Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 38242 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 38242 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CASTELLANETA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/03/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce – Sézione distaccata di Taranto, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiust detenzione proposta da NOME in relazione alla limitazione della libertà personale subita dal 18/02/2022 al 2/05/2022 nella forma degli arresti domiciliari nell’ambito di un procedimento nel quale era gravemente indiziato del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 essendo stato colto nel possesso, in un immobile in ristrutturazione adiacente la sua abitazione, precisamente in una nicchia, di 113 grammi circa di hashish, da cui secondo i carabinieri erano ricavabili 400 dosi, oltre a un bilancino, alcune bustine atte confezionamento della droga e 300 euro in contanti, mentre sul conto corrente bancario erano stati rinvenuti circa 40.000 euro. L’istante aveva ammesso la detenzione della droga acquistata a tre-quattro euro al grammo per complessivi 150 grammi, evidenziandone l’uso esclusivamente personale, avendo dichiarato’ di fumare quasi 10 grammi al giorno, corrispondenti a circa «10 canne»; l’indagato aveva dichiarato che le bustine erano in loco per conservare il materiale utilizzato per la pesca, che il bilancino serviva per pesare dei colori da usare nella ristrutturazione dell’immobile e che il denaro gli era stato prestato dai genitori per l’acquisto di materiale funzionale alla medesima ristrutturazione. Il possesso di 40.000 euro era stato giustificato quale frutto di risparmio del reddito da lavoro.
2. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando l’ordinanza impugnata, con unico motivo, per inosservanza ed erronea applicazione dell’art.314 cod. proc. pen. nonché per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Premesso che sussistono tutti gli elementi legittimanti la riparazione per ingiusta detenzione, ossia la sentenza di assoluzione con formula «per non aver commesso il fatto», la condotta processuale immediatamente ispirata all’ossequio della legalità, l’assenza di comportamenti qualificabili come colpa grave sinergici rispetto alla detenzione patita, il ricorrente ritiene che l’ordinanza sia connotata da apparato motivazionale lacunoso e illogico. Con riferimento alla condotta extraprocessuale, la Corte di appello non ha spiegato quali siano stati i comportamenti del ricorrente, dolosi o gravemente colposi, tali da incidere sull’adozione della misura cautelare, non essendo logico il mero richiamo al quantitativo sequestrato, agli “pseudo” strumenti da taglio e confezionamento, né essendo sufficiente il mero richiamo al compendo indiziario sul quale il giudice della cautela aveva fondato l’applicazione della misura, essendo necessario che il giudice della riparazione
discerna quali fra gli elementi posti a fondamento della misura cautelare siano riferibili a condotte del richiedente la riparazione. Con riguardo alla condotta endoprocessuale, la Corte ha valorizzato le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio senza spiegare perché esse fossero caratterizzate da un “forte sospetto”. La Corte, secondo il ricorrente, ha valorizzato in maniera apodittica le dichiarazioni rese dall’indagato in sede di interrogatorio senza spiegare in che senso tali dichiarazioni fossero menzognere e tali da incidere sulla falsa apparenza della configurabilità della condotta come illecito penale, trattandosi di dichiarazioni vere sin dall’origine. Sarebbe stato necessario che il giudice della riparazione accertasse quali fossero gli elementi taciuti o falsamente rappresentati. La condizione ostativa può ritenersi realizzata solo se, esulando dalle condotte già oggetto di pronuncia assolutoria, si faccia riferimento a comportamenti esterni che abbiano inciso sulla causazione dell’errore, nel caso in esame non indicati nel provvedimento impugnato.
Il procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione per avere il ricorrente detenuto nella sua abitazione un quantitativo di stupefacente ben superiore alla dose media giornaliera, nonché strumenti utili alla sua partizione lrichiamando precedenti pronunce nelle quali la detenzione di una provvista di stupefacente per uso personale di proporzioni ampiamente superiori alla dose media giornaliera è stata ritenuta condotta gravemente colposa.
Nel caso concreto la Corte ha sottolineato come la quantità di droga rinvenuta in possesso del ricorrente fosse tale da soddisfare il suo bisogno per almeno un mese ed era, peraltro, occultata unitamente a un bilancino. I giudici della riparazione hanno valorizzato anche la condotta endoprocessuale, ossia alcune affermazioni difensive del ricorrente e, in particolare: a) il fatto di ave dichiarato di aver pagato tre o quattro euro al grammo la droga acquistata una settimana prima, manifestando di non sapere neppure chiarire quanto
esattamente l’avesse pagata; b) l’aver dichiarato di aver acquistato circa 150 grammi una settimana prima, mentre le forze dell’ordine ne avevano rinvenuti solo 113, ammettendo di averne consumati 37 grammi in sette giorni ovvero 5 grammi al giorno circa, in contrasto con l’affermazione di consumarne di norma circa 10 grammi al giorno, oltre che con l’ulteriore dichiarazione concernente la sufficienza per circa un mese della droga detenuta; c) l’aver dichiarato che la droga fosse stata rinvenuta in un caminetto e il bilancino in una nicchia mentre il verbalizzante aveva chiarito che droga e bilancino si trovavano occultati insieme in una nicchia; d) il non aver fornito alcuna plausibile spiegazione del perché il bilancino fosse occultato nella nicchia e non fosse in un luogo di pronta disponibilità, funzionale all’uso dichiarato.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio interpretativo, già enunciato da questa Corte, secondo il quale la sproporzione fra l’uso personale ed il peso complessivo della droga detenuta, di per sé ingenera la falsa rappresentazione del reato, tanto più se associata alla disponibilità di oggetti che normalmente vengono utilizzati per la suddivisione in dosi, ai fini di spaccio, integrando una condotta gravemente colposa, consistente nell’aver detenuto una provvista di stupefacente per uso personale di quelle proporzioni, ciò costituendo un comportamento idoneo ad indurre in errore l’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 28341 del 14/06/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 22486 del 18/04/2018, COGNOME, Rv. 273397 – 01; Sez. 4, n. 10516 del 12/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259206 – 01).
Con riguardo alla condotta endoprocessuale, è condivisibile quanto osservato dal Procuratore generale; anche dopo la riforma dell’art. 314 cod. proc. pen. a opera dell’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, ove causalmente incidente sulla determinazione cautelare, incide sull’accertamento della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, posto che la falsa prospettazione di situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 63, comma 3, lett. b), cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282581; Sez. 4, n. 46119 del 29/11/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 4, n. 4612 del 12/01/2023, RAGIONE_SOCIALE, non mass.). GLYPH Nell’ordinanza impugnata sono state analiticamente enunciate le ragioni della ritenuta incongruenza delle spiegazioni fornite dal COGNOME in sede di interrogatorio di garanzia; a tali elementi, sulla cui intrinseca contraddittorietà il ricorso tace, il giudice della riparazione ben poteva
far riferimento in quanto non esclusi nella loro veridicità fattuale dal giudice dell cognizione, seppur in quella sede ritenuti non indicativi di colpevolezza.
Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 settembre 2024
Ilnsigli re estensore
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Il Presi