Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 46725 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46725 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a SAVOIA DI LUCANIA il 04/01/1965
avverso l’ordinanza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Potenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’istanza presentata nell’interesse di COGNOME Giovanni per la riparazione per ingiusta detenzione relativa alla privazione della libertà personale subìta, nella forma della custodia cautelare in carcere, dal 13 dicembre 2012 al 12 febbraio 2013 e, nella forma degli arresti domiciliari, sino al 14 marzo 2013 in relazione a un procedimento nel quale era indagato dei reati di cui agli artt. 416, commi 1, 2 e 3, 81, comma 2, 640, comma 2, e 483 cod. pen., 260 d. Igs. 3 aprile 2006, n.152.
imponevano al ricorrente di operare in deroga alla legislazione nazionale, di fonte anche secondaria, e in ossequio alle ordinanze regionali e provinciali contingibili e urgenti per la gestione degli RSU che autorizzavano il trasferimento di rifiuti dal sito di trasferenza attraverso l’attività di triturazione, come tale idon classificare il rifiuto così macinato con codice CER 19.12.12. All’istanza di riparazione erano stati allegati documenti attestanti l’esistenza di ordinanze contingibili e urgenti del Presidente della Giunta regionale, del Presidente della Provincia, e note della Regione Basilicata – Dipartimento Ambiente, della Provincia di Potenza – Ufficio Ambiente, nonché del Comune di Lauria, dalle quali emergeva la legittima attribuzione del codice CER 19.12.12 anche ai rifiuti urbani sottoposti a qualsiasi forma di trattamento meccanico. L’ordinanza non si è soffermata su tale profilo del fatto, attribuendo un nesso eziologico al comportamento del ricorrente rispetto al titolo cautelare erroneamente ritenuto a ntidoveroso.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riferimento alla condotta endoprocessuale, considerata riottosa. In realtà, si assume, l’istante nell’interrogatorio di garanzia h ammesso il mancato rispetto della vigente disciplina legislativa spiegando di aver dovuto agire in deroga alla stessa sulla base del disposto di ordinanze contingibili e urgenti di organizzazione provvisoria del ciclo dei rifiuti nel territorio lucano. provvedimento impugnato non spiega per quale ragione il comportamento dell’COGNOME sia stato ritenuto mendace ovvero non collaborativo e sinergico rispetto alla prosecuzione della misura cautelare.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono infondati.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta ostativa al riconoscimento del diritto in primo luogo sulla base del contesto materiale, amministrativo e operativo in cui il richiedente ha agito, considerato irregolare e ambiguo, in ogni caso non integralmente rispondente a quanto previsto nel titolo
autorizzativo e comunque divergente rispetto alle risultanze contabiliamministrative della società RAGIONE_SOCIALE (di cui l’COGNOME era amministratore e proprietario per il 98% delle quote) e della RAGIONE_SOCIALE (di cui il richiedente era procuratore con titolarità delle quote nella misura del 70%). A tal fine, ha valorizzato alcune intercettazioni telefoniche intercorse tra la dipendente della società RAGIONE_SOCIALE e il coimputato COGNOME, amministratore della società che gestiva l’impianto della discarica di Tricarico, una conversazione tra quest’ultimo e il richiedente, in cui il secondo rassicurava il primo circa i contatti avuti co l’assessore regionale, alcune conversazioni intercorse tra il richiedente e l’assessore COGNOME nonché il Sindaco COGNOME, una conversazione intercorsa tra il richiedente e l’assessore COGNOME e la telefonata effettuata tra un Capitano dell’Arma dei Carabinieri e tale NOME COGNOME nel tentativo del richiedente di carpire informazioni dal militare per il tramite inconsapevole del prelato, oltreché un’intercettazione tra il COGNOME e il suo più stretto collaboratore, nel corso dell quale il primo si dimostrava consapevole di gestire un impianto abilitato a ricevere solo rifiuti non pericolosi oltreché consapevole di omettere nel ciclo di trattamento l’operazione di c.d. vagliatura dei rifiuti, manifestando sofferenza per l’attività di controllo esercitata dalla polizia giudiziaria sulla gestione d discarica. Infine, un’ulteriore intercettazione, sempre tra il COGNOME e il suo pi fidato collaboratore, in cui si ribadiva che l’impianto non era abilitato a ricevere rifiuti non urbani, ammettendo che taluni di essi erano privi di caratterizzazione all’origine.
La Corte territoriale ha valutato anche la condotta endoprocessuale dell’Agoglia in quanto, nel corso dell’interrogatorio di garanzia del 19 dicembre 2012, il richiedente ha precisato che il provvedimento di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) rilasciatogli e le successive ordinanze gli consentivano di accettare esclusivamente rifiuti non pericolosi; che i rifiuti risultavano privi ogni caratterizzazione all’origine, onere incombente sul produttore. Il codice era assegnato dalla RAGIONE_SOCIALE, di cui il richiedente era procuratore, sulla base del solo presupposto che i rifiuti fossero di tipo solidi urbani, sicché mancava ogni tipo di controllo sulla loro natura, mentre i formulari erano compilati dalla società RAGIONE_SOCIALE all’esito della mera attività di triturazione del materiale senza alcun processo di vagliatura o tritovagliatura, mentre sarebbe stato necessario procedere con la vagliatura dei rifiuti laddove la mera attività di tritatura era u escamotage per eludere la legge. Nel corso del medesimo interrogatorio, l’COGNOME aveva ammesso che nella discarica di Tricarico gestita dalla società RAGIONE_SOCIALE non si effettuava alcuna vagliatura dei rifiuti, non essendovi impianti idonei a tale trattamento; l’impianto di Tito risultava privo tritovagliatura.
3. Dall’esame del provvedimento impugnato si desume, dunque, che il giudice della riparazione rigetta l’istanza sottolineando la non corrispondenza tra l’attività effettivamente svolta e le risultanze contabili-amministrative del società RAGIONE_SOCIALE, di cui l’RAGIONE_SOCIALE era amministratore e proprietario per il 98%, e della RAGIONE_SOCIALE di cui era procuratore con titolarità delle quote nella misura del 70%. A sostegno di tale difformità, la Corte territoriale menziona alcune intercettazioni telefoniche indicative di discrasia tra i dati contabili della soc CIO RAGIONE_SOCIALE e gli importi indicati nelle fatture emesse dalla società nei confronti dei Comuni, i plurimi contatti tenuti da COGNOME Giovanni con amministratori comunali e regionali, il tentativo del richiedente di carpire informazioni da un Capitano dell’Arma dei Carabinieri per il tramite di un prelato, le ripetute dichiarazioni del gestore della CIO RAGIONE_SOCIALE di non essere abilitato a ricevere i rifiuti dotati di codice C 20.03.01 o 19.12.12 e l’ammissione della mancata caratterizzazione all’origine di taluni dei rifiuti conferit discarica.
L’ordinanza riporta la Circolare ministeriale del 30 giugnò 2009 e descrive la condotta endoprocessuale dell’Agoglia, il quale ha ammesso di non conoscere le previsioni imposte da tale circolare per il trattamento dei rifiuti, com comportamento scarsamente collaborativo in quanto non idoneo a chiarire esattamente perché la sua attività potesse considerarsi lecita. Con specifico riferimento al difetto di caratterizzazione dei rifiuti all’origine, onere incomben sul produttore, il richiedente ha dichiarato che il codice era assegnato dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base del solo presupposto che i rifiuti fossero di tipo solidi urbani mancando ogni tipo di controllo sulla loro natura, mentre i formulari erano compilati dalla AGECO all’esito della mera attività di:triturazione del materiale, senza alcun processo di vagliatura o tritovagliatura.
Il primo motivo di ricorso propone una inammissibile rilettura del tenore delle intercettazioni, limitandosi a escludere che da tali acquisizioni istruttorie si desumibile una condotta connotata da macroscopica negligenza. Anche con riferimento ai contatti tra l’COGNOME e taluni amministratori pubblici, il rico richiama la sentenza assolutoria, la quale tuttavia ne desume l’assenza di dolo del reato contestato, senza escludere nella loro consistenza fattuale tali contatti. Pur deducendo la laconicità della motivazione in merito alla prova documentale legittimante la condotta del ricorrente, la censura si incentra sulla legittimit dell’operazione di attribuzione del codice CER 19.12.12 anche ai rifiuti urbani non sottoposti a vagliatura, senza adeguatamente confrontarsi con la diversa impostazione seguita dal giudice della riparazione.
La Corte territoriale ha, infatti, incentrato la motivazione, piuttosto ch sull’illegittimo conferimento dei rifiuti, su talune condotte, sopra elencate, idonee a ingenerare nell’autorità giudiziaria il legittimo convincimento della contiguit del richiedente a soggetti gestori di una discarica nella quale venivano conferiti rifiuti non consentiti dal titolo abilitativo in quanto pericolosi e pri caratterizzazione all’origine. Il richiedente, si legge nell’ordinanza, si mostrava ben consapevole non solo del fatto, sul quale si incentra il ricorso, che nell’impianto da lui gestito non si effettuasse la vagliatura dei rifiuti, ma anch della circostanza che taluni rifiuti di genere pericoloso o privi di caratterizzazion all’origine fossero scaricati e trattati presso l’impianto della società RAGIONE_SOCIALE pur non potendo essere accettati in discarica.
Analoghe considerazioni si possono svolgere con riferimento al secondo motivo di ricorso, inerente alla condotta endoprocessuale. A fronte di una specifica enunciazione di dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio di garanzia del 19 dicembre 2012, la doglianza si limita a riproporre argomenti giustificativi della legittimità del conferimento dei rifiuti senza adegua confronto con le ragioni esposte alle pagg. 6-7 dell’ordinanza impugnata, indicative del sostanziale rifiuto dell’indagato di fornire chiarimenti circa contesto nel quale egli aveva operato.
Conseguentemente, il Collegio ritiene che il giudice della riparazione abbia legittimamente esaminato alcune condotte materiali poste in essere dal richiedente, emerse in fase investigativa in data antecedente e successiva alla emissione dell’ordinanza cautelare e accertate o ritenute sussistenti dallo stesso giudice della cognizione. Tali comportamenti sono stati valutati come indicativi di una condotta gravemente negligente dell’ Agoglia e non risultano validamente contestati nel ricorso, che tende ad avvalorare l’insussistenza dell’illecito penale ovvero a lamentare la mancata considerazione dei documenti attestanti la regolarità dell’attività di raccolta e conferimento di rifiuti omettendo, in sostanza un adeguato confronto con il contenuto del provvedimento impugnato.
Conclusivamente, il ricorso non può trovare accoglimento; segue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti
consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorren (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U, n. 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713).
P.Q.M. •
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese al Ministero resistente.
Così deciso il 26 novembre 2024 Il Consigliere estensore
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