Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25452 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25452 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SANTA NOME A VICO il 01/06/1956
avverso l’ordinanza del 12/12/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME con cui ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Napoli ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita in un procedimento penale nel quale era stato sottoposto alla misura cautelare detentiva in ordine ai delitti di cui agl artt.416, 319 e 321 cod. pen. (dal 30 settembre 2016 al 13 ottobre 2016 in carcere e dal 14 ottobre 2016 al 7 aprile 2017 in regime di arresti domiciliare).
1.1 COGNOME era stato sottoposto a misura cautelare con ordinanza del Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Il Tribunale del riesame, con ordinanza del 14 ottobre 2016, aveva annullato la misura cautelare per assenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 416 cod. pen. e aveva, invece, confermato la misura in relazione al reato di cui agli artt. 319 e 321 cod. pen.; con successiva ordinanza del 7 aprile 2017 lo stesso Tribunale aveva revocato la misura anche in ordine al reato di corruzione per essere cessate le esigenze cautelari.
Secondo l’impostazione accusatoria COGNOME nella qualità di Comandante della Polizia Municipale del comune di San Felice a Cancello, NOME COGNOME nella qualità di Sindaco , e NOME COGNOME nella qualità di Responsabile dell’UTC, quale corrispettivo di atti contrari ai doveri del loro ufficio, consistiti nel ril di un permesso di costruire illegittimo in relazione ad un immobile di proprietà degli imprenditori COGNOME da adibire a supermercato e nell’omissione dei successivi controlli, avevano ottenuto l’utilità dell’assunzione presso il supermercato del figlio (COGNOME) e l’utilità dell’ampliamento del bacino elettorale (COGNOME).
1.2. Con sentenza del 17 maggio 2018, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva assolto COGNOME dal delitto di cui all’art. 416 cod. pen., perché il fatto non sussiste e dal delitto di cui agli artt. 319 e 321 cod. pen. per non aver commesso il fatto (in ordine ai tale ultimo delitto erano stati condannati il sindaco COGNOME e NOME COGNOME). La Corte di Appello, con sentenza del 3 febbraio 2020, irrevocabile il 2 gennaio 2021, aveva confermato la pronuncia assolutoria di primo grado.
1.3.La Corte della riparazione ha rigettato la domanda, rilevando GLYPH la sussistenza della condizione ostativa della colpa grave.
Avverso l’ordinanza, NOME COGNOME ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, COGNOME formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla sussistenza della condizione ostativa della colpa grave.
Secondo il difensore la condotta estraprocessuale gravemente colposa del ricorrente sarebbe stata desunta non già da fatti processualmente accertati, bensì da meri sospetti. Nella sentenza assolutoria, infatti, si era dato atto:
che la responsabilità del ricorrente non poteva fondarsi sulla conversazione del 4 marzo 2014 fra il sindaco NOME COGNOME e NOME COGNOME nel corso della quale il primo aveva manifestato interesse all’assunzione del figlio di COGNOME, giacché da tale conversazione non era emerso alcun accordo corruttivo fra quest’ultimo e i COGNOME;
che in tale data i fratelli COGNOME stavano realizzando l’immobile da adibire a supermercato sulla base di un titolo, permesso di costruire, rilasciato dal comune il 13 febbraio 2014, sicché nessun timore potevano avere per un eventuale intervento della Polizia Municipale;
che COGNOME non aveva avuto un ruolo nel rilascio del permesso di costruire, né aveva omesso di eseguire controlli in relazione all’andamento dei lavori.
Vero è che lo stesso COGNOME aveva ammesso di aver richiesto al Sindaco e ai fratelli COGNOME l’assunzione del figlio presso il supermercato che doveva essere aperto all’interno dell’immobile assentito, ma tali richieste non erano illecite e potevano al più ingenerare meri sospetti.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione sub specie di travisamento degli atti processuali. Il difensore osserva che non risponde al vero che Scarano nei mesi precedenti al febbraio 2024 avesse operato il sequestro dell’immobile (eseguito da altro personale della Polizia Municipale), avendo egli solo notificato il provvedimento di dissequestro dopo il rilascio, in data 13 febbraio 2014, del permesso di costruire in sanatoria. Gli imprenditori COGNOME, inoltre, erano solo proprietari dell’immobile, locato alla società RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, aveva in gestione il supermercato in franchising e, dunque, selezionava il personale.
Le indagini avevano consentito di accertare solo i seguenti contatti: il 4 febbraio 2014 il sindaco aveva inviato un messaggio a tutti coloro che dovevano sostenere un colloquio di lavoro e quindi anche a Scarano, fissato per l’11 febbraio; il 10 febbraio 2014 COGNOME aveva chiamato COGNOME e per sua stessa ammissione gli aveva raccomandato il figlio; il 12 febbraio 2014 e il 21 febbraio 2014 COGNOME aveva chiamato COGNOME per sapere se avesse provveduto a segnalare il figlio ai dirigenti del Todis; il 4 marzo COGNOME aveva chiamato COGNOME per avere notizie del colloquio ricevendo rassicurazioni.
Infine non risponde al vero che COGNOME era stato scartato al primo colloquio, in quanto i testi avevano chiarito che tutti i candidati effettuavano due colloqui.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, ha depositato una memoria con cui ha chiesto rigettarsi o dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
Si deve premettere che, nelle ipotesi in cui la restrizione della libertà personale sia sofferta in ragione di una pluralità di addebiti, è sufficiente, ai f del rigetto dell’istanza, che il giudice della riparazione ravvisi la condizion ostativa in ordine anche ad una sola delle ipotesi di reato contestate (Sez. 6, n. 27212 del 17/09/2020 Rv. 279618 secondo cui l’interesse ad impugnare una misura cautelare personale dopo la sua cessazione, in caso di provvedimento coercitivo emesso per una pluralità di imputazioni, è ravvisabile, ai fini dell’equa riparazione per l’ingiusta detenzione, solo ove si faccia questione della sussistenza delle condizioni di applicabilità per tutti i titoli di reato per i quali la misura è disposta).
Nel caso in esame, come detto, la Corte d’appello ha rigettato l’istanza, ravvisando, con riferimento al titolo cautelare relativo al delitto di corruzione nella condotta extraprocessuale del ricorrente la colpa grave, ostativa alla riparazione.
Ciò premesso, si osserva, da un punto di vista generale, che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbi dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a
configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta dì una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). A tal fine, peraltro, il giudice della riparazione non può valorizzare elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, con la conseguenza che non possono essere considerate ostative al diritto all’indennizzo condotte escluse sul piano fattuale o ritenute non sufficientemente provate con la sentenza di assoluzione (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350). Il giudice deve esaminare e apprezzare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, con particolare riferimento alla sussistenza d condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Hosni NOME COGNOME, Rv. 276458).
3.Nel caso di specie, la Corte d’appello ha dato atto che la misura cautelare si era fondata sulle seguenti circostanze. COGNOME, all’epoca dei fatti (febbraiogiugno 2014), era il Comandante della Polizia Municipale di San Felice a Cancello, che nei mesi precedenti aveva eseguito il decreto di sequestro di opere abusive realizzate dagli imprenditori COGNOME su un fondo su cui insisteva un capannone, in cui avrebbe dovuto essere aperto un sernnercato della catena Todis. Il 13 febbraio 2014, l’Ufficio Tecnico aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria in favore degli imprenditori COGNOME, sicché il sequestro era stato revocato e l’immobile era stato restituito con provvedimento notificato dallo stesso COGNOME. Nel corso delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica, era stata accertata l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria, fondato sull’aggiunta alla cubatura assentibile in relazione al fondo occupato, di altra cubatura assentibile in favore di altro fondo confinante, ma già utilizzata per la realizzazione di volumi ancora esistenti. Nel procedimento penale l’accusa aveva ipotizzato che il Comandante della Polizia Municipale avesse assicurato che, dopo il rilascio del permesso illegittimo, non sarebbero stati effettuati controlli, i cambio della assunzione del figlio come dipendente del supermercato. Erano emersi contatti telefonici fra Scarano e i COGNOME ed era stata registrata una
conversazione nel corso della quale il sindaco COGNOME aveva contestato ai COGNOME di non avere assunto il figlio di COGNOME. Il ricorrente, in sede di interrogatorio garanzia, aveva ammesso di avere effettuato, in data antecedente e successiva al rilascio del permesso, alcune telefonate, documentate dai tabulati telefonici, nel corso delle quali aveva “caldeggiato” con COGNOME NOME e con il sindaco COGNOME l’assunzione del figlio.
La sentenza assolutoria aveva confermato tali circostanze, pur se le aveva ritenute insufficienti a provare il coinvolgimento del ricorrente nell’accordo corruttivo, per il quale erano stati, invece, condannati il sindaco, interessato ad ampliare il bacino di voti, e gli imprenditori che avevano ottenuto il permesso di costruire illegittimo.
La Corte della riparazione ha ritenuto che le condotte su indicate, accertate nel loro accadimento fattuale fossero connotate da colpa grave per macroscopica imprudenza e avessero indotto in errore il giudice della cautela.
Così riassunto il percorso della Corte, i due motivi di ricorso, da trattare unitariamente in quanto entrambi attinenti alla individuazione della condizione ostativa, sono infondati.
4.1. Sotto un primo profilo, il ricorrente COGNOME> sottolinea che le circostanze invocate dal giudice della riparazione come gravemente colpose erano state ritenute insufficienti dai giudici di merito a fondare una pronuncia di condanna. In tal modo, tuttavia, non tiene conto che il giudizio in ordine alla affermazione della responsabilità e il giudizio di riparazione si muovono su piani autonomi e distinti. In sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Ne consegue che, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilev che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell aldilà ogni ragionevole dubbio (Sez. 4, n 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280246).
4.2. Sotto un secondo profilo, il ricorrente afferma che i dati di fatto riportat non sarebbero stati confermati dalla sentenza assolutoria, quando invece la Corte, in ossequio al principio per cui il giudice della riparazione non può valorizzare
elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, ha preso in esame proprio le condotte che in sede di cognizione erano state accertate nel loro accadimento . fattuale, a nulla rilevando che tali condotte siano state ritenute penalmente irrilevanti. La Corte ha individuato il nucleo centrale della colpa grave del ricorrente nel suo essersi rivolto ai COGNOME, nello stesso periodo in cui era in corso, negli uffici del Comune ove egli era Comandante della Polizia Municipale, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria relativo ad un capannone di loro proprietà, affinché assumessero il figlio nell’attività commerciale che ivi avrebbe dovuto essere ospitata. Tale condotta, come detto, è stata ammessa dal ricorrente in sede di interrogatorio e indicata come dato di fatto non contestato anche nello stesso ricorso.
Infine la valutazione della condotta descritta come gravemente imprudente non si presta a censure. La colpa ostativa, infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, è integrata da macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, che realizzino una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203636-01). In tal senso, è sufficiente osservare che la “raccomandazione” da parte di un pubblico ufficiale viene ricondotta alla nozione di “altre utilità” rilevante ai fini della integrazione del delitto di cui all’art. 31 pen. (Sez. 6, n. 18707 del 09/02/2016, Corbo, Rv. 266991 – 01), sicché non illogica è la qualifica di tale condotta come ostativa.
5.AI rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U., n. 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese in favore del Ministero resistente.
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