Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 27 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 27 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FOGGIA il 13/05/1994
avverso l’ordinanza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per la dichiaraz inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bari ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione all’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, sofferta dal 29/10/2019 – a seguito di arresto flagranza per il reato di cui agli artt.110 cod.pen. e 73, d.P.R. 9 ottobre 199 n.309 – sino al 20/04/2020, data in cui il suddetto era stato assolto perch il fatto non costituisce reato con sentenza del GUP presso il Tribunale di Foggia, divenuta irrevocabile il 16/10/2020, per un complessivo periodo di detenzione di mesi cinque e giorni venti.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha ritenuto che la domanda non potesse essere accolta /attesa la sussistenza del presupposto ostativo rappresentato dalla colpa grave del ricorrente.
In particolare, in punto di fatto, ha esposto che il ricorrente era stato assolto ai sensi dell’art.530, comma 2, cod.proc.pen., dopo che era stato accertato che – dei nove reperti raccolti dalla P.G. – cinque di essi erano idonei al ricavo di 3.581 dosi medie droganti; avendo ritenuto il GUP che, in considerazione di tale dato, non potesse porsi in dubbio la finalità di commercializzazione del predetto stupefacente, ricavato all’esito di un’attività di coltivazione, peraltro ammessa dallo stesso imputato e in riferimento alla dedotta liceità della vendita della c.d. cannabis light ai se della I. n.242/2016; ha esposto che il GUP aveva peraltro assolto l’imputato ritenendo dubbia la sussistenza del dolo del reato ascritto, alla luce d dibattito giurisprudenziale che aveva preceduto l’arresto espresso da Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 275956, e della conseguente e ritenuta scusabilità dell’errore di diritto circa la liceità della propria con in considerazione delle precedenti incertezze interpretative.
La Corte ha quindi esposto che lo COGNOME aveva comunque tenuto la condotta per la quale era stato sottoposto alla misura cautelare in un momento in cui la citata sentenza delle Sezioni Unite era stata già emessa e depositata, omettendo quindi di tenere una condotta prudente e – peraltro – non notiziando preventivamente gli organi locali di polizia al fine di far analizzare iLcampione della sostanza stupefacente oggetto di coltivazione; anzi acquistando un ingentissimo quantitativo di marijuana, pari a circa 100 kg, allo scopo di procedere direttamente alla rivendita del prodotto.
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Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. – il difetto e l’illogicità della motivazione in relazione al 314 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la condotta era stata, sin dall’inizio, scevra da dolo colpa, avendo il ricorrente – già nell’immediatezza dell’arresto – forni adeguata giustificazione della detenzione delle piante e dell’altro material rinvenuto, fornendo ulteriori spiegazioni in sede di udienza di convalida; ove aveva esposto di essere titolare di un’attività commerciale che si occupava della diffusione anche della c.d. canapa light, avendo acquistato le piante da un’azienda agricola da cui si riforniva abitualmente, fornendo molteplici elementi documentali tra cui i test di laboratorio effettuati a proposito d principio attivo esistente nel materiale acquistato; depositando poi, in sed di giudizio abbreviato, una consulenza di parte dalla quale risultava che molti dei campioni di materiale presentavano una soglia di principio attivo inferiore allo 0,5%; ha quindi dedotto che, nel caso di specie, difettava totalmente l’elemento soggettivo del reato contestato e che la condotta non poteva ritenersi connotata neanche da colpa grave; evidenziando altresì come la citata pronuncia delle Sezioni Unite fosse stata depositata nel solo mese di luglio del 2019 e come il tecnico di laboratorio avesse assicurato il rispett delle soglie imposte dalla legge.
Ha quindi ritenuto illogica la motivazione, nella parte in cui aveva posto a carico del ricorrente un obbligo informativo in tale senso, attesi i contro e le comunicazioni regolarmente effettuate.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
In particolare, la condizione ostativa al riconoscimento del diritt all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingius
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carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordin alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione dell detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, n.34656 del 3/6/2010, Davoli, RV. 248074; Sez.4, n. 4372 del 21/10/2014, dep.2015, COGNOME COGNOME, RV. 263197; Sez.3, n. 28012 del 5/7/2022, COGNOME, RV. 283411); in particolare, il giudice di merito, per stabilire se chi ha patit detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabil con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto c abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez.4, n. 3359 del 22/9/2016, dep.2017, COGNOME, RV. 268952), con particolare riferimento alla commissione di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti (Sez.4, n.27548 del 5/02/2019, COGNOME, RV. 276458).
Deve altresì essere ricordato che, sulla base dell’arresto espresso da Sez. U, n.43 del 13/12/1995, dep.1996, COGNOME, RV. 203638, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della su commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o t meno reato, ma se queste si GLYPH poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà esaminare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (d natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventual sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione derivandone, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in base al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclus
ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparazi (Sez.4, n.27397 del 10/06/2010, COGNOME, RV. 247867; Sez.4, n.3895 del 14/12/2017, dep.2018, P., RV. 271739); con il solo limite di non potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice de cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039).
In relazione ancora più specifica rispetto alla fattispecie concreta in esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e GLYPH completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare se l condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stes come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez.Un., n.32383 del 27/5/2010, COGNOME RV. 247664).
5 t c L i i ~i altresì ricordare – con principio utilmente richiamabile nel caso di specie – che il diritto all’indennizzo spetta a chi è stato prosciolto sentenza irrevocabile di assoluzione con una delle formule indicate nella prima parte dell’art.314 cod. proc. pen. e a tal riguardo non ha rilievo se tale formula il giudice penale sia pervenuto per la accertata prova positiva di non colpevolezza, ovvero per la insufficienza o contraddittorietà della prova (Sez. 4, n. 22924 del 30/03/2004, COGNOME, Rv. 228791).
Ciò premesso, deve ritenersi che l’ordinanza impugnata si sia complessivamente ben raffrontata con i predetti principi – pure espressamente richiamati in sede di motivazione – essendo quindi non ravvisabile il dedotto difetto di illogicità.
In particolare – come sottolineato dalla Corte territoriale ed evidenziato dallo stesso ricorrente nell’atto di impugnazione – l’odierno istante, nel mese di ottobre del 2019, aveva acquistato un’ingente quantità di infiorescenze di marijuana (pari a circa 100 kg), detenendola ai fini di una successiva commercializzazione e omettendo di accertare preventivamente, in
violazione della disciplina di settore e a tanto provvedendo solo successivamente, commissionando un’analisi di laboratorio, l’effettiva quantità di principio attivo esistente nel materiale.
Sul punto, come sottolineato dalla Corte territoriale, al momento dell’effettuazione dell’acquisto era stata già pronunciata la citata senten delle Sezioni Unite, emessa – con relativa comunicazione provvisoria – il 30/05/2019 e la cui motivazione era stata depositata il 10/07/2019; con la quale la Corte aveva – peraltro in adesione all’orientamento, sino a momento, maggioritario – espresso il principio in base al quale la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resin integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anch fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività (avendo la Corte precisato in motivazione, che la legge 2 dicembre 2016, n.242, qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piant agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 1 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall’art.2 della predet legge).
Avendo altresì la Corte, nella motivazione, rilevato espressamente che meritasse condivisione l’orientamento giurisprudenziale che, muovendo dal rilievo che «la legge 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la liceità della sol coltivazione della cannabis sativa L. per le finalità espresse e tassativamente indicate dalla novella, ha affermato che la commercializzazione dei derivati della predetta coltivazione, non compresi nel richiamato elenco, continua a essere sottoposta alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309» e «che non si rinviene alcun dato testuale, né alcuna indicazione di ordine sistematico, che possa giustificare la tesi – che pure è stata espres volta far rientrare le inflorescenze della canapa nell’ambito delle coltivazion destinate al florovivaismo»
La Corte ha altresì rilevato, in ulteriore passaggio motivazionale, che la normativa prevede «che vengano effettuati controlli sulle coltivazioni di canapa, rientranti nel delineato settore agroalimentare, mediante il prelevamento di campioni provenienti da colture in pieno campo, ai fini della determinazione quantitativa del contenuto di tetraidrocannabinolo (THC). L’art. 4, comma 5, legge n. 242 del 2016, stabilisce, al riguardo, che, qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risult
superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessun responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato prescrizioni di cui alla presente legge», con conseguente sussistenza di una clausola di esclusione della responsabilità, in caso di principio atti contenuto nelle predette percentuali, ravvisabile a carico del solo agricoltore e non in ordine alla successiva attività di commercializzazione, concludendone che «L’effettuata ricostruzione del quadro normativo di riferimento conduce ad affermare che la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., che pure si caratterizza per il bas contenuto di THC, vale ad integrare il tipo legale individuato dalle norme incriminatrici».
Va quindi rilevato che, nel caso di specie, il ricorrente risulta aver detenuto, ai fini della commercializzazione, materiale nel quale è stata ravvisata la sussistenza di una percentuale di principio attivo con efficaci drogante (tanto è vero che il materiale medesimo è stato interamente sottoposto a successiva confisca) e che, in riferimento a cinque dei reperti citati nella stessa consulenza tecnica di parte depositata in sede di giudiz abbreviato, erano ricavabili ben 3.581 dosi droganti.
D’altra patte, in relazione alla deduzione difensiva in base alla quale non poteva ravvisarsi un obbligo informativo a carico del ricorrente in ordine agli orientamenti sul punto della giurisprudenza di legittimità, va rilevato come appaia del tutto logica la valutazione della Corte territoriale nella parte in c ha argomentato che l’istante fosse un professionista dello specifico settore, titolare di un’attività nel settore del giardinaggio e già uso a commercializzazione della cannabis.
Va quindi ritenuta congrua e conseguente la valutazione della Corte nella parte in cui ha ritenuto sussistente un grave deficit comportamentale in capo Uf’ , al ricorrente . idoneo a o GLYPH o ar una colpa grave ostativa rispetto al riconoscimento dell’indennizzo.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente