Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6301 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6301 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a MEZZOJUSO il 23/07/1956
avverso l’ordinanza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28 giugno 2024 (depositata il 20 settembre 2024), la Corte di appello di Palermo ha respinto la domanda formulata da NOME COGNOME per la liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta privazione della libertà personale sofferta dal 17 dicembre 2013 al 21 marzo 2014.
La misura cautelare fu disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo con ordinanza del 19 dicembre 2013, all’esito dell’udienza di convalida di un arresto che era stato eseguito il 17 dicembre 2023. Il G.i.p. convalidò l’arresto, ritenne sussistenti gravi indizi del reato di cui all’art. 314 co pen. e ritenne esservi pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. Pertanto, applicò a Muscarello la misura cautelare della custodia in carcere. Con ordinanza del 31 dicembre 2013 il Tribunale del riesame di Palermo sostituì la misura custodiale con quella degli arresti domiciliari. Il 21 marzo 2014 l’indagato fu posto in libertà.
Secondo l’ipotesi accusatoria, NOME COGNOME, dipendente della «RAGIONE_SOCIALE» (già «RAGIONE_SOCIALE») – società a partecipazione pubblica totale cui è affidata la gestione dei servizi di igiene e sicurezza ambientale del Comune di Palermo – si era appropriato di circa 327 litri di gasolio, che aveva prelevato dalla cisterna del distributore di carburante della società e aveva poi trasferito in bidoni, bottiglie ed altri contenitori collocati nell’ufficio carbu adiacente al distributore. L’accusa sosteneva che una parte del gasolio sottratto era stata travasata, poco prima dell’arresto, nel serbatoio della Fiat Marea targata TARGA_VEICOLO che fu rinvenuta (con lo sportello del serbatoio aperto) nel magazzino attiguo all’ufficio carburanti. L’auto risultò essere di proprietà di NOME COGNOME (dirigente del settore amministrazione e finanza della «RAGIONE_SOCIALE»). Questi era presente sul posto e fu imputato del reato a titolo di concorso con COGNOME e con altri dipendenti della società la cui posizione non rileva in questa sede (capo A).
Secondo l’accusa, il solo COGNOME si era appropriato anche di indumenti da lavoro di proprietà della «RAGIONE_SOCIALE» (Azienda municipalizzata confluita nella «RAGIONE_SOCIALE»), che furono rivenuti, ancora confezionati, in un armadio della sua abitazione (capo B).
All’esito del giudizio di primo grado, COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo A) solo con riferimento all’appropriazione di circa 30 litri di carburante utilizzati il giorno dell’arresto per rifornire l’auto di Rocca. È stat assolto, invece, dalle restanti imputazioni «perché il fatto non sussiste».
Con sentenza del 17 febbraio 2022 (irrevocabile il 6 giugno 2022), ritenuta l’insussistenza del fatto, la Corte di appello di Palermo ha assolto COGNOME e COGNOME dall’accusa della quale erano stati ritenuti responsabili in primo grado.
2.1. Dal provvedimento impugnato risulta che i gravi indizi sulla base dei quali la misura cautelare fu applicata erano costituiti: dall’esito del servizio d osservazione eseguito dal personale del Commissariato di PS di Brancaccio presso l’impianto di distribuzione di carburante di proprietà della «RAGIONE_SOCIALE», dalle perquisizioni eseguite (anche nelle abitazioni degli indagati) e dai sequestri conseguenti. La richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, proposta da Muscarello il 26 ottobre 2023, è stata respinta dalla Corte di appello, secondo la quale il comportamento che gli operanti osservarono quando decisero di procedere all’arresto, pur valutato privo di rilevanza penale, è gravemente colposo: dunque ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo. La Corte territoriale ha sottolineato, inoltre, che, quando fu interrogato dal G.i.p., COGNOME non fornì «una lettura alternativa» della propria condotta e si limitò a negare di aver travasato gasolio nell’auto di Rocca sostenendo di non sapere chi lo avesse fatto. Secondo la Corte territoriale, tali dichiarazioni sarebbero mendaci e la scelta difensiva adottata, gravemente imprudente, contribuì al protrarsi della privazione della libertà personale.
Contro il provvedimento della Corte di appello ha proposto tempestivo ricorso il difensore e procuratore speciale di NOME COGNOME.
3.1. Col primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto. La difesa rileva che la Corte territoriale non ha chiarito le ragioni per le quali l condotta osservata dagli operanti sarebbe gravemente colposa e ricorda che, secondo i giudici della cognizione, COGNOME non si è appropriato indebitamente degli indumenti rinvenuti nella sua abitazione, non si è appropriato di gasolio della società e neppure ha rifornito di gasolio l’auto di proprietà di Rocca. Osserva, inoltre, che nell’interrogatorio reso di fronte al G.i.p., COGNOME ha sostenuto la propria estraneità ai fatti e tale estraneità è stata confermata dall’assoluzione, sicché l’affermazione secondo la quale egli avrebbe reso dichiarazioni mendaci non ha fondamento alcuno. Rileva il difensore che il comportamento processuale dell’imputato è stato estremamente corretto e che, «con dichiarazione personalmente resa al Tribunale di Palermo», COGNOME ha rinunciato alla prescrizione.
3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Ricorda che, nella valutazione del dolo o della colpa
grave ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione, il giudice non può attribuire rilievo a condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate dal giudice della cognizione e sostiene che proprio questo sarebbe avvenuto nel caso di specie. In tesi difensiva, l’ordinanza impugnata: si è limitata a valorizzare gli elementi indiziari sulla base dei quali fu applicata la misura; non ha tenuto conto del fatto che le sentenze di assoluzione hanno escluso condotte di appropriazione; ha considerato rilevante a titolo di colpa che COGNOME abbia «disconosciuto gli addebiti», illogicamente valutando mendaci tali dichiarazioni.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Con memoria del 22 dicembre 2024, l’Avvocatura dello Stato ne ha chiesto il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto ostative al riconoscimento del diritto all’indennizzo le condotte osservate dagli ufficiali di Polizia giudiziaria che procedettero all’arresto di COGNOME. Nel descrivere tali condotte, l’ordinanza impugnata afferma (pag. 7) che COGNOME fu visto «mentre versava, con un innaffiatoio, del gasolio nell’auto di Rocca».
La difesa contesta tale affermazione e sottolinea che, nel giudizio di primo grado, COGNOME è stato ritenuto responsabile dell’appropriazione del gasolio immesso nell’autovettura Fiat “RAGIONE_SOCIALE” nella disponibilità di Rocca, ma da questa accusa egli è stato definitivamente assolto in grado di appello per insussistenza del fatto. Rileva, dunque, che la condotta consistita nel rifornire di gasolio l’auto di Rocca è stata ritenuta non provata nel giudizio di cognizione, sicché i giudici della riparazione non avrebbero potuto prenderla in considerazione per escludere il diritto all’indennizzo. Secondo la difesa, a ciò deve aggiungersi che, non avendo rifornito l’auto di Rocca, COGNOME non dichiarò il falso quando disse di non sapere chi lo avesse fatto, sicché l’ordinanza impugnata merita censura anche quando afferma che l’indagato rese dichiarazioni mendaci e, mentendo, contribuì al protrarsi della privazione della libertà personale.
Nell’individuare come ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione la condotta consistita nel rifornire di gasolio l’auto di proprietà di Rocca, la Corte di appello non ha fatto buon governo dei principi di diritto che ha dettagliatamente
illustrato nella parte inziale dell’ordinanza impugnata. Non ha considerato infatti che, all’esito del giudizio di cognizione, questa condotta è stata ritenuta non provata. Avendo ignorato il contenuto della sentenza di assoluzione, la Corte di appello ha considerato mendaci le dichiarazioni rese da COGNOME nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto: dall’ordinanza impugnata risulta che, in quell’udienza, l’odierno ricorrente si limitò a negare di aver rifornito di gasoli l’auto di Rocca sostenendo di non sapere chi lo avesse fatto e l’intervenuta assoluzione porta a ritenere che il giudizio di cognizione non abbia fornito prova certa della falsità di tali dichiarazioni.
Va detto che la condotta consistita nel rifornire di gasolio l’auto di Rocca non è l’unica alla quale la Corte territoriale ha fatto riferimento. L’ordinanza impugnata ricorda (pag. 6): che COGNOME fu visto prelevare gasolio per riempire un innaffiatoio; che all’interno dell’ufficio carburanti fu rinvenuto, «su una scrivania e messo ben in vista, altro gasolio riposto in bidoni e bottiglie»; che, in quello stesso locale, furono trovati altri «innaffiatoi emananti odore di carburante»; che, nell’armadietto personale di COGNOME, furono repertate «n. 6 bottiglie di plastica da due litri ciascuna ricolme di gasolio».
Pur riportando questi dati, la Corte di appello non ha individuato con chiarezza le condotte gravemente colpose che ha valutato ostative al riconoscimento del diritto all’indennizzo e, soprattutto, non ha spiegato se, nel giudizio di cognizione, tali condotte siano state accertate o non negate. L’ordinanza impugnata, infatti, si limita a riferire (pag. 7) che, quanto riportato, risulta dal verbale di arresto e che, sulla base di tale verbale, furono ritenuti sussistenti «gravi e precisi elementi indiziari a carico di COGNOME».
4. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è costante nel sottolineare l’autonomia esistente tra il giudizio penale e il successivo giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione (per tutte: Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663). Come è stato chiarito, il giudice della riparazione deve valutare secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel giudizio di merito – se le condotte la cui sussistenza è stata accertata (o non negata) in quel giudizio, ancorché non integranti estremi di reato, abbiano ingenerato la falsa apparenza di un illecito penale (Sez. 4, Sentenza n. 3359 del 22/09/2016, dep.2017, La COGNOME, Rv. 268952). L’autonomia tra i due giudizi riguarda la valutazione dei fatti, ma non l’accertamento degli stessi, irrevocabilmente compiuto nel giudizio di cognizione. Ciò comporta che la sussistenza del dolo o della colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto all’indennizzo non possa essere desunta da condotte che la sentenza di assoluzione
abbia ritenuto non sussistenti o non sufficientemente provate (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n. 21598 del 15/4/2014, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198491). Comporta dunque che, nel ritenere un comportamento doloso o gravemente colposo che abbia “dato causa” (o abbia concorso a dar causa) alla privazione della libertà personale, il giudice della riparazione debba attenersi a dati di fatto «accertati o non negati» nel giudizio di merito (Sez. U n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636).
Nell’ordinanza impugnata si legge (pag. 7) che «le garanzie probatorie consentito di ritenere non sufficientemente provato il reato ascritto», ma da ciò «non consegue che al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare non sussistessero gravi e precisi elementi indiziari a carico del COGNOME», sicché l’imputato ha dato causa, «con colpa grave, ad ingenerare nell’Autorità decidente la apparenza della configurabilità della condotta come illecito penale».
La motivazione non tiene conto dei principi di diritto che regolano la materia. La Corte di appello infatti: non ha spiegato se nel giudizio di cognizione siano risultati provati (o siano emersi, senza essere stati esclusi) comportamenti colposi di Muscarello diversi dall’aver rifornito di gasolio l’auto di proprietà di Rocca (comportamento che, come detto, il giudizio di cognizione ha ritenuto non provato); ha fatto esclusivo riferimento al quadro indiziario esistente al momento dell’applicazione della misura cautelare; non ha tenuto conto del contenuto delle sentenze di assoluzione. Ha sottolineato, inoltre, che la assoluzione è intervenuta ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.: un dato che non può avere alcun rilievo ai fini dell’applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen.
Per quanto esposto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Palermo, cui si demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presdente