Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31808 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Latina il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 21/11/2023 della Corte appello di Roma
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del P.G. in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 aprile 2022 la Corte di appello di Roma rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da NOME COGNOME in relazione alla custodia cautelare patita in carcere dal 12 ottobre 2015 al 25 marzo 2016 ed agli arresti domiciliari dal 25 marzo 2016 al 12 luglio 2016, per i reati di partecipazione ad associazione per delinquere (capo A) e di concorso in rivelazione di segreto di ufficio relativi ad attività giudiziarie (capo S), delitti dai quali ve assolto, quanto al capo A), dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 6 luglio 2017 e, quanto alla residua imputazione sub lett. S), dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 21 novembre 2019 (divenuta irrevocabile il 6 marzo 2020) pronunciata a seguito dell’annullamento con rinvio da parte di questa Corte, Sez. 2, n. 8219 del 17/10/2018, dep. 2010, COGNOME ed altri.
1.1. Avverso l’ordinanza di rigetto, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, accolto dalla quarta Sezione penale con sentenza n. 22114 del 14 marzo 2023, che ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato, evidenziando che non era comprensibile in che cosa consistesse, ad avviso dei giudici di merito, la “colpa concausativa”, in uno con l’errore dell’A.G., della restrizione della libertà, se essa si sostanziasse a) nelle frequentazioni da parte del ricorrente di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, posto che la Corte territoriale non aveva spiegato perché la frequentazione dei due potesse avere contribuito a creare un’apparenza di illiceità nell’agire; b) nel non avere NOME COGNOME risposto alle domande sui fatti di cui ai capi A) ed S), considerando che, per effetto dell’entrata in vigore del d. Igs. 8 novembre 2021, n. 188, e della conseguente interpolazione dell’art. 314 cod. proc. pen. il silenzio costituisce un dato del tutto “neutro”, come puntualizzato da Sez. 4, n. 8615 del 08/02/2022, Z., Rv. 28301701; c) nell’essersi l’imputato limitato a rendere dichiarazioni spontanee ritenute dalla Corte di appello inveritiere, senza tuttavia indicare quali fossero gli elementi falsamente rappresentati.
1.2. Con ordinanza del 21 novembre 2023 la Corte d’appello di Roma decidendo in funzione di giudice del rinvio, ha nuovamente rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta dall’interessato, ritenendo che nel caso in esame non ricorrono le condizioni per l’indennizzo.
Avverso tale ultimo provvedimento, l’interessato, tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi
2.1 Con il primo motivo, lamenta vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 125, comma 3, 314 e 627 cod. proc. pen.
Secondo la prospettazione difensiva la Corte di appello di Roma, nonostante il chiaro disposto da parte della Corte di cassazione nel giudizio rescindente, avrebbe errato nella valutazione dei motivi dell’annullamento, limitandosi a considerare solo quello relativo al silenzio serbato in sede di interrogatorio, omettendo di soffermarsi sulle altre carenze, che avevano generato l’annullamento con rinvio.
Ci si duole che nei confronti del COGNOME, nonostante la sua assoluzione “perché il fatto non sussiste”, si continuino a valorizzare gli elementi contenuti nell’ordinanza genetica e a ripercorrere i passaggi del processo di cognizione, che sono stati tutti superati dalla decisione assolutoria irrevocabile assunta nei suoi confronti. Si ritiene apodittico il riferimento ai rapporti di frequentazione con i poliziotto coimputato NOME e “aberrante il ribaltamento”, ai danni del ricorrente, in ragione del reato a “concorso necessario” (ascritto al capo S) ad entrambi, delle motivazioni contenute nell’ordinanza reiettiva della richiesta di
riparazione emessa nei confronti del coimputato, laddove si è affermato che la frequentazione tra i due soggetti integrasse il comportamento ostativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal NOME.
Lungi dallo scandire analiticamente ogni presunto contatto, dal descrivere quali siano state le colpe gravi commesse dal ricorrente (che, si afferma, non era evidentemente a conoscenza delle indagini nei suoi confronti, nonostante la frequentazione con un poliziotto, altrimenti avrebbe interrotto ogni contatto con persone ambigue), la Corte territoriale avrebbe eluso le indicazioni del giudice rescindente che chiedeva un serio, dettagliato ed approfondito accertamento sulla rilevanza delle conoscenze del ricorrente e sulla loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di colpevolezza e, senza vagliare la gravità o meno degli “imprudenti” contatti – e non frequentazioni -, ha valorizzato elementi che non erano stati presi in considerazione dal Giudice per le indagini preliminari e che, anzi, hanno fondato la pronuncia di assoluzione, senza per altro valutare se il ricorrente fosse o meno consapevole della presunta corruzione dell’operante della polizia giudiziaria.
Si richiamano sul punto le spontanee dichiarazioni rese dall’imputato e i chiarimenti da lui forniti in quella sede in ordine ai motivi della frequentazione con il poliziotto computato NOME (cliente del pub di proprietà della moglie del ricorrente, coniugato a sua volta con una signora che lavorava in un CAF, alla quale il ricorrente si è rivolto per una pratica riguardante la figlia).
Secondo la prospettazione difensiva i contatti – e non la frequentazione, sicuramente non definibile “ambigua” – con NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno avuto alcun valore dirimente nell’adozione e nel successivo mantenimento dalla misura cautelare personale, costituendo un dato “neutro”.
Si ribadisce che in sede rescissoria i giudici hanno continuato a non chiarire il nesso concausativo dei contatti tra il ricorrente, da un lato, e NOME COGNOME e NOME COGNOME, dall’altro, i quali, si aggiunge, non sono stati attinti da alcuna investigazione suppletiva; si aggiunge che i giudici della riparazione non hanno superato alcuni dati dirimenti, quali: a) la circostanza che all’atto dell’intercettazione della conversazione del 21 novembre 2014, NOME era già stato trasferito da quindici giorni dalla Squadra mobile e le informazioni veicolate non potevano provenire da lui; b) le notizie sulla presunta “retata” erano millanterie; c) le uniche ragioni della frequentazione tra il NOME e il ricorrent erano quelle spiegate in sede di spontanee dichiarazioni.
In conclusione, l’ordinanza impugnata non dà conto delle condotte gravemente imprudenti ed ostative al riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione e non spiega perché i contatti, poi giudicati ininfluenti e su cui si fonda l’assoluzione del richiedente, siano dimostrativi di un comportamento sconsiderato
e colposamente agevolativo dell’errore commesso dal giudice nell’adozione della misura cautelare.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., dell’art 5 CEDU in relazione all’art. 314 cod. proc. pen., in quanto la previsione contenuta nel menzionato articolo delle cause ostative al riconoscimento dell’indennizzo non trova riscontro nell’art. 5 CEDU, che prescinde dal comportamento tenuto dall’istante e si indicano decisioni della Corte EDU in cui è stata ritenuta la violazione dell’art. 5 CEDU in casi di interpretazione restrittiva delle giurisdizioni interne chiamate a decidere sulle domande di riparazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza e va pertanto rigettato-
1 Con riferimento alla prima doglianza, la Corte di appello di Roma ha puntualmente esposto le ragioni per le quali, sulla scorta delle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, a cui doveva attenersi quale giudice del rinvio, non sussistono i presupposti per il diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione ricorrendo una situazione di colpa grave ostativa all’indennizzo.
1.1 Nel pronunciare l’annullamento con rinvio della precedente ordinanza, la Corte di cassazione aveva ritenuto che non fosse chiaro quale tra gli elementi indicati nell’ordinanza reiettiva (le frequentazioni da parte del ricorrente di tal NOME COGNOME e NOME COGNOME; il silenzio serbato dall’imputato sulle condotte criminose contestatigli; la non veridicità delle spontanee dichiarazioni rese) integrasse la “colpa concausativa”, in uno con l’errore dell’Autorità giudiziaria, della restrizione della libertà: con riferimento al primo elemento, la Corte territoriale non aveva spiegato perché la frequentazione dei due soggetti avesswe contribuito a creare un’apparenza di illiceità nell’agire; il relazione al silenzi serbato in sede di interrogatorio, esso, per effetto dell’entrata in vigore del d. Igs. 8 novembre 2021, n. 188 e della conseguente interpolazione dell’art. 314 cod. proc. pen. integra un dato “neutro”; infine, quanto alle dichiarazioni spontanee, la Corte di appello le aveva indicate come inveritiere, senza tuttavia precisare quali fossero gli elementi falsamente rappresentati.
1.2 I giudici della rimessione, in sede di giudizio di rinvio, hanno lungamente analizzato il procedimento genetico (riportando, nella prima parte, gli elementi rilevanti dell’indagine penale e stralci dell’ordinanza genetica ed analizzando, nella seconda parte, la posizione del coimputato NOME) riservando le pag. 10-13 per i motivi della decisione. Rispondendo a quanto richiesto in sede rescindente la Corte territoriale rigetta la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione
chiarendo la natura delle frequentazioni del ricorrente, sia quelle con NOME COGNOME e NOME COGNOME, dei quali viene spiegato il ruolo criminale, sia, più in generale, con i capizona del sodalizio; illustrando perché la tesi della estraneità del ricorrente ai fatti contestati fosse smentita dagli elementi raccolti; e motivando anche in base alla decisione assunta, in sede di riparazione per ingiusta detenzione, nei confronti del NOME.
In particolare, viene evidenziato che; a) il COGNOME fu attinto dalla misura cautelare perché appariva pronto a fornire il proprio sostegno e favoreggiamento a criminali di elevatissimo spessore, come i COGNOME (capeggiati da NOME COGNOME, detto “COGNOME” o “COGNOME“), i loro congiunti, ossia i COGNOME, coimputati nel medesimo procedimento (ed in particolare a NOME COGNOME, ossia uno dei capo zona) ed i COGNOME (in particolare NOME COGNOME, nipote di NOME COGNOME, a sua volta figlio di “Cià Cià”) prestandosi ad anticipare loro le iniziative della Polizia, spiegare le modalità con le quali avevano attribuito un’arma illegale al coimputato NOME COGNOME (cognato dei due fratelli COGNOME), ossia prelevando il DNA da una bottiglietta dell’acqua offerta proprio dai poliziotti e cercando di essere accreditato come persona per loro “affidabile”; b) che al coimputato NOME è stata rigettata la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione in considerazione dei rapporti con il ricorrente, con il quale aveva avuto ben quarantaquattro contatti, e che aveva “contiguità con gli ambienti criminali”; c) se il COGNOME, che era stato riabilitat dal Tribunale di sorveglianza di Latina, si fosse tenuto lontano dai circuiti criminali di Latina ed avesse avuto uno stile di vita improntato alla frequentazione di persone oneste, e non già ai fiancheggiatori dell’associazione criminale capeggiata da NOME COGNOME (detto “COGNOME“), non avrebbe subito la detenzione cautelare.
Così argomentando, la Corte territoriale è pervenuta legittimamente al rigetto della richiesta di riparazione sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità, con una motivazione puntuale, logica e giuridicamente corretta, a fronte della quale la prospettazione difensiva non si confronta con i principi elaborati in materia di riparazione per ingiusta detenzione e sul diverso ambito valutativo che deve compiere il giudice della riparazione rispetto al giudice della cognizione.
1.3 La giurisprudenza di questa Corte ha elaborato una serie di princìpi vòlti ad orientare il giudice della riparazione nel delicato compito di accertare la sussistenza di una condotta idonea ad integrare il dolo o la colpa grave quali cause ostative al riconoscimento dell’indennizzo. Si è in particolare evidenziato che occorre tenere distinta l’operazione logica propria del giudice del processo penale da quella cui è chiamato il giudice della riparazione, che ha il compito di stabilire «non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono
poste come fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento “detenzione”, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo» (così in motivazione Sez. Un., n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, pag. 8).
1.4. Alla luce di questi principi, deve ritenersi infondato il vizio di violazione d legge come dedotto dal ricorrente, in quanto, in linea con quanto richiesto in sede rescindente e in applicazione dei principi sopra esposti, la Corte territoriale valuta accuratamente la condotta colposa sinergica alla detenzione cautelare posta in essere dal prevenuto, lumeggiando sui rapporti con NOME COGNOME e NOME COGNOME, previa descrizione del ruolo, all’interno della compagine criminale, degli stessi anche in rapporto ai capi del gruppo, così chiarendone i contorni di fatto e gli elementi di prova a sostegno, individuando ai sopra esposti punti a) e c), il comportamento extraprocessuale gravemente colposo tenuto dal ricorrente, e non escluso dal giudice della cognizione, e così la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata, appunto, dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta detenzione.
1.5 Rispetto a questi elementi, la differente valutazione che di essi offre la difesa non intacca il ragionamento condotto dalla Corte territoriale, che ha fatto ricorso ad elementi, quali la frequentazione assidua con personaggi di spessore criminale, per altro proseguita nonostante la riabilitazione, che non sono stati esclusi dal giudice della cognizione: la coerenza logica delle ragioni sottese alla decisione non risulta quindi scalfita dalle censure mosse in ricorso, essendo il convincimento dei giudici della riparazione espresso con esauriente e persuasiva motivazione, in modo tale da non poter costituire vizio che comporti controllo di legittimità la diversa prospettazione dei fatti della ricorrente. Esula, infatti, d poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto, pos a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata – in via esclusiva – al giudice del merito.
Non si ravvisa, infine, da parte della Corte territoriale, quel dedotto “ribaltamento”, ai danni del ricorrente, delle motivazioni contenute nell’ordinanza reiettiva della richiesta di riparazione emessa nei confronti del coimputato del reato, a concorso necessario, di cui al capo S), posto che il giudice rescissorio ha valorizzato un elemento di natura processuale – costituito dalla circostanza che nei confronti del coimputato intraneus NOME la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione è stata rigettata (con provvedimento non censurato in sede di legittimità), in ragione, tra gli altri, proprio dei rapporti con il ricorrente, c quale aveva avuto ben quarantaquattro contatti, e che aveva “contiguità con gli ambienti criminali” – con un percorso argomentativo logico, condotto applicando i principi sopraesposti e fondato su dati obiettivi, e dunque immune da censure.
Anche il secondo motivo non risulta fondato.
2.1 II Collegio intende dare seguito sul punto all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la previsione dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. – che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, in caso di detenzione preventiva formalmente legittima ma sostanzialmente ingiusta – non si pone in contrasto con l’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché quest’ultima norma impone il riconoscimento dell’indennizzo soltanto per la detenzione preventiva formalmente illegittima (Sez. 4, n. 6903 del 02/02/2021, COGNOME, Rv. 280929-01; in termini conformi, anche Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, COGNOME, Rv. 245311-01, secondo cui non si pone in contrasto con l’art. 5, par. 5 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, la previsione dell’art. 314 cod. proc. pen. che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, posto che l’indennizzo, come previsto dalla fonte sopranazionale citata, spetta soltanto a chi sia stato “vittima” di una detenzione in violazione dell’art. 5 cit. In tale decision la Corte ha altresì rilevato che una diversa interpretazione della norma internazionale finirebbe per contraddire il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e comportare una violazione dell’art. 2 Cost.).
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/06/2024