento di rigetto sopra ricordato ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il COGNOME deducendo quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. la manifesta violazione dell’art. 3.i 4 cod. proc. pen.
Il ricorrente si duole che la Corte salernitana, nell’ordinanza di rigetto, si sia limitata a richiamare l’istruttoria del P.M. e l’ordinanza del GJ.P. e quelle del riesame senza valutare quanto emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale che aveva portato alla sentenza di assoluzione di NOME COGNOME E, in particolare, non abbia preso in consider – èi»cne la documentazione prodotta dalla Difesa, in
particolare la soggettiva ed oggettiva possibilità di frequentazione con COGNOME NOME e l’assenza di riscontri oggettivi in riferimento alle dichiarazioni raccolte in ambientale nell’auto di COGNOME NOME e del collaboratore COGNOME NOME, nonché al colloquio in carcere tra COGNOME NOME e il fratello COGNOME NOME
Nell’ordinanza di rigetto della Corte salernitana venivano richiamati gli atti di indagine ma non, venivano richiamati gli elementi emersi nell’istruttoria dibattimentale ed in particolare l’assenza di riscontri soggettivi e oggettivi, in particolare non veniva esaminata la posizione di NOME COGNOME che all’epoca dei fatti era detenuto i» carcere e non poteva svolgere l’attività di spacciatore in concorso con i suoi familiari.
Esaminando !e dichiarazioni del COGNOME emergerebbe in modo chiaro ed incontrovertibile che nen sono corroborate da elementi di riscontro, non vi sarebbe prova di frequertazione tra il COGNOME ed il COGNOME e non vi sarebbe prova di rapporti tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, nessuna telefonata perché NOME COGNOME era detenuto all’epoca dei fatti contestati.
Rileva il ricorrente che lo stesso colloquio tra COGNOME NOME ed il fratello NOME non !o coinvolge nel traffico di sostanze stupefacenti perché parlano di altro e non di sostanza stupefacente
La carenza di motivazione e la manifesta illogicità dell’ordinanza della Corte salernitana risiederebbe nel fatto che si è limitata a richiamare !e ordinanze che sono rimaste prive di riscontro sia n riferimento a quote di proventi, sia in riferimento ai grossi quantitativi, sia ai contatti con i COGNOME che con il COGNOME Vito. Lo stesso COGNOME NOME sarebbe nmasto, privo di riscontri in riferimento alle sue dichiarazioni che descriveva ,NOME e NOME come spacciatori, mentre NOME era detenuto e non potrva spacclere dal carcere e per NOME non è emersa prova sullo Spaccio
La motivazione della Corte di Appello non proverebbe la colpa grave ed il dolo di NOME COGNOME perché si sarebbe limitata a richiamare le motivazioni del G.I.P. e del Tribunale del Riesame
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte di appello.
Il P.G. ha reso le concesioni scritte ex art. 611 cod. proc. pen. riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I profili di doglianza sopra illustrati appaiono manifestamente infondati, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della
decisione impugnata e sono pri n ; della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’at impugnato e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. Ed invero l’atto di impugnazione in esame è del tutto generico ed aspecifico e non si confronta con la motivazione del giudice della riparazione che, con argomentare logico e congruo, nonché corretto in pi’in;o di diritto- e pertanto immune da vizi di legittimità- ha dato conto del comportamento colposo ostativo per il ricorrente &Pottenimento del chiesto indennizzo.
In particolare il ricorso, come si dirà più ampiamente in seguito, lamenta che il giudice della riparazione abbia tenuto conto esclusivamente del compendio indiziario a carico del COGNOME e r -:.7)n di quanto emerso dalla sentenza di assoluzione, laddeve, invece, emerge dall’ordinanza impugnata che la Corte salernitana ha proprio tenuto conto di quanto emergente dalla sentenza di assoluzione, ovvero della non attualità della vicinanza e della collaborazione malavitosa del ricorrente rispetto a NOME COGNOME reo, ma delle sue frequentazioni con !o stesso in epoca precedente ai fatti. E comunque della sua dedizione ad attività connesse allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Il ricon3o, pertanto., va diehiento inammissibile,
2. Va premesse che è principio consolidate nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità deve intender, -si limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non può invesCre naturalmente il merito. Ciò ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 646 secondo capoverso cod. proc. pen., da ritenersi applicabile per il richiamo conteo Ito nel terzo comma dell’articolo 315 cod. proc. pen.
Dalla circostanza che nelle proeedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione i! gidi7i0 i svolga in ur unico grado di merito (in sede di corte di appello) non può trarsi la convinzione che la Corte di cassazione giudichi anche nel merito, poiché una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da al la disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicite, J centrario l’art. 646, comma terzo cod. proc. pen. (al gliele r’enala i’art. EeI 5 ultimo comma cod oroc. per.) stabilisce semplicemente che avverso I provved.merto de!l7.-. . Corte di appello, gli interessati possono ricorrere per Cassa:none-e conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai rnotiv so enunciati dall’art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex muffis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, P.v. i 9F1997, che, aff(Ae -eindo tale prineio, ha dichiarato inammissibile il
ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte).
Il ciodice della ripea -azione motiva M maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto.
L’art. 314 soci. pan., com’e noto, prevede ai primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto nen costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, Ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa irnpeditiva all’affermazicne del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia caatelare !a -t. 314, oornma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve esser? accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte !cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, COGNOME, Rv, 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di R -esuppesti per la ripe ,azione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai serve dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realiz7azione (li un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali. sia esso confligeente o il – ene con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volartene i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell “io’ qua(/’ plerumque accidie secondo le regole di esperienza comonerneete accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento . – .12ll’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. U. n. 43 del 13/12/1995 dep. 1996, COGNOME ed altri, P.v
Poic.he inoltra !a nozione d’ r7o!pa è data dall’art. 43 cod. pere, deve ritenersi ostativa a! ricongc:irrie.nto de! ‹sly» – ‘,o alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma GLYPH cad. proc neo. que92, condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in ei- .:·ser -e., GLYPH riacroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, ingssarvarza d iegg’, reNlarnenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituir oea nD voftit, 7revedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi neTa(junorie d: un provvedimento restrittivo della libertà personale e nelle no:ama-H:a revoca (li uno già emesso.
In altra SuccessiRI condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto co pevolmente e volontariamente une condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento deli’autorita gludiziaria o se ha tenuto una condotta che ab posto in ns. -sere, ceri evidente eeo,l’genza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leg7 o rec . iolernenti o rTrro. disciplinari, una situazione tale da costituir una prevedlblie migiorie di intervf7n, o dell’autorità giudiziaria che si sostanzi n dozione c provuedirnerite restTittivo della libertà personale o nella manca revoca di e e già enisr-:’,so (Sez. i , n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034′ ,e
Aneorn le Se7inni Unit£, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza e meno (1 , ’13lia ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per lreiusta detenzio le, consistente nell’incidenza causale del do della colpa grave dell’iffi -eressato rieoetto all’applicazione del provvedimento di custodia cai ‘telere. deve vaiutare la r:ondotta tenuta da! predetto sia anterior che sliCCeSSiv2mm -ir.e. , -3!!a sottoeosliione alla misura e, pi;.1 in generale, al momento della legale ec.inosoena delle nenelenze di un procedimento a suo carico (Sez Unite, n 72:383 del 2 7 /5/2019. COGNOME, Rv. 247654). E, ancora, più recentemente, I! -7,a oT -er . :Tro Collegi() ho tenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di rirnr97inrie nei GLYPH ae detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può GLYPH sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerelelone e6teinto lauticc nia “strutturale” tra c:ustodia e assoluzio quella “fun7ionale” t 3 !a durata della custodia ed eventuale misura della pe con la eer”:’:3.`.3l,ler’7:2 17.!-P in taric. GLYPH erivazione della libertà personale potrà considerarsi ‘ incie5″, in q: ot:lte GLYPH non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condctte dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’inde nizzo verrebbe ei perc’ere inellittahilmente la propria funzione riparatoria, di vendo la “ratio” GLYPH chn GLYPH base dell’istituto (così Sez. Unite, n. 51779 del 28/i L/2017 Nleoala, Rv: GLYPH fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condetta di un soc:7’etto che eeeea reso dichiarazioni ambigue in sede di in rogatorio di oaranzee emette!’ do GLYPH fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni ” -.ele’: –eiche GLYPH C9’1 persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacer i ,oie o.’1 -1 , con esoi -e. , iioni “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la -,:mente con5–!uria Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ve cci oi -serv;,3- che ib è otole autonomia tra ;giudizio penale e giudizio per Ikeiga scare.rnrr anche .7tteT· che i due afferscono piani di indagine del t diversl che nnn portani-‘i conclusioni affatto differenti pur se fondant
medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Ci perché è prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che può essere ritenuta insufficiente e condurre all’assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell’imputato, l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice.
È pacifico (cfr. tra le tante Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418) che, in sede di giudizio di riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. ed al fine della valutazione dell’an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l’ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine è necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall’istante sia prima che dopo la perdita della libertà personale e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (cfr. Sez. U. n. 32383/2010), onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall’esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (cfr. arche la precedente Se -z. Un. 26/6/2002, COGNOME). E a tal fine vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo), quanto di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione (cfr. Sez. 4, n. 45418/2010). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La colpa dell’istante è ostativa al diritto per le argomentazioni espresse, tra le altre, da Sez. 4, n. 1710/2014 e da Sez. 4, n. 1422/2014: «… non potendo l’ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, infondo, della regola che trova esplicitazione negli arti. 1227 e 2056 c.c.), deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indenniz’o … non solo la condotta volta alla realizzazione di u evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una prescrizione di legge, ma anche le condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro
dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tuteia della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui ci interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione … quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme discipin.ari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso …».
5. Nel provvedimento impugnato il giudice della riparazione precisa che nel caso di specie COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME e COGNOME NOME erano accusati di partecipazione al sodalizio criminoso capeggiato dal noto pregiudicato COGNOME Vito, finalizzato al traffico di stupefacenti nel territorio dei Picentini. E che l’accusa si basava principalmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME a ali si aggiungevano le dichiarazioni raccolte in ambientale nell’auto di COGNOME NOME e quanto riferito nel corso di taluni colloqui in carcere tra COGNOME NOME ed il fratello NOME. Secondo le propalazioni del pentito COGNOME, COGNOME NOME ricopriva il ruolo di spacciatore al dettaglio, unitamente ai suoi familiari nonché di latore di messaggi a COGNOME NOME oltre che consegnatario della parte dei o’,.ladagni che gli spettavano, derivante dallo spaccio di stupefacenti.
Ricorda l’ordinanza impugnata che COGNOME NOME veniva assolto dal Tribunale di Salerno, con sentenza del 15 febbraio 2023, dal reato ascrittogli al capo 1), ovvero di partecipazione al sodalizio dedito al traffico di stupefacenti capeggiato da COGNOME COGNOME ‘per non aver commesso il fatto’, evidenziando, il Tribunale, da un lato, l’assenza di ogni documentazione volta a comprovare la fornitura di stupefacenti ad opera del medesimo COGNOME, dall’altro, la circostanza che i riferiti rapporti tra il COGNOME NOME ed il COGNOME Vito (condannato per questa causa ad anni 30 di reclusione) non potevano più considerarsi attuali posto che, da quanto è possibile evincere dalle argomentazioni espresse in motivazione, l’esistenza di legami tra gli imputati e COGNOME Vito che possono trarsi dalle dichiarazioni del collaboratore sembra comprovata con riguardo ad un tempo passato rispetto a quello di riferimento, ron più attuale: Di M:74:0 riferisce di una collaborazione tra lui e il COGNOME Vito nello smercio degli stupefacenti con la intermediazione del Magazzeno circoscritta al periodo 2814-2015. Peraltro, anche lo stesso COGNOME nel corso di una conversazione in ambientale con Prncipato, si duole del fatto
che i COGNOME svolgano attiAà a nome suo” (così la sentenza di assoluzione a pag. 193). Anche a voler ritenere comprovata l’attività di narcotraffico svolta dal COGNOME NOME ed i suoi figli prosegue il Tribunale – non emergono sufficienti elementi di riscontro che possano integrare la prova idonea, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’attività fosse collegata all’associazione e che quindi potesse integrare “partecipazione” penalmente rilevante.
Dunque, anche dagli elementi di prova vagliati dal Tribunale in sede di cognizione e dalla sentenza di assoluzione emerge !a figura di COGNOME NOME come soggetto non ‘partecipe in epoca attuale dell’associazione dedita al narcotraffico capeggiata dal COGNOME Vito come delineata nell’imputazione, ma certamente dedito negli anni immediatamente precedenti al narcotraffico in collaborazione con lo stesso COGNOME Vito con il quale aveva maturato stretti rapporti di collaborazione.
In definitiva, per il giudice della riparazione, proprip dalla lettura della motivazione della sentenza assolutoria, ed in particolare dalle riportate propalazione dei due principali collaboratori di giustizia, ovvero COGNOME NOME e NOME Antonio, è possibile trarre elementi certamente ostativi al riconoscimento del diritto all’indennizzo per il richiedente. Infatti, a pag. 74 della citata sentenza, il Tribunale dà atto, nel richiamare diffusamente ie propalazioni del pentito COGNOME, che costui nel 2014-2015, ovvero dopo la sua scarcerazione, aveva intrattenuto rapporti, sempre legati al traffico degli 5h., pefacenti, con lvlagazzeno NOME e con il figlio COGNOME NOME: ‘nei dettaglio riferiva che i due erano attivi nel traffico di droga nel comune di Montecorvino Rovella e che, quei’ appartenenti al clan COGNOME, si rifornivano proprio da COGNOME, sistematicamente a nome di COGNOMEo’.
Di tenore sostanzielmerte sirri’we — ricorda 1 provvedimento impugnatoerano le propalazioni dell’altro pentito, NOME COGNOME (cfr. pag. 74 e segg. della citata sentenza) che riferiva di fatti accaduti tra i! 2015 e l’inizio del 2017, il quale pur promettendo di essere stato in passato coinvolto in attività di spaccio di stupefacenti del tipo hashish e cocaine che acquistava da Quaranta Adeschi e che poi rivendeva nelle zone dì Bellizzi e beetipa-:. – 31ia, rifeshva di conoscere personalmente COGNOME Vito e di essere al corrente che egli apparteneva all’omonimo clan di Bellizzi, precisando che proprio il COGNOME lo aveva fermato in INDIRIZZO a Bellizzi per dirgli di rivolgersi, per gli acquisti di cocaina, a COGNOME NOME e che in ogni caso, dato il riavvicinamento fattuale de’ due gruppi pri:Aa contrapposti, quello facente capo a COGNOME e quello direttamente riconducibile a COGNOME COGNOME, un ruolo rilevante era attribuito anche i COGNOME NOME e fieli i quali trafficavano marijuana e cocaina nella zona di Mortecorvino Rovella all’ nterno del sodalizio di COGNOME; riferiva ancora di ssere ai C9 `CP. n te , per averlo appreso dai diretti interessati, che COGNOME NOME e i ficli NOME, NOME e COGNOME, erano fiancheggiatori dei COGNOME‘ nel senso che ‘non muovevano un passo se non avevano il benestare
di COGNOME NOME aggiungendo, però, ‘di non averli mai visti spacciare ma di aver saputo del loro coinvolgimento in certi traffici nell’ambito di conversazioni svoltesi al bar o anche presso la masseria di famiglia a Montecorvino Rovella in località INDIRIZZO.
Logica appare la conclusione cui perviene la Corte salernitana che, dunque, dalla sentenza di assoluzione e dalle propalazioni di entrambi i collaboratori richiamati nella stessa si desuma chiaramente la stretta vicinanza e collaborazione del COGNOME NOME al COGNOME NOME e la dedizione del primo ad affari illeciti quali il traffico di stupefacenti svolto con certezza nel periodo 2014-2015. Nel caso di specie, i fatti certamente ritenuti provati dal giudice competente convergono tutti per una sicura dedizione del COGNOME NOME al narcotraffico ed in particolare anche in collaborazione con COGNOME Vito anche se negli anni 2014-2015.
Tali circostanze per i giudici della riparazione non possono non valutarsi negativamente ai fini della domanda riparatoria che deve essere conseguentemente rigettata, ostandovi la condotta gravemente colposa del richiedente, consistita nell’aver intrattenuto consolidati rapporti con malavitosi, poi condannati a pene elevate nell’ambito della medesima vicenda processuale che li ha visti coimputati e nell’aver svolto, in anni immediatamente precedenti (2014-2015) attività di spaccio di stupefacenti, proprio in collaborazione con il COGNOME Vito.
6. L’ordinanza impugnata, dunque, opera un buon governo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità tra gli elementi suscettibili di integrare gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, rientra la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità agli autori del reato (cfr. Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, Abbruzzese, Rv. 280547; conf. Sez. 4, Ordinanza n. 45418 del 25/11/2010; Carere, Rv. 249237).
Con specifico riferimento all’ipotesi della connivenza, in relazione al diritto all’equa riparazione, questa Corte, peraltro, già in precedenza, aveva avuto modo di affrontare la problematica della valenza della connivenza stessa ad essere condotta ostativa al riconoscimento della riparazione, riconoscendola: 1. nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose (Sez. 4, n. 8993 del 15/1/2003, Lushay, Rv. 223638); 2. nel caso in cui la connivenza si concreti non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire ia consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia (Sez. 4, n.
16369 del 18/3/2003, COGNOME, Rv. 224773); 3. nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo effetto; in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Sez. 4, n. 42039 dell’8/11/2006, COGNOME, rv. 235397). E ancora di recente tale principio è stato ribadito in relazione ad un caso in cui è stato ritenuto connotato da colpa grave il comportamento del locatario del capannone, il quale, ben a conoscenza che il locatore usava l’immobile come deposito di pezzi di ricambio per autovetture di provenienza furtiva, continuava ad utilizzare il bene locato per depositarvi oggetti di sua proprietà (sez. 4, n. 15745 del 19/2/2015, Di Spirito, Rv. 263139).
La connivenza richiede, evidentemente, per esser accertata, la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente medesimo (così questa Sez. 4, n. 6878 del 17/11/2011 dep. 2012, COGNOME, Rv. 252725, in relazione ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il rigetto della domanda riparatoria alla luce degli stretti e frequenti collegamenti telefonici tra l’imputata prosciolta e il cognato, personaggio di spicco di un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti).
Non va trascurato, infine, che questa Corte di legittimità ha affermato essere ostative al chiesto beneficio le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, o le frequentazioni con sogge gravati da specifici precedenti penali, ben possonJ dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa” (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258610; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259082; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257878) e che per tali si intendono anche quelle con soggetti coinvolti nel medesimo procedimento penale.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nAla determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27/11/2024