Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28022 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28022 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 15/10/1962
avverso l’ordinanza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; letta la memoria depositata dal Ministero dell’Economia e della Finanze, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione alla misura cautelare della custodia in carcere applicata nei suoi confronti dal GIP presso il Tribunale di Venezia dal 04/06/2020 sino al 25/11/2020; in relazione a un capo di imputazione provvisorio ipotizzante i reati di cui agli artt. 416-bis cod.pen., 74 e 73 d d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, fatti per il quale il Tribunale del riesame aveva confermato la misura e per i quali la Corte di Cassazione aveva pronunciato annullamento limitatamente ai capi 1) e 3), rinviando per nuovo giudizio al Tribunale di Venezia che, alla data predetta, aveva annullato il provvedimento cautelare un relazione a tutti i capi, disponendo l’immediata rimessione in libertà dell’indagato; imputazioni in relazione alle quali i ricorrente erano stato assolto in ordine ai capi nn.1) e 3) per non aver commesso il fatto e – in ordine agli altri capi – per insussistenza del fatto.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha osservato che il ricorrente aveva contribuito a dare corso alla propria carcerazione con colpa grave rigettando quindi la domanda di riconoscimento dell’indennizzo.
Ha premesso che il COGNOME era stato sottoposto a detenzione in quanto ritenuto partecipe di due distinte associazioni (di cui quella mafiosa capeggiata da NOME COGNOME e altro distinto sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti) oltre che responsabile di una serie di cessioni di cocaina, accertate mediante intercettazione di conversazioni telefoniche. Ha quindi riprodotto la parte della motivazione della sentenza assolutoria, nella quale era stata ritenuta non provata l’adesione al sodalizio dedito al narcotraffico, pur se dalle intercettazioni telefoniche era emerso un interesse alle problematiche inerenti all’approvvigionamento del gruppo ma nel quadro di conversazioni ritenute ambigue e che erano state ritenute compatibili con un utilizzo meramente personale dello stupefacente.
Nella stessa sentenza assolutoria era quindi stato dato atto che non erano emersi elementi tali da provare il coinvolgimento dell’imputato in attività di cessione di stupefacenti al dettaglio; in relazione al partecipazione all’associazione ndranghetistica capeggiata da NOME COGNOME, il giudice del merito aveva altresì dato atto del risalente rapporto fiduciario e di amicizia tra questi e il COGNOME; ritenendo, peraltro, che complessivi elementi esaminati non consentissero di delineare un ruolo definito in capo all’imputato all’interno del sodalizio ovvero le concrete
attività allo stesso affidate, non essendo emerso un coinvolgimento effettivo nelle numerose attività illecite riconducibili all’associazione.
Il giudice della riparazione ha quindi ritenuto che il Russo, mediante la frequente reiterazione di contatti con soggetti apicali del clan e nella piena consapevolezza dell’illiceità di alcuni dei temi trattati (in conversazioni, volte, caratterizzate da linguaggio criptico), avesse contribuito con colpa grave alla propria detenzione; ritenendo quindi sussistente il correlativo elemento ostativo rispetto al riconoscimento dell’indennizzo.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, articolando un unico motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 314 e 315 cod.proc.pen. dell’art.64 cod.proc.pen., in tema di diritto al silenzio dell’indagato dell’imputato.
Ha dedotto che il giudice della riparazione aveva valorizzato l’elemento rappresentato dalla amicizia e vicinanza con il Giardino, facendo riferimento al fatto che il ricorrente fosse stato presente in ospedale al capezzale di quest’ultimo, ricoverato in terapia intensiva (elemento in relazione al quale la difesa ha precisato che la visita in ospedale era stata comunque unica e seguita poi da una visita a domicilio a distanza di tempo); ha dedotto il carattere non significativo della partecipazione al pranzo, insieme ad altri soggetti facenti parte del sodalizio, del 23/05/2020 e nel quale il COGNOME aveva portato delle torte, frutto dell’attività imprenditoriale della moglie.
Ha esposto che i collaboratori di giustizia non avevano mai citato il COGNOME nelle loro deposizioni con l’eccezione del COGNOME, il quale lo aveva definito come un mero ‘portatore d’acqua’, utilizzato solo una volta per una rapina; tutti elementi da cui desumere come il COGNOME non fosse effettivamente organico rispetto al clan ed esponendo come la stessa sentenza assolutoria avesse dato atto della scarsa considerazione di cui lo stesso godeva tra gli affiliati e della sua limitata conoscenza delle dinamiche interne del gruppo, oltre a fare emergere il mancato coinvolgimento nelle complessive attività illecite allo stesso riconducibili.
Ha quindi argomentato che il solo episodio in cui il Russo, con linguaggio criptico, aveva chiesto al Lumastro la consegna (peraltro mai avvenuta) di una “gru” al fine di risolvere un suo problema personale, non potesse essere ritenuta sintomatica dell’appartenenza organica al gruppo, evidenziando l’assenza di elementi idonei alla configurazione del reato di partecipazione ad associazione mafiosa nonché a quella prevista dall’art.74, T.U. stup.; ha
altresì evidenziato che la Corte avrebbe indebitamente attribuito rilevanza al silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, tramite l’Avvocatura dello Stato, ha depositato memoria nella quale ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la caratura criminale del Giardino doveva ritenersi evidentemente nota da parte del Russo, sul punto confrontandosi in modo diretto e adeguato proprio con il contenuto della pronuncia assolutoria; la quale, nel negare la sussistenza di una partecipazione organica del ricorrente rispetto alla complessiva dinamica criminale del sodalizio, ha peraltro evidenziato – non solo la vicinanza personale con il capo dell’associazione – ma anche la chiara consapevolezza del medesimo istante di rapportarsi con soggetti “facenti parte di una consorteria criminale avente la disponibilità di armi e munizioni” nonché dedita allo spaccio di sostanza stupefacente; elemento desumibile dai numerosi dialoghi intercettati in cui si faceva riferimento ad armi nonché dal reiterato ricorso a linguaggio criptico in riferimento alla fornitura di sostanze illecite.
Si vede, quindi, in un’implicita ma univoca valorizzazione del dato costituito dalle cosiddette frequentazioni “ambigue”, ravvisate in capo all’imputato e, a propria volta, ritenute ostative rispetto al riconoscimento dell’indennizzo.
A tale proposito, questa Corte ha più volte ribadito che la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si prest oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro Rv. 274498; Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021,
dep. 2022, COGNOME Rv. 282565; Sez. 4, n. 574 del 05/12/2024, dep. 2025, COGNOME; Rv. 287302); nella maggior parte dei casi esaminati da questa Corte in riferimento a tale principio di diritto, si verteva proprio in materia d detenzione cautelare disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo.
Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato deve peraltro anche trarsi il limite all’applicazione del medesimo principio; se, infatti, in linea astratta, la frequentazione di persone coinvolte in attivi illecite è condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazioni sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art.314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25848601); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, co lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280547; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 2209840).
Mentre, in relazione alla materia dei reati associativi, tale presupposto comporta che integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il diretto coinvolgimento nelle attività illecite (Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996; Sez. 4, n. 574 del 05/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287302, cit.).
Deve ritenersi che, nel caso in esame, la Corte territoriale si sia complessivamente adeguatamente confrontata con il predetto principio.
Ciò anche dovendosi rammentare l’ulteriore presupposto in base al quale l’ontologica autonomia tra giudizio di cognizione e giudizio di riparazione implica che, in quest’ultimo, il giudice possa certamente rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclusi al solo fine di decidere
sulla sussistenza del diritto alla riparazione (Sez.4, n.27397 del 10/06/2010, COGNOME, RV. 247867; Sez.4, n.3895 del 14/12/2017, dep.2018, P., RV. 271739); con il solo limite, tuttavia, di non potere ritenere provati fatti ch tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039), imponendosi quindi un necessario confronto con le argomentazioni poste alla base della sentenza di proscioglimento.
6. Nel caso in esame, la Corte ha operato un confronto con le argomentazioni contenute nella sentenza assolutoria e in forza delle quali la comprovata vicinanza personale tra il Giardino e il Russo non era stata ritenuta sintomatica, sulla base dei complessivi elementi acquisiti al giudizio, al fine di comprovare la sussistenza di un’effettiva intraneità dell’imputato rispetto al contesto criminale.
La Corte, peraltro ha evidenziato alcuni elementi che, in chiave sinottica e con conclusione non palesemente illogica, sono stati ritenuti idonei a concretizzare il presupposto ostativo della colpa grave.
Difatti, la Corte ha rilevato che – accanto a comportamenti riconducibili univocamente alla sola vicinanza personale con il COGNOME – il ricorrente avesse intrattenuto conversazioni con il capo del sodalizio e con altri membri del medesimo (quali NOME COGNOME e NOME COGNOME) il cui oggetto aveva un’univoca natura illecita, come dimostrato dal ripetuto riferimento alle armi e all’approvvigionamento di sostanza stupefacente, pure ricondotto dal giudice della cognizione a un interesse riconducibile al consumo personale.
D’altra parte, il giudice della riparazione – sempre nell’ottica della valutazione del carattere ambiguo della frequentazione – ha congruamente attribuito rilevanza al fatto che, in alcune delle conversazioni intercettate, venisse utilizzato un linguaggio reiteratamente cautelativo, di tipo criptico e convenzionale, attraverso l’utilizzo di espressioni allusive quali “dolcetti bianchi”, “gru”, “gru grossa” e ritenute dalla Corte, con argomentazione non manifestamente illogica, come riferibili a sostanze stupefacent€; o ad armi.
Dovendosi sottolineare, in relazione a specifica argomentazione difensiva, che il giudice della riparazione non ha attribuito alcuna valenza sinergica al silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio (elemento non valutabile quale indice di colpa grave ai sensi dell’art.314, comma 1, cod.proc.pen., nel testo introdotto dal d.lgs. 8 novembre 2021, n,188), ma
ha unicamente sottolineato l’assenza di qualsiasi spiegazione alternativa al significato delle predette conversazioni.
Si tratta di una valorizzazione, a propria volta, da ritenersi logica in riferimento ad altro e specifico principio giurisprudenziale in base al quale
costituisce colpa grave, idonea a impedire il riconoscimento dell’equo indennizzo, l’utilizzo, nel corso di conversazioni intercettate, da parte
dell’indagato di frasi in “codice”, effettivamente destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per l
quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 48029 del 18/09/2009,
COGNOME Rv. 245794; Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016, dep. 2017, Aga,
Rv. 268954).
Deve quindi ritenersi che gli elementi rappresentati dal contatto con un noto esponente di una famiglia mafiosa e il continuo riferimento ad attività
illecite, operato mediante l’utilizzo di un linguaggio allusivo e criptico, siano con argomentazioni
stati tali – sulla base di una valutazione compiuta ex ante
non palesemente illogiche – da configurare la colposa apparenza dell’adesione del Russo rispetto alle attività criminali svolte dal sodalizio.
Dovendosi quindi condividere la valutazione della Corte territoriale in ordine al carattere gravemente colposo del comportamento tenuto dal ricorrente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente in questo giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente per questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro mille.
Il Consigliere estensore
Così deciso il 4 luglio 2025