Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17451 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17451 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GIOIA TAURO il 24/08/1992
avverso l’ordinanza del 12/12/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, nella persona del sostituto NOME COGNOME con cui ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha GLYPH rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita per un totale di 1690 giorni (dal 14 ottobre 2014 al 19 dicembre 2014 e dal 26 aprile 2016 all’8 ottobre 2020 in stato di custodia cautelare in carcere) in un procedimento penale nel quale gli era stato contestato il delitto di cui all’art. 416 bis co pen., quale partecipe della cosca COGNOME–COGNOME.
1.1. La vicenda processuale, nell’ambito della quale COGNOME ha subito la restrizione della libertà processuale, si è dipanata nel modo seguente.
COGNOME era stato fermato con decreto della Procura della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria del 14 ottobre 2014 e, a seguito di convalida, era stato sottoposto, con ordinanza del G.I.P., alla misura della custodia in carcere in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (capo 1). Nello stess procedimento era stato indagato anche per il reato di cui all’art. 697 cod. pen. aggravato ex art. 7 legge n. 202/91 (capo 17).
Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, il 19 dicembre 2014, aveva annullato l’ordinanza su indicata per assenza dei gravi indizi di colpevolezza, non essendo emerso a carico del ricorrente “un atto di investitura formale nelle fila dell’organizzazione mafiosa investigata”, né un suo ruolo dinamico e funzionale all’associazione, essendosi egli “limitato ad una generica manifestazione di disponibilità a vantaggio del solo affiliato NOME COGNOME senza tuttavia intrattenere rapporti con gli altri sodali”.
Il G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 26 aprile 2016, aveva condannato COGNOME in ordine a entrambi i reati su indicati alla pena di anni 12 e mesi 4 di reclusione e contestualmente alla pronuncia di condanna aveva emesso, ex art. 275 comma 1 bis cod. proc. pen., nuova ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 28 marzo 2019, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva escluso l’aggravante ex art. 7 d.l. 152/91 in relazione al reato di cui al capo 20 (relativo alla detenzion delle munizioni) e l’aggravante di cui all’art. 416 bis, comma 6, cod. pen. in relazione al reato di cui al capo 1) e rideterminato la pena in anni 8 e mesi 2 di reclusione
La Corte di Cassazione con sentenza n. 17597/2021, aveva annullato senza rinvio la statuizione di condanna relativa la reato associativo, assolvendo l’imputato per non aver commesso il fatto, e aveva dichiarato definitivo
l’accertamento di responsabilità in ordine al reato di cui al capo 20, rinviando alla Corte di Appello in ordine alla rideternninazione del trattamento sanzionatorio.
La Corte di Appello in sede di rinvio, con sentenza del 4 aprile 2022, aveva rideterminato la pena in mesi 4 di arresto con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
1.3. La Corte della riparazione ha ravvisato la condizione ostativa della colpa grave, sinergica rispetto all’adozione e al mantenimento della misura, nella condotta di COGNOME descritta dalla stessa sentenza di assoluzione come “vicinanza e contiguità ideale” al sodalizio.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al rigetto della istanza.
Il difensore rileva che la Corte, pur dando atto dell’annullamento dell’ordinanza custodiale da parte del Tribunale del Riesame per assenza di gravità indiziaria, non ha applicato l’art. 314, comma , 2 cod. proc. pen., ma ha posto a confronto gli elementi a fondamento dell’ordinanza primigenia, quelli della sentenza di condanna della Corte di Appello e quelli evidenziati nella sentenza di assoluzione. In tal modo non ha tenuto conto dell’annullamento della prima ordinanza da parte del Tribunale del riesame, fondato sugli stessi elementi sui quali è stata ravvisata la colpa grave e non ha tenuto conto, altresì, che gli elementi di prova sono rimasti identici per tutto il processo celebrato con il rit abbreviato. Inoltre, con riferimento al secondo periodo di detenzione, fondato su un’ordinanza di custodia cautelare emessa ex art. 275 comma 1 bis cod. proc. pen. contestualmente alla sentenza di condanna di primo grado, la Corte ha ravvisato nella condotta di COGNOME la colpa grave, nonostante gli elementi su cui si era fondata l’affermazione di responsabilità e, dunque, la restrizione della libertà Personale, fossero identici a quelli che avevano condotto il Tribunale del riesame ad annullare la primigenia misura per l’assenza dei gravi indizi di colpevolezza e la Corte di Cassazione ad annullare senza rinvio la sentenza di condanna.
La emissione della nuova ordinanza, a seguito della sentenza di condanna, ex art. 275 comma 1 bis cod. proc. pen. era avvenuta sulla base degli stessi elementi che avevano condotto il Tribunale del Riesame ad annullare la prima ordinanza genetica e la sentenza di annullamento senza rinvio della sentenza di condanna da parte della Corte di Cassazione aveva determinato il venire meno anche di tale seconda misura cautelare. Nel caso di emissione dell’ordinanza ex art. 275 comma 1 bis cod. proc. pen. l’elemento di novità rispetto alla fase
cautelare è costituito dalla sentenza di condanna di primo grado. La difesa, d’altronde, non può contestare, in tale caso, la gravità indiziaria, in quanto è intervenuta, appunto, condanna. L’ingiustizia formale – osserva il difensore – è collegata alla pronuncia irrevocabile sull’assenza di gravità indiziaria: nel processo a carico di COGNOME hanno avuto luogo l’annullamento della prima ordinanza custodiale da parte del Tribunale del riesame e la caducazione della seconda ordinanza, a seguito della assoluzione con sentenza di annullamento senza rinvio da parte della Corte di Cassazione. Sia che si guardi all’annullamento della prima ordinanza da parte del Tribunale del Riesame, sia che si guardi all’annullamento della seconda ordinanza, in ogni caso il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso e mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 cod. proc. pen. Anche volendo ritenere, con riferimento alla seconda ordinanza cautelare, che si versi nell’ipotesi della c.d. ingiustizia sostanziale, ex art. 314, comma 1, cod. proc. pen., la Corte avrebbe dovuto spiegare come sia possibile che l’ordinanza emessa ex art. 275 comma 1 bis cod. proc. pen. fondata sugli stessi elementi dell’ordinanza genetica annullata ex art. 273 cod. proc. pen. possa trovare concausa nella colpa grave del Di Bella.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
4.11 Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, in data 24 marzo 2025, ha depositato una memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente, in data 31marzo 2025, ha depositato una memoria con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La Corte della riparazione ha dato atto, COGNOME in premessa, della scansione processuale su indicata e del fatto che COGNOME era stato sottoposto a restrizione della libertà personale, in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen in due momenti distinti, ovvero nella fase delle indagini preliminari con ordinanza del G.I.P. annullata per assenza dei gravi indizi di colpevolezza, e, a seguito della pronuncia di condanna di primo grado, con ordinanza ai sensi dell’art. 275 comma 1 bis cod. proc. pen. applicativa della custodia in carcere, che aveva perso efficacia
a seguito della sentenza di annullamento senza rinvio della sentenza di condanna da parte della Corte di Cassazione.
La Corte, tuttavia, ha ravvisato la condizione ostativa della colpa grave (e, conseguentemente, rigettato la domanda) in alcune condotte che valevano a provare la contiguità del ricorrente rispetto al sodalizio (quali, in particolare, il essere informato delle vicende associative e in particolare del danneggiamento del bar RAGIONE_SOCIALE e della perquisizione subita da un associato; il suo essere presente in alcune occasioni in cui gli associati avevano discusso degli affari del clan e del reperimento di armi; la detenzione da parte sua e la consegna ad altro associato delle munizioni), senza operare alcuna distinzione fra i due diversi periodi di detenzione, sorretti da titoli cautelari differenti e valutando entramb i periodi secondo i parametri della c.d. ingiustizia sostanziale di cui all’art. 314 cod proc. pen.
In tal modo in giudici sono incorsi nell’errore di impostazione metodologica evidenziato dal ricorrente.
GLYPH Come è noto l’art. 314 cod. proc. pen. disciplina due differenti ipotesi di riparazione a seguito di ingiusta detenzione.
3.1.Ai sensi del primo comma, chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave (c.d ingiustizia sostanziale).
Ai sensi del secondo comma, lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o manutenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (c.d. ingiustizia formale).
3.1.1.Nel primo caso viene in rilievo una sentenza di assoluzione quale esito di un processo, a seguito di istruttoria o comunque diversa valutazione del compendio probatorio da parte del giudice del merito rispetto a quello della cautela. In tale ipotesi il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, pe stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabili con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). Il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME Rv. 276458).
3.1.2 Nel secondo caso viene in rilievo, sia in caso di proscioglimento, sia in caso di condanna, l’accertamento con decisione irrevocabile della illegittimità ab origine della misura cautelare detentiva applicata per difetto delle condizioni di applicabilità di cui ai richiamati articoli. L’ ingiustizia formale, secondo un p risalente indirizzo della Corte di legittimità, doveva risultare da una decisione irrevocabile sul provvedimento cautelare in fase (o, comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche cautelare). (Sez. 4, n. 36 del 12/1/1999, Rv. 213231; Sez. 4, n. 26368 del 3/4/2007, COGNOME e altro, Rv. 236989). Tale risalente orientamento è stato superato da altre più recenti sentenze che hanno affermato sussistere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi di misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata soltanto all’esito del giudizio merito in ragione della diversa qualificazione attribuita ai fatti rispetto a quell ritenuta nel corso del giudizio cautelare (Sez 4. n. 39535 del 29/5/2014, COGNOME, Rv. 261408; Sez 4 n. 43458 del 15/10/2013, COGNOME, Rv. 257194; Sez.4 n. 23896 del 9/4/2008, Greco, Rv. 240333), ovvero nei casi di diversa qualificazione del fatto contestato nell’imputazione come reato punibile con pene edittali inferiori a quelle indicate nell’art. 280, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281038; Sez. 4; Sez 4 n. 26261 del 23/11/2016, Ministero
Economia Finanze, Rv. 270099; Sez. 4, n. 8021 del 28/01/2014, Gennusa, Rv. 258621; Sez. 4 n. 44596 del 16/4/2009, COGNOME, Rv. 245437; Sez. 4 n. 8869 del 22/1/2007, COGNOME, Rv. 240332). In particolare, si è affermato che la nozione di “decisione irrevocabile” di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., comprende anche quella emessa all’esito del giudizio di merito, sempre che da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura.
Sempre in tema di ingiustizia formale, le Sezioni Unite hanno chiarito che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, ma tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663; Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281038; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, Ministero Econ. Finanze, Rv. 270099).
Nel consegue che, in caso di ingiustizia c.d. formale, GLYPH la Corte della riparazione —– non può limitarsi a rilevare l’esistenza di condotte del soggetto istante connotate da dolo o colpa grave, ma deve verificare se l’annullamento della misura per assenza di gravi indizi di colpevolezza o delle condizioni di applicabilità della misura sia avvenuto sulla base degli stessi elementi che aveva a disposizione il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, ovvero sulla base di elementi, almeno in parte, nuovi e diversi: solo in questo secondo caso potrà sussistere l’efficacia sinergica della condotta colposa o dolosa del richiedente, mentre nel primo caso tale condotta non potrà essere considerata condizione ostativa e la detenzione dovrà essere riparata.
4.Nel caso di specie la Corte, come detto, ha operato una valutazione unitaria della condotta del soggetto istante, senza distinguere i due diversi titoli cautelari e senza chiarire se la detenzione potesse essere considerata ingiusta in senso sostanziale, ovvero in senso formale.
I giudici avrebbe dovuto considerare che, rispetto al primo periodo di detenzione (dal decreto di fermo fino all’annullamento della ordinanza applicativa della misura da parte del Tribunale del riesame), viene in rilievo un’ipotesi di ingiustizia formale, in quanto si è formato un giudicato cautelare che ha affermato la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. I giudici, dunque, non avrebbero
dovuto limitarsi a rilevare la condotta gravemente colposa del ricorrente, ma avrebbero dovuto verificare, secondo il
dictum della sentenza delle Sezioni Unite
COGNOME sopra richiamata, se l’annullamento da parte del Tribunale fosse stato pronunciato sulla base degli stessi elementi a disposizione del giudice della
cautela, ovvero sulla base di elementi ulteriori e solo in tale secondo caso affermare, eventualmente, la portata ostativa della condotta colposa del
ricorrente.
Analogamente, rispetto al secondo periodo di detenzione (dalla sentenza di condanna in primo grado fino alla sentenza di annullamento senza rinvio di tale
condanna da parte della Corte di Cassazione), conseguente ad una pronuncia di condanna poi annullata, i giudici avrebbero dovuto considerare se gli elementi su
cui si era fondata la condanna e conseguentemente la misura, fossero gli stessi che avevano condotto ad una pronuncia cautelare definitiva di insussistenza delle
condizioni ex art. 273 cod. proc. pen. di applicabilità della misura.
5.Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, che nel nuovo giudizio dovrà attenersi ai principi su indicati.
Nel giudizio di rinvio dovrà essere decisa anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di Reggio Calabria, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità