Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8311 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8311 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PERUGIA il 04/01/1985
avverso l’ordinanza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Perugia ha rigettato la domanda di COGNOME COGNOME di riconoscimento di un indennizzo a titolo di equa riparazione in relazione alla detenzione sofferta (inizialment agli arresti domiciliari e, successivamente, in stato di custodia in carcere) d 20/08/2021 al 11/04/2022, in riferimento a un capo di imputazione ipotizzante il reato previsto dall’art.75, comma 2, d.lgs. n.159/2011.
In punto di fatto, la Corte ha esposto: che il COGNOME era stato sottoposto dal 2014 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo di dimora in Assisi; che il decorso della misura era stato sospeso nell’ottobre 2017 per la necessità di espiare una condanna definitiva ad anni 3, mesi 9 e giorni 5 di reclusione; che, terminata l’espiazione della pena, ne maggio del 2020 il ricorrente era stato immediatamente e nuovamente sottoposto alla predetta misura di prevenzione; che, il 20/08/2021, il ricorrente era stato quindi arrestato nella flagranza della violazione di det misura e sottoposto alle predette misure cautelari detentive, prima dell’assoluzione pronunciata dalla Corte di appello di Perugia, con sentenza divenuta definitiva.
Ha quindi esposto che il ricorrente aveva considerato ingiustificato il periodo di detenzione subìto, in quanto la nuova applicazione della misura di prevenzione non era stata preceduta dal necessario accertamento ex novo della pericolosità sociale.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha ritenuto che la domanda non potesse essere accolta attesa la sussistenza del presupposto ostativo rappresentato dalla colpa grave del ricorrente.
La Corte territoriale – nel condividere le relative conclusioni della difes erariale – ha difatti argomentato che il COGNOME, pure se convinto dell’infondatezza giuridica del provvedimento di nuova sottoposizione alla misura di prevenzione, avrebbe dovuto attivarsi in via giurisdizionale al fine di contestare la relativa legittimità, anziché violare unilateralmente conseguenti disposizioni restrittive; conseguendo da tale premessa il rigetto della domanda.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione, con il quale ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1,
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lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.314 cod.proc.pen. e contraddittorietà della motivazione in punto di sussistenza della colpa grave.
Premessa la ricostruzione del fatto, la difesa ha contestato la conclusione del giudice della riparazione, in base alla quale l’istante avrebbe dovut sottostare a restrizioni illegittime in attesa che il Tribunale sancisse contrarietà a legge della nuova applicazione della misura di prevenzione; ha esposto che il mezzo dell’impugnativa in materia di misure di prevenzione, regolato dall’arti° del d.lgs. n.159/2011, non sarebbe stato esperibile quanto – da un lato – il provvedimento applicativo risaliva al 21/05/2014 e, in relazione a esso, era comunque scaduto il termine perentorio di giorni dieci per l’impugnazione e – dall’altro – non esisteva alcun provvedimento da impugnare, atteso che, nel caso di specie, di vi era solo stata un sottoposizione illegittima al regime di sorveglianza speciale da parte dei Carabinieri.
Ha quindi ritenuto che il giudice della riparazione avrebbe errato nel ritenere gravemente colposo il comportamento tenuto dall’istante, anche in considerazione del fatto che sarebbe stato compito del giudice della cognizione (e, specificamente, di quello che aveva provveduto alla originaria convalida dell’arresto in flagranza) accertare che non sussistevano i presupposti per la nuova sottoposizione alla misura di prevenzione.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella qual ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
In punto di premessa, va ricordato che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, co conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi de domanda (la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione), mentre alla parte resistente incombe di provare il dolo o la colpa grave da part dell’istante medesimo quali causa o concausa del provvedimento restrittivo (Sez. 4, n. 18828 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276261).
Nella fattispecie, la parte ricorrente ha dimostrato gli elementi costitutivi della propria domanda ma – nel contempo – deve essere condivisa la valutazione del giudice della riparazione in punto di sussistenza del presupposto ostativo previsto dall’art.314, comma 1, cod.proc.pen..
Nella vicenda processuale in esame, l’istante è stato assolto dal reato contestato dall’art.75, comma 2, d.lgs. n.159/2011 (che sanziona la violazione degli obblighi connessi alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale), in riferimento al disposto dell’art.14, comma 2ter, dello stesso testo normativo (introdotto dalla I. 17 ottobre 2017, n.161), in base al quale – in caso di sospensione dell’esecuzione della misura determinata dalla necessità di espiazione di una pena definitiva – è onere del Tribunale, prima di disporre la prosecuzione della misura di prevenzione, di procedere a un nuovo esame della pericolosità sociale del sottoposto.
Innovazione normativa che, a propria volta, si è riconnessa all’arresto espresso da Corte Cost., 2 dicembre 2013, n. 291, che aveva dichiarato l’illegittimità dell’art.15 del d.lgs. n.159/2011, proprio nella parte in cui non prevedeva che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura.
In riferimento a tale mutato quadro normativo – e con arresto direttamente posto a fondamento della pronuncia assolutoria – Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, M., Rv. 273952, hanno fissato il principio per cui non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura.
Operata tale premessa, deve peraltro essere ritenuta conforme al complessivo quadro normativo la valutazione del giudice della riparazione, nella parte in cui ha ritenuto che l’omissione – verificatasi nel caso di specie – della nuova valutazione in ordine al dato della pericolosità del soggetto già sottoposto alla sorveglianza speciale, non legittimasse in alcun modo lo stesso a sottrarsi unilateralmente alle relative prescrizioni in assenza di un
provvedimento emesso da parte dell’autorità procedente a seguito di apposita istanza da parte dell’interessato.
Tanto in considerazione della pregiudiziale argomentazione in forza della quale il vincolo apposto in esecuzione di un provvedimento giurisdizionale non può essere unilateralmente violato da parte del soggetto che vi sia sottoposto; considerazione che porta, conseguentemente, a ritenere che sussista, come ritenuto dalla Corte territoriale, un presupposto ostativo a riconoscimento dell’indennizzo configurandosi la condotta del ricorrente, a tutti gli effetti, come dolosa.
Ulteriormente, risulta comunque del tutto infondata l’argomentazione difensiva per la quale l’istante non avrebbe, di fatto, avuto a disposizion alcuno strumento per far valere in via giurisdizionale l’illegittimità del nuova sottoposizione agli obblighi della sorveglianza speciale, non essendo – nella fattispecie – stato emesso un nuovo provvedimento soggetto a impugnazione.
Difatti, l’interessato ben avrebbe potuto avvalersi dello strumento della richiesta di revoca – ai sensi dell’art.11 del d.lgs. n.159/2011 – fonda sull’illegittimità della nuova esecuzione della misura di prevenzione in assenza del necessario nuovo controllo sulla pericolosità da parte dell’autorità giurisdizionale.
Deve quindi ritenersi che il giudice della riparazione, previa valutazione della illegittimità della violazione unilaterale delle prescrizioni, abbia logicamente ravvisato il presupposto ostativo in capo al richiedente l’indennizzo, con conseguente insussistenza del lamentato profilo di violazione di legge.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presíd nte