Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 27 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 27 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORTONA il 15/03/1949
avverso l’ordinanza del 03/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita, perché ritenuta gravemente indiziata di plurimi furti in abitazione commessi in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, delitti dai quali la ricorrente è stata definitivamente assolta.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione l’interessata, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
Si deduce, in sintesi, che il Giudice della riparazione non abbia fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di una condotta ostativa, limitandosi a richiamare il quadro indiziario che aveva costituito il fondamento per l’emissione del provvedimento di carcerazione, indipendentemente da quanto verificato in sede di cognizione nella pronuncia assolutoria.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
In linea generale, si deve osservare che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano “dato causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà o abbiano “concorso a darvi causa”, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà personale. Al riguardo si deve innanzitutto rilevare che è sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione di escludere il diritto in questione in base a dati di fatto certi, cioè ad elementi «accertati o non negati» (Sez. U n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636); tale valutazione, quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non definitivamente comprovati non solo nella loro
ontologica esistenza, ma anche nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato (v. anche, in motivazione, Sez. 4, n. 10684 del 26/01/2010, Morra, non mass.). È altrettanto evidente che giammai, in sede di riparazione per ingiusta detenzione, potrà essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al diritto all’indennizzo, a condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate (in senso accusatorio) con la sentenza di assoluzione (cfr. Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n. 21598 del 15/4/2014, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993 – dep. 1994, COGNOME, Rv. 198491).
Nel caso in esame, la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi, avendo GLYPH ipotizzato GLYPH una GLYPH condotta GLYPH colposa della GLYPH interessata, fondata, essenzialmente, sugli stessi elementi che avevano condotto all’arresto della medesima, vale a dire sui contatti telefonici fra l’istante e le coimputate Riviera e COGNOME nei giorni di commissione dei furti, asseritamente attestanti la presenza delle imputate nei luoghi di commissione dei delitti, e sul riconoscimento fotografico della ricorrente da parte di talune persone offese in sede di indagini, rispetto alle quali la RAGIONE_SOCIALE “non ha offerto alcuna plausibile versione alternativa a giustificazione della sua estraneità” ai furti, così configurandosi “un grave quadro indiziario a carico della stessa”, deponente “per un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento dell’indennizzo” (v. pag. 3 ordinanza impugnata).
In tal modo, tuttavia, i giudici della riparazione hanno confuso il piano della valutazione della gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen. ai fini della emissione della misura cautelare con quello della verifica ex post di una condotta ostativa, gravemente colposa, sinergica all’emissione della misura, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
Va qui ribadito, inoltre, che la facoltà del giudice della riparazione di valutare autonomamente i dati indiziari processualmente emersi, al fine di stabilire l’eventuale sussistenza di fattori ostativi al diritto all’indennizzo, non può spingersi fino al punto di attribuire al richiedente comportamenti che risultano esclusi o comunque non provati da parte del giudice della cognizione, in quanto ciò significherebbe stravolgere il principio solidaristico che è alla base dell’istituto, consentendo di negare l’istanza sulla base di elementi disattesi dalla stessa sentenza di assoluzione, costituente presupposto dell’ingiusta detenzione.
In buona sostanza, è evidente che l’eventuale colpa ostativa della ricorrente non può essere desunta da fatti o comportamenti la cui valenza negativa è stata definitivamente esclusa in sede di cognizione.
Nel caso di specie, la ricorrente ha fondatamente richiamato l’accertamento di merito compendiato nella sentenza assolutoria del Tribunale di Milano, da cui si evince che il riconoscimento fotografico posto a fondamento della misura è stato disatteso, perché il giudice della cognizione ha ritenuto non credibili le persone offese escusse in dibattimento, così privando di qualsiasi valenza probatoria tutti gli atti di individuazione fotografica; inoltre, il giudicante non ha attribuito alcu particolare rilievo alle risultanze dei tabulati telefonici, né ha mai affermato che i detti tabulati attestassero la presenza delle imputate nei pressi delle abitazioni delle persone offese.
Peraltro, il provvedimento impugnato palesa la sua evidente incongruenza laddove individua, quale comportamento ostativo della richiedente, il riconoscimento fotografico operato dalle persone offese, atto certamente non riconducibile alla RAGIONE_SOCIALE; né si comprende quale versione alternativa avrebbe dovuto contrapporre l’interessata a tale individuazione fotografica, al di là della sua dichiarazione di essere estranea ai fatti.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, in definitiva, si palesa illogica e giuridicamente viziata, nella misura in cui omette di individuare una specifica condotta ostativa, limitandosi a porre a fondamento della propria decisione elementi indiziari venuti meno a seguito della sentenza assolul:oria.
Le considerazioni che precedono impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Milano, che provvederà anche alla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 30 novembre 2023
GLYPH
Il Consd e e estensore
Il Prsiceite