Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28986 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28986 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Villamar (SU) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 7/1/2025 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico RAGIONE_SOCIALE, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore del RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7/1/2025, la Corte di appello di Roma, pronunciandosi in sede di rinvio, rigettava l’istanza con la quale NOME COGNOME aveva chiesto la riparazione per ingiusta detenzione con riguardo alla custodia cautelare patita per il delitto di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, d
quale era stato assolto – per non aver commesso il fatto – con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma del 2/12/2020, irrevocabile il 14/6/2021.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo – con unico motivo l’inosservanza dell’obbligo di uniformarsi ai principi di diritto di cui alla sentenza annullamento (Sez. 4, n. 41211 del 9/7/2024). Richiamata la giurisprudenza in materia di riparazione, si contesta la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., sul presupposto che la Corte di appello avrebbe ritenuto accertati alcuni dati istruttori incerti o, comunque, non pienamente dimostrati dal Giudice della cognizione. In particolare, l’ordinanza avrebbe sostenuto che il RAGIONE_SOCIALE avrebbe “verosimilmente” fatto parte di un’associazione ex art. 74 cit. diversa da quella contestata, sebbene di ciò non risulti alcun riscontro; al ricorrente, infatti, sarebbe stata contestata la partecipazione ad un unico sodalizio, rubricato al capo A), e da questo reato sarebbe stato assolto. La stessa Corte di appello, citando il G.i.p., avrebbe poi affermato che il compito del COGNOME sarebbe stato quello di consegnare a NOME COGNOME i proventi AVV_NOTAIO spaccio di stupefacente, per conto di NOME COGNOME, ma non avrebbe in realtà individuato – così come il G.i.p. – alcun elemento dimostrativo di un concreto contributo materiale, tanto che il RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato assolto con formula piena (senza, peraltro, ricevere contestazioni quanto ad eventuali reati-fine, invece ascritti ai correi). L’affermazione della sentenza circa un’attività materiale ad adiuvandum realizzata dal RAGIONE_SOCIALE, pertanto, non rientrerebbe tra le statuizioni della pronuncia assolutoria, ed anzi dovrebbe ritenersi esclusa dalla stessa decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato.
Questa Corte, con la sentenza rescindente n. 41211 del 2024, ha annullato con rinvio la precedente ordinanza della Corte di appello di Roma, a data 14/12/2023, evidenziando che il Giudice della riparazione, che aveva rigettato la richiesta, aveva fondato la propria decisione esclusivamente sull’ordinanza genetica della misura cautelare, senza considerare le conclusioni alle quali era pervenuto il giudizio di merito; in particolare, l’ordinanza aveva ritenuto sussistenti alcuni fatti (l’appartenenza al sodalizio, la frequentazione assidua con i sodali) smentiti nella sentenza assolutoria, che aveva accertato come il COGNOME non fosse al servizio del sodalizio ma alle dipendenze AVV_NOTAIO COGNOME, risultato anch’egli assolto dalla medesima imputazione.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che la Corte di appello, in sede rescissoria, non abbia fatto corretta applicazione del principio di diritto indicato,
riscontrandosi, pertanto, la dedotta violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc.
pen.
6. In particolare, l’ordinanza – riprendendo passaggi contenuti nella sentenza di assoluzione – ha individuato “materiale attività svolta dal COGNOME in relazione al
favorire e coadiuvare l’attività criminale di COGNOME e COGNOME, che sono stati anch’essi assolti dal reato associativo, ma condannati per singoli reati di detenzione a fine
di spaccio di sostanze stupefacenti, singoli reati per cui non è invece intervenuta la contestazione accusatoria a carico dell’istante.”
7. Ebbene, proprio questo periodo evidenzia il vizio della motivazione.
7.1. In particolare, e premesso che i tre imputati erano stati tutti assolti dalla contestazione associativa, l’ordinanza ha individuato il presupposto del rigetto
della domanda di riparazione nella attività di cooperazione (riconosciuta anche dal
G.i.p.) prestata dal ricorrente nei confronti di COGNOME e COGNOME, ma – si osservi – quanto a reati fine soltanto a questi ultimi contestati, non al COGNOME, al quale era
stata ascritta soltanto la fattispecie associativa. Con questo argomento, dunque, la Corte di appello non ha fatto applicazione del principio – qui da ribadire –
secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta gravemente colposa, per essere ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, deve essere potenzialmente idonea ad indurre in errore l’autorità giudiziaria in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità con specifico riguardo al reato che ha fondato il vincolo cautelare, non a differenti fattispecie (Sez. 4, n. 33830 del 23/4/2015, Dentice, Rv. 264318; in termini, successivamente, Sez. 4, n. 10195 del 16/1/2020, COGNOME, Rv. 278645. Tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 15133 del 7/3/2025, COGNOME).
L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata con rinvio, affinché la Corte verifichi la fondatezza della richiesta di riparazione in forza del principio qui enunciato, e dunque con riguardo al solo reato contestato al COGNOME, e fondamento della misura, ai ‘sensi dell’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Pres ente