Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28441 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28441 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a PALERMO il 26/11/2001
avverso l’ordinanza del 20/02/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni della Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nell’senso dell’inammissibilità o, in subordine, del rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, quale giudice della riparazione, ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., per la custodia cautelare patita dal 4 novembre 2022 al 19 ottobre 2023 (data della disposta liberazione da parte del giudice d’appello contestualmente alla sentenza assolutoria).
1.1. Trattasi di ingiusta detenzione dedotta come patita in forza dell’ordinanza cautelare del 31 ottobre 2022, confermata in sede di riesame, avente a oggetto il reato di rapina in concorso per il quale NOME COGNOME è stato condannato dal G.u.p. e poi assolto per non aver commesso il fatto con sentenza d’appello divenuta irrevocabile.
1.2. Il rigetto dell’istanza si fonda sostanzialmente sulla ritenuta sussistenza di una condotta da parte dell’instante gravemente colposa e sinergica rispetto all’intervento cautelare motivato, quest’ultimo, anche in ragione di elementi emergenti da conversazioni captate tali da far ritenere sussistenti gravi indizi del coinvolgimento dell’attuale ricorrente nella rapina. I giudici della riparazione, in particolare, hanno ritenuto sinergica la condotta gravemente colposa dell’instante consistita nell’essere egli vicino ai pregiudicati COGNOME e COGNOME, come emergente dagli esiti delle conversazioni, captate anche successivamente all’esecuzione della misura cautelare, ritenuti tali da fondare gravi indizi che insieme a essi NOME COGNOME stesse progettando una serie di rapine. Si fa altresì perno sullo scambio tra l’instante e COGNOME di alcuni file video rappresentativi di sopralluoghi effettuati in alcuni supermercati per l’esecuzione di rapine.
Avverso l’ordinanza e nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso fondato su un motivo deducente violazione di legge (artt. 314 e 292, comma 2ter, cod. proc. pen.) e vizio cumulativo di motivazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari alla motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Per il ricorrente il giudice della riparazione avrebbe omesso di considerare elementi probatori decisivi, emergenti dalla CNR, che, se valutati, avrebbero condotto all’accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione così come avrebbero dovuto condurre il G.i.p. a non emettere la misura cautelare, il Tribunale del riesame a non confermarla e il giudice di primo grado ad assolvere NOME COGNOME
Il riferimento è alle conversazioni captate e al video dei quattro rapinatori. Da quest’ultimo, in particolare, in tesi difensiva, si evincerebbe l’impossibilità di
individuare l’attuale instante in uno dei soggetti ripresi, in ragione delle fattezze fisiche. Ne conseguirebbe anche l’errore per aver omesso di valutare gli elementi a favore dell’indagato in sede di adozione della misura cautelare e di sua conferma all’esito del riesame, con violazione dell’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen., per cui l’ordinanza cautelare è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’indagato (di cui agli artt. 358 e 327-bis cod. proc. pen).
Il ricorrente si sofferma poi (pag. 5 e ss. e 12), con dovizia di particolari, sui contenuti delle intercettazioni intercorse tra soggetti a conoscenza del reato che, se non ignorati, a suo dire avrebbero dovuto ingenerare il ragionevole dubbio circa la partecipazione di NOME COGNOME al delitto di rapina. Si tratterebbe di elementi probatori che, già nella disponibilità del G.i.p., avrebbero dovuto neutralizzare la valenza probatoria degli elementi a carico, invece valorizzati contro NOME COGNOME. Essendo stato il processo definito con il rito abbreviato, si sarebbe peraltro trattato dei medesimi elementi sui quali, letteralmente, «ha e non ha ragionato la Corte» in sede di giudizio ex art. 314 cod. proc. pen., con conseguente irrilevanza della condotta ostativa in ragione di quanto affermato in merito alla c.d. «ingiustizia formale» da Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663-01.
In tesi difensiva, gli elementi emergenti dalle intercettazioni, per come si legge letteralmente in ricorso, «rappresentano prove prevalenti rispetto alle altre, considerate a carico, perché più robuste e più logicamente aderenti alla realtà dei fatti; perciò, la loro omessa valutazione determina anche un’illogicità nella motivazione del provvedimento impugnato…», rendendo «altamente probabile ..la contro-ipotesi della difesa che, da sempre…, aveva dimostrato come…NOME NOME non fosse estraneo alla conoscenza degli effettivi autori del reato, anzi, li conoscesse, addirittura uno era il di lui cugino (COGNOME NOME)…». Conclude sul punto il ricorrente evidenziando l’emergere in fase di indagini dai colloqui captati di elementi relativi ad altri e diversi intenti delittuosi, indiri alla realizzazione di reati in materia di stupefacenti (essendo peraltro l’attività d spaccio evidenziata dalla comunicazione di notizia di reato agli atti).
La Corte territoriale, quindi, se avesse valutato tutti gli elementi di prova che, a dire del ricorrente, escluderebbero in radice la partecipazione di NOME COGNOME alla rapina, non avrebbe ravvisato un coefficiente causale nella determinazione dell’intervento cautelare, così come, prima di lei, avrebbero dovuto concludere il G.i.p., il Tribunale in sede di riesame oltre che il G.u.p. Alla mancata considerazione di elementi probatori si aggiungerebbero altresì l’errore nel quale sarebbe incorso il giudice della riparazione nell’aver fatto riferimento a rapporti con soggetti comunque assolti dal reato e l’illogicità dell’apparato
motivazionale facente riferimento allo scambio tra NOME COGNOME a COGNOME di file ritraenti luoghi ove eseguire rapine, in quanto risalenti a novembre del 2020, quindi a circa due anni prima dell’esecuzione della misura cautelare (applicata in ragione della rapina commessa 11 settembre 2020).
Il ricorrente riassume le proprie doglianze, letteralmente, non condividendo «che Fiore abbia avuto un ruolo sinergico nel determinare la misura restrittiva allo stesso applicata, perché c’erano significativi e decisivi elementi di prova a lui favorevoli che radevano al suolo quei generici e non gravi elementi indiziari di reità, invece, assunti a caposaldo e fondamento delle decisioni a lui sfavorevoli, tanto dal giudice della cautela, quanto, in ultimo,” da quella del giudice della riparazione».
Hanno concluso per iscritto, nei termini di cui in epigrafe, la Procura generale della Repubblica e l’Avvocatura dello Stato, per il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile sotto plurimi profili.
In primo luogo, i profili di doglianza articolati sostituendo a quella del giudice di merito un’alternativa valutazione degli esiti delle indagini tecniche, nei termini evidenziati in sede di sintesi del motivo di ricorso, sono inammissibili, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto deducenti censure diverse da quelle prospettabili in sede di legittimità perché in fatto con le quali si prospettano anche erronee valutazioni probatorie del giudice di merito (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 10897 del 29/01/2025, COGNOME, tra le più recenti, e Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).
Il ricorrente peraltro non coglie la ragione fondante l’accertata condotta ostativa laddove ritiene che sia stata individuata dal giudice di merito in ragione della mera frequentazione con soggetti comunque assolti dallo stesso reato (per .,……), l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione GLYPH / della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 10897 del 29/01/2025, Alfano, tra
le più recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01).
Come emerge dalla sintesi dell’apparato motivazionale di cui alla precedente ricostruzione in fatto (par. 1.2), la Corte territoriale pone difatti a fondamento della detta condotta non la mera frequentazione da Parte dell’instante di COGNOME e Guida bensì elementi tratti delle conversazioni e comunicazioni tra essi e soprattutto dallo scambio di file per l’esecuzione di rapine, che, peraltro, come sostiene lo stesso ricorrente, sarebbe avvenuto a novembre del 2020, quindi, ancorché tempo prima dell’esecuzione della misura cautelare, nel contesto temporale del reato sotteso all’intervento dell’autorità.
È comunque assorbente, in quanto autonoma ragione fondante l’inammissibilità del ricorso, la circostanza per cui l’idea di fondo che permea di sé tutti i profili di censura nei quali si articola l’impugnazione, come emergente dalla precedente ricostruzione del fatto processuale (par. 2), si sostanzia in una inversione del ragionamento logico giuridico che deve sottendere il giudizio ex art. 314 cod. proc. pen., in ragione della sua struttura in funzione delle sottese finalità e dai rapporti con il giudicato penale.
4.1. Occorre premettere che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, come sintetizzato da Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, COGNOME, in termini ripresi di recente da Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, COGNOME, e in questa sede condivisi e ribaditi, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dato concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268952 – 01). La colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996 – 01, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamati, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082 – 01).
Ai fini di cui innanzi, è necessario uno specifico raffronto tra la condotta del richiedente (da ricostruirsi anche in considerazione della sentenza assolutoria) e le ragioni sottese all’intervento dell’autorità e/o alla sua persistenza (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare; Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277662 – 01, nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, COGNOME, Rv. 219686 – 01), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino (dolo ovvero) eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se coerente e non manifestamente illogica, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit.; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 276458 – 01, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270001 – 01).
Per quanto di maggiore rilievo in questa sede, per esigenze di rispetto del giudicato penale occorre quindi muovere (non dagli elementi fondanti la misura cautelare bensì) dall’accertamento della condotta del richiedente, anche in ragione dei fatti ritenuti provati o non esclusi dal giudice penale, per poi valutarla ai fini del giudizio circa la condizione ostativa del dolo o della colpa grave e del loro collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità in relazione alle circostanze sottese all’ordinanza cautelare (quanto al corretto approccio metodologico si vedano, ex plurimis, Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, COGNOME, cit., la giurisprudenza di legittimità in essa richiamata, tra cui Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, COGNOME, e a essa successiva, tra le più recenti Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, COGNOME, cit.).
4.2. Orbene, non confrontandosi con i principi regolanti la materia, quindi in termini manifestamente infondati; il ricorrente non aggredisce le ragioni della ritenuta condotta ostativa ma evidenzia gli elementi che, a suo dire, avrebbero dovuto indurre il G.i.p. a rigettare la richiesta cautelare, il Tribunale in funzione di giudice del riesame ad annullare l’ordinanza cautelare e il G.u.p., infine, a non condannare NOME COGNOME per non aver concorso nella commissione della rapina (per la manifesta infondatezza del motivo che non si confronti con la sedimentata giurisprudenza di legittimità, si veda, ex plurimis, Sez. 3, n. 1261 del 16/11/2023, RAGIONE_SOCIALE, per altre fattispecie applicative si vedano, ex plurimis: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; Sez. 2, n. 17281 dell’08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916 – 01).
L’inversione logico-giuridica del corretto ragionamento caratterizzante il *ricorso, anche laddove non ci si confronta con la sentenza assolutoria, emerge altresì (solo ulteriormente) dalla stessa sintesi del motivo unico di ricorso oltre che dal riferimento all’errore consistente nell’omessa valutazione in sede di adozione della misura cautelare e di sua conferma all’esito del riesame degli
elementi a favore dell’indagato, con violazione dell’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. che è norma inerente al contenuto dell’ordinanza cautelare.
Il ricorso è inammissibile anche laddove (a tratti) sembra evocare la violazione dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen.
In tesi difensiva, si sarebbe trattato di c.d. «ingiustizia formale» per la mancanza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare, quanto ai gravi indizi, emergente all’esito della differente valutazione da parte del giudice dell’assoluzione degli identici elementi sottesi all’intervento cautelare, in ragione della definizione del processo con le forme del giudizio abbreviato. Ne sarebbe dovuta conseguire dunque l’irrilevanza dell’accertamento della condotta ostativa in capo all’instate.
5.1. Occorre sul punto chiarire che mentre la cd. «ingiustizia sostanziale», di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., presuppone il proscioglimento del richiedente (ovvero un provvedimento di archiviazione o di non luogo a procedere), la c.d. «ingiustizia formale», di cui al secondo comma del medesimo art. 314, prescindere da tale accertamento e richiede solamente l’accertamento della illegalità del provvedimento restrittivo, assunto in difetto delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 del codice di rito, quindi anche in assenza dei gravi indizi di colpevolezza.
5.1.1. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel risolvere il dubbio interpretativo sul punto, hanno precisato che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663-01; in precedenza, nello stesso senso, va ricordata, tra le altre, Sez. 4, n. 6628 del 23/01/2009, COGNOME, Rv. 242727-01; si veda, ex plurimis, tra le recenti: Sez. Sez. 4, n. 20962 del 14/03/2023, COGNOME).
Nel caso dell’insussistenza originaria delle condizioni per l’adozione o il mantenimento della misura custodiale, infatti, l’obiettiva ingiustizia della detenzione subita può trovare scaturigine in comportamenti dolosi o gravemente colposi del richiedente. Sicché, attribuire rilevanza ostativa a tali condotte ben si concilia con il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, alla cui stregua è ragionevole che il ristoro assicurato dall’ordinamento sia riconosciuto a chi abbia «patito», e non concorso a determinare, l’applicazione del provvedimento restrittivo.
Il GLYPH citato GLYPH intervento GLYPH nomofilattico GLYPH delle GLYPH Sezioni GLYPH Unite GLYPH ha GLYPH però condivisibilmente posto un ineludibile «paletto».
Nel caso in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, difatti, è preclusa la possibilità di valutare l’incidenza della condotta dolosa o colposa del richiedente la riparazione. Ciò, evidentemente, in quanto in tali casi il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la misura e, pertanto, nessuna efficienza causale nella sua determinazione può attribuirsi al soggetto passivo. Per converso, dovrà invece valutarsi la sinergia causale del dolo o della colpa grave nel caso in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale sia avvenuto alla stregua di un materiale probatorio contrassegnato da diversità rispetto a quello originariamente a disposizione dal giudice della cautela.
5.1.2. La giurisprudenza di legittimità ha dato seguito all’intervento chiarificatore di cui alle citate Sezioni Unite in svariate fattispecie.
Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281038-01, ha applicato i suesposti principi per l’ipotesi di ingiustizia correlata alla diversa qualificazione del reato, in sede di merito, che ne abbia determinato l’estinzione per prescrizione e il venir meno delle condizioni di applicabilità della misura cautelare; mentre Sez. 3, n. 15786 del 04/02/2020, COGNOME, Rv. 279385-01, ha precisato che, comunque, il comportamento doloso o gravemente colposo del richiedente può esplicare efficacia preclusiva per il periodo, a esso successivo, per il quale abbia dato o concorso a dare causa al mantenimento della custodia cautelare (si vedano altresì: Sez. 4., n. 34541 del 24/05/2016, Rv. 267506-01; Sez., 4, n. 8021 del 28/01/2014, Gennusa, Rv. 258621 – 01).
Quanto alla concreta applicazione dei principi delle Sezioni Unite «COGNOME» con riferimento alle peculiarità delle fattispecie concrete, si veda altresì Sez. 4, n. 26269 del 01/03/2017, Rv. 270102 – 01, che ha annullato l’ordinanza che aveva accolto la richiesta di riparazione omettendo di considerare che la valutazione in sede di riesame circa l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza aveva trovato fondamento anche sulle spontanee dichiarazioni rese per la prima volta in sede di riesame dall’indagato (ex plurimis, anche: Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, dep. 2017, Rv. 270099 – 01, per il caso di derubricazione del reato contestato, all’esito del giudizio di merito, e applicazione di una pena inferiore alla durata della custodia cautelare sofferta; Sez. 4, n. 13559 del 02/12/2011, deo. 2012, COGNOME, Rv. 253319-01, per il caso d’ingiustizia correlata alla riqualificazione del fatto in sede di merito, con relativa derubricazione del reato contestato nell’incidente cautelare in altro meno grave i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale – e conseguente dichiarazione di prescrizione).
5.1.3. Circa l’applicazione dei principi delle Sezioni Unite «COGNOME» in ragione delle peculiarità delle fattispecie occorre in questa sede fare particolare riferimento all’iter logico-giuridico seguito dalla citata Sez. 4, n. 20962 del 14/03/2023, COGNOME, nonché di quello (da essa fatto proprio) di Sez. 4, n. 43097 del 2022, COGNOME, la quale ha peraltro chiarito l’irrilevanza, ai fini del quantum liquidabile, della condotta del richiedente nel caso di ingiustizia formale accertata all’esito di una diversa valutazione dei medesimi elementi sottesi all’intervento dell’autorità.
Quanto al riferimento che l’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. fa, ai fini dell’operatività della riparazione per l’ipotesi di ingiustizia formale, all «decisione irrevocabile», con la quale risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura sia stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità, le citate sentenze hanno in particolare chiarito che l’attuale dominante orientamento esclude che esso sia limitato a una decisione irrevocabile in fase cautelare (o, comunque, come avviene nel giudizio direttissimo, con valenza anche cautelare).
Si ritiene difatti il riferimento all’accertamento con «decisione irrevocabile» esteso anche alle ipotesi di accertamento con decisione irrevocabile assunta all’esito del giudizio di merito sempre che, naturalmente, da essa emerga certa la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura.
È stato evidenziato (cfr., in motivazione, Sez. 4 n. 43458 del 2013, Taliento, Rv. 257194 – 01) che una diversa interpretazione cozzerebbe con i principi affermati dalle Sezioni Unite in punto di rilevanza, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, anche degli accertamenti risultanti ex post (Sez. U, n. 20 dei 12/10/1993, Durante Rv. 195354) e risulterebbe distonica con il fondamento solidaristico dell’istituto ripetutamente evidenziato anche dal giudice delle leggi, in particolare da Corte cost. nn. 231 e 413 del 2004 (per l’attuale orientamento dominante si vedano, ex plurimis, le citate Sez. 4, n. 14/03/2023, COGNOME, e Sez. 4, n. 43097 del 2022, COGNOME, non massimate, e i riferimenti in esse valorizzati, mentre per il precedente contrapposto orientamento, da intendersi superato, Sez. 4, n. 26368 del 3/4/2007, COGNOME, Rv. 236989 – 01, Sez. 4, n. 40126 del 13/11/2002, Rv. 223285, e Sez. 4, n. 36 del 12/1/1999, Rv. 213231 – 01).
5.1.4. Per quanto maggiormente rileva con riferimento alla presente fattispecie, infine, come chiarito dalla citata Sez. 4, n. 43097 del 2022, COGNOME, con l’evidenziato iter logico-giuridico che si condivide, al fine di valutare la sussistenza della c.d. «ingiustizia formale» di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., il giudice non deve sostituirsi alla «decisione irrevocabile» nell’accertare l’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura ma deve evincere dalla decisione penale irrevocabile l’intervenuto
accertamento della detta insussistenza ab origine, in considerazione delle ragioni fondanti la decisione e del sotteso percorso logico-giuridico. Il giudice della riparazione, poi, su cui compete la verifica (anche d’ufficio) dell’insussistenza della condotta ostativa del richiedente in quanto elemento negativo del diritto all’indennizzo, in caso di accertata ingiustizia formale deve valutare se la decisione irrevocabile dalla quale risulti accertata l’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura sia avvenuta «sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela ma in ragione unicamente di una loro diversa valutazione».
5.2. Orbene, emerge manifesta l’infondatezza del profilo di censura in esame, per un duplice ordine di ragioni.
5.2.1. In primo luogo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., non specificando quale sarebbe nella specie la decisione penale irrevocabile in ragione della quale il giudice della riparazione, senza sostituirsi a essa, avrebbe dovuto ritenere accertata l’assenza ab origine delle condizioni legittimanti l’intervento cautelare, in merito alla gravità indiziaria. Ciò, peraltro, in fattispecie caratterizzata dal rigetto del riesame cautelare, da una condanna in primo grado ribaltata in secondo grado con sentenza con la quale il ricorrente non si confronta.
5.2.2. Ferma restando la considerazione di cui innanzi, è manifestamente infondato il ricorso anche laddove si sostiene la mera sufficienza dell’essere stato il processo definito con le forme del giudizio abbreviato per argomentare la sussistenza di una ipotesi di c.d. «ingiustizia formale» e, a fortiori, che l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni legittimanti l’intervento cautelare sia stato, nella specie, il frutto di una semplice diversa valutazione dei medesimi elementi fondanti l’ordinanza genetica (con conseguente irrilevanza dell’accertamento di una condotta ostativa).
Il ragionamento deduttivo su cui si fonda il preteso (doppio) sillogismo prospettato dal ricorrente non coglie la differenza dei criteri di giudizio sottesi alle decisioni cautelari, rispetto a quelle che tali non sono, e quanto già evidenziato circa la necessità di una decisione irrevocabile dalla quale risulti accertata l’insussistenza ab origine delle condizioni legittimanti l’intervento cautelare.
La mera circostanza per cui il medesimo compendio indiziario fondante l’intervento cautelare sia ritenuto insufficiente per l’affermazione di responsabilità, nella specie in sede di giudizio abbreviato, non integra, di per sé, un’ipotesi di c.d. «ingiustizia formale» per assenza sin dall’origine di gravi indizi di colpevolezza e, a fortiori, un’ipotesi di insussistenza ab origine accertata all’esito di una mera diversa valutazione dei medesimi elementi fondanti
l’intervento cautelare (tale da escludere l’accertamento della condotta ostativa in applicazione delle citate Sezioni Unite «COGNOME»). È difatti sempre necessario, anche nel caso di definizione del processo con giudizio abbreviato (in ipotesi anche non caratterizzato da attività istruttoria), l’accertamento con decisione penale irrevocabile dell’emissione del provvedimento cautelare in assenza delle condizioni legittimanti, cioè l’accertamento che gli elementi fondanti il provvedimento cautelare non fossero in realtà gravemente indizianti ab origine.
Il criterio di giudizio che concerne la gravità indiziaria necessaria e sufficiente per l’adozione della misura cautelare è difatti diverso dal criterio di giudizio che presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna. Sicché, nella dinamica processuale è fisiologico che la gravità indiziaria sufficiente per l’adozione di una misura cautelare possa rivelarsi insufficiente per l’affermazione di responsabilità secondo la regola dettata dall’art. 533 cod. proc. pen. Tale fisiologica dinamica processuale, che è il presupposto dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, non deve confondersi con l’accertamento dell’insussistenza ab origine dei gravi indizi di colpevolezza invece legittimanti l’intervento cautelare (per argomentazioni che fondano sul differente criterio di giudizio in materia cautelare si veda, quanto alla tematica della riparazione per l’ingiusta detenzione, Sez. 4, n. 9625 del 06703/2025, NOME COGNOME, in motivazione).
In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende (misura ritenuta equa, ex art. 616 cod. proc. pen. come letto da Corte cost. n. 186 del 2000, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità emergenti dai ricorsi nei termini innanzi evidenziati).
Per converso, non consegue la rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, non avendo la memoria depositata nel suo interesse, a cagione della sua genericità, fornito alcun contributo alla dialettica processuale in quanto priva di eccezioni o deduzioni dirette a paralizzare o ridurre la pretesa del ricorrente nonché di qualsivoglia riferimento specifico ai fatti oggetto del presente giudizio (sul punto si vedano, con riferimento a fattispecie sostanzialmente sovrapponibili alla presente Sez. 4, n. 1856 del 16711723, dep. 2024, COGNOME; si veda altresì, con argomentazioni che, mutatis mutandis, rilevano anche nella presente fattispecie, Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, RV. 222264; in merito alle spese sostenute in sede di legittimità dalla parte civile ma con argomentazioni rilevanti anche nella presente fattispecie si vedano altresì: Sez.
4, n. 14797 del 04/02/2025, Cervellera; Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep.
2023, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv.
226716 – 01, nonché Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, COGNOME Rv.
286581 – 01, con argomentazioni che, mutatis mutandis,
rilevano anche nella presente fattispecie ancorché in ipotesi caratterizzata da difesa della parte civile
effettuata solo per iscritto in processo di legittimità a trattazione orale).
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila euro in favore della Cassa delle
ammende. Nulla per le spese al Ministero resistente.
Così deciso il 3 luglio 2025
Il
Il Preidhte