Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2038 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2038 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: °” 14’• i 7e4Ati• GLYPH F gv • I N ?”(– NOME COGNOME nato a MONOFIYA( EGITTO) il 15/03/1986
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sulle conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Roma /con ordinanza del 30 gennaio – 20 febbraio 2024 ( ha accolto la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME il quale è stato ristretto agli arresti domiciliari dal 27 agosto 2018 all’il gennaio 2019 con l’accusa di intralcio alla giustizia (art. 377 cod. pen.)/ in relazione ai delitti di falsa testimonianza e d tentata estorsione (artt. 372 e 56-629 cod. pen.), da cui è stato irrevocabilmente assolto dal Tribunale di Roma, per insussistenza dei fatti, con sentenza del 9 febbraio 2021. In conseguenza, la Corte territoriale ha liquidato ai sensi dell’art. 314 cod. pen. la somma ritenuta di giustizia.
La Corte territoriale dà atto che la persona offesa NOME COGNOME sentita a dibattimento, ha negato i fatti denunziati nel corso delle indagini, escludendo di essere stato a suo tempo vittima di minacce da parte dell’imputato; i giudici di merito hanno escluso che il teste fosse stato sottoposto a violenza o a minaccia affinché rendesse una falsa testimonianza.
I giudici di merito informano che un’altra persona offesa, tale NOME COGNOME che aveva nelle indagini affermato di avere ricevuto minacce, è risultata irreperibile e che le dichiarazioni a suo tempo rese sono state acquisite ex art. 512 cod. proc. pen., per irreperibilità ma non valutate tali, per mancanza di elementi di riscontro, da ritenere provati i fatti a suo tempo affermati.
Inoltre, una terza persona offesa, NOMECOGNOME ha fortemente ridimensionato quanto detto nelle indagini, affermando di avere ricevuto una mera offerta risarcitoria e non già minacce.
L’ordinanza dà atto anche che l’imputato, che nell’interrogatorio aveva risposto alle domande, si era professato innocente e che lo stesso il giorno 31 gennaio 2018, data dei fatti contestati al capo C), si trovava – non implausibilmente – in luogo distante dalla Stazione Termini di Roma, ciò risultando dai tabulati del suo cellulare.
Ciò posto, ricorre per la cassazione dell’ordinanza il Ministero dell’economia e Finanze, tramite Avvocatura dello Stato, che, richiamata la motivazione del provvedimento, sottopone la stessa a censura / lamentando illogicità ed insufficienza della motivazione in relazione all’assenza dei presupposti di cui all’art. 314 cod. proc. pen.
Rammenta Parte ricorrente che l’ordinanza cautelare genetica ed il provvedimento confermativo del Tribunale per il riesame davano atto dell’esistenza di una vera e propria «folla di voci accusanti che non potevano e
non erano un gruppo di accoliti perseguitanti un personaggio scomodo» (così alla p. 6 del ricorso).
La ratio solidaristica dell’istituto in questione non si attaglierebbe al caso di specie, in cui la detenzione cautelare deriverebbe, in realtà, da un marchiano contributo posto in essere dal soggetto che la ha subita.
La illogicità e contraddittorietà dell’ordinanza sarebbe palese, riferendo la stessa nella prima parte condotte palesemente ostativ quali le denunzie ricevute per condotte estorsive e minacciose e inoltre le valutazioni sul fumus commissi delicti e sulle esigenze cautelari svolte dal G.i.p. e dal Tribunale per il riesame, ciononostante giungendosi a concludere per l’assenza di colpa del richiedente la equa riparazione. Tutto ciò depone per la necessità di annullamento dell’ordinanza, «a meno che si considerino i testi NOME.] una consorteria di bugiardi senza movente» (così alla p. 7 del ricorso).
Richiamati più precedenti di legittimità stimati pertinenti in tema di apparenza depistante causata dall’imputato e di cdndotte tali da poter essere percepite all’esterno quale contiguità criminale, in tema di nesso eziologico tra condotta e privazione della libertà, di imprudenza ipoteticamente derivante da frequentazioni ambigue o rischiose, si chiede l’annullamento dell’ordinanza.
Il P.G. di legittimità inella articolata requisitoria scritta del 13 agosto 2024 ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero.
Con memoria del 24 settembre 2024 la Difesa di NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni.
Essendo l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione esclusa, secondo l’espresso disposto dell’art. 314 cod. proc. pen., qualora l’istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivó e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636), compito del giudice di merito è la individuazione, ove ne ricorrano eventualmente gli estremi, di eventuali concotte dolose o colpose concausative della privazione della libertà tenendo conto che: «dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali
(indipendentemente dal fatto di con fliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dellld quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo», sicché l’essenza del dolo sta, appunto, «nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all’evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento riparatorio» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636); e che il concetto e la area applicativa della colpa vanno ricavati dall’art. 43 cod. pen., secondo cui «è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l’ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore l’organo giudiziario»: in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc.) «pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria con l’adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636). Senza trascurare che in tale ultimo caso la colpa deve essere “grave”, come, esige la norma, «connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636).
Posto che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano “dato causa” o abbiano “concorso a dar causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, per escludere il diritto in questione è necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi “accertati o non negati” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636; in conformità, tra le Sezioni semplici, v. Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867), con esclusione, dunque, di dati meramente congetturali.
Si è precisato che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo
giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma «se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata dalla parte» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME e altri, Rv. 203638; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, COGNOME e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114).
Il giudice della riparazione deve seguire, quindi, un iter logicomotivazionale autonomo rispetto a quello del processo penale e costituisc€635compito del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave. In particolare, «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione» (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238; in senso conforme, tra le altre, Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808).
Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha, ovviamente, l’obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica: infatti, il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione.
Effettuata tale premessa, il Collegio rileva che la motivazione dell’ordinanza impugnata incappa in un errore di metodo, colto – in sostanza nell’atto di impugnazione dell’Avvocatura erariale. La Corte territoriale, in effetti, ragiona richiamando, quasi parafrasando, le risultanze del processo di merito, concluso con sentenza assolutoria. Se così fosse, vi sarebbe un sostanziale automatismo tra pronunzia liberatoria e riconoscimento del diritto alla equa
riparazione, ciò che, però, non corrisponde alla voluntas legis (art. 314 cod. proc. pen.), mentre, come si è già visto e come appare opportuno ribadire, costituisce compito precipuo del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare ovvero ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto i richiamati profili, appunto, del dolo o della colpa grave.
4.’ Consegue, di necessità, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese tra le Parti quanto al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le Parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Così deciso il 02/10/2024.