Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21574 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: MINISTERO DELL’ECONOMIA e DELLE FINANZE, in persona del Ministro pt.
nei confronti di
COGNOME SalvatoreCOGNOME nato a Terrasini (Pa) il 17/07/1960
avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Palermo del 17/05/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’appello di Palermo per l’ulteriore corso.
RITENUTO IN FATTO
1.Nell’ambito di procedimento pendente presso il Tribunale di Palermo, COGNOME Salvatore è stato imputato per il reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen. in quanto ritenuto rappresentante reggente della famiglia mafiosa di Terrasini per aver mantenuto molteplici contatti con altri esponenti di spicco della consorteria, tra cui, in particolare, NOME e NOME COGNOME, finalizzate alla gestione di interessi in materia di estorsioni. In ragione di detta ipotesi accusatoria veniva emesso provvedimento applicativo della misura della custodia
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cautelare in carcere in data 09/12/2010 poi confermata dal Tribunale del riesame con ordinanza del 29/12/2010.
Con decisione del 30 giugno 2014, il Tribunale di Palermo ha ritenuto COGNOME Salvatore penalmente responsabile del reato associativo a lui ascritto, sulla base di un ampio compendio probatorio fondato sulle precise e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, seppur con esclusione di un suo ruolo direttivo,
L’esito decisorio è stato inizialmente confermato in secondo grado dalla Corte d’appello di Palermo con sentenza 24/10/2016 e poi è stato oggetto di annullamento da parte della Corte di Cassazione con sentenza del 09/05/2018.
In sede di rinvio, la Corte territoriale, in diversa composizione, con decisione del 18/03/2021, ha assolto il COGNOME ai sensi dell’articolo 530, comma due, cod. proc. pen., dal reato a lui ascritto con la formula “perché il fatto non sussiste”.
2.A seguito dell’assoluzione per il reato di partecipazione in associazione mafiosa, la Corte d’appello di Palermo, adita dal COGNOME per la riparazione della sottoposizione alla misura custodiale detentiva sofferta dal 13/12/2010 al 30/05/2018, in data 01/12/2022, rigettava nel merito la domanda ritenendo ostativa al dritto alla riparazione la circostanza che il COGNOME avesse mantenuto contatti diretti con soggetti di spicco della consorteria mafiosa, alla luce di quanto emerso dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Su impugnazione del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Quarta Sezione di questa Corte, ha annullato con rinvio la decisione del giudice della riparazione, affermando che, sebbene questi abbia evidenziato quali condotte colpose a) la generica disponibilità dell’imputato a fornire il proprio contributo al gruppo e la sua vicinanza al medesimo b) l’apporto del COGNOME alla vicenda del pizzino descritta dal collaboratore di giustizia COGNOME e) il ruolo statico del COGNOME sommariamente delineato dal collaboratore di giustizia COGNOME egli tuttavia non ha effettuato un effettivo approfondimento delle caratteristiche delle indicate condotte colpose ed ha, pertanto, omesso di chiarire il ragionamento logico posto alla base della decisione di rigetto dell’istanza riparatoria, il contesto in cui s sono verificate le vicende descritte e la loro efficienza causale rispetto alla restrizione cautelare.
3.In sede di rinvio la Corte di appello di Palermo ha parzialmente accolto l’istanza di riparazione nei limiti dell’importo massimo di 516.456,90.
4.Avverso quest’ultimo provvedimento propone ricorso per Cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze articolando il ricorso nei seguenti motivi.
5.Nel primo motivo lamenta la violazione di legge in relazione agli artt. 314 e 315, cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello fatto erronea applicazione dei canoni di giudizio propri del processo penale il luogo di quelli civilistic nell’accertamento della colpa grave che esclude l’indennità.
6.Nel secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 314, 315 e 556 cod. proc. pen; si deduce l’omessa contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle condizioni che escludono la ricorrenza del dolo o colpa grave.
Nel terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli articoli 314 e 356 cod. proc. pen. e l’omessa motivazione in ordine alla possibilità di valutare la condotta dell’indagato come connotata da colpa lieve ai fini della riduzione del quantum indennitario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo e il secondo motivo di ricorso sono infondati e non meritano accoglimento.
2.Quanto al primo, deve essere, in premessa, ricordato che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda (la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione), mentre alla parte resistente incombe di provare il dolo o la colpa grave da parte dell’istante medesimo quali causa o concausa del provvedimento restrittivo (Sez. 4, n. 18828 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276261); e tutto ciò fermo restando che il giudice della riparazione, ai fini della valutazione della ricorrenza della colpa, ben può fare riferimento alla definizione generale contenuta nell’art. 43 cod. pen., mancando nel codice civile una norma di tenore analogo, anche in riferimento ai criteri di gradazione dell’elemento soggettivo.
3.Tanto chiarito, va evidenziato che il giudice della riparazione effettuando sul piano concettuale una ben chiara distinzione tra gli elementi fattuali posti alla base della misura e la successiva valutazione operata della pronuncia assolutoria, ha ritenuto (specificamente alla pag. 7 e 8 e ss.) che tali
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presupposti, già costituenti fondamento della restrizione cautelare e per come valutati dal giudice del merito, non fossero idonei a concretizzare gli elementi ostativi del dolo o della colpa grave, facendo corretta applicazione dei principi enunciati dalle decisioni di Questa Corte sul tema del mantenimento, da parte del soggetto richiedente l’indennizzo, di “frequentazioni ambigue” con esponenti del sodalizio malavitoso in relazione al quale è applicata la misura detentiva asseritamente ingiusta.
Come noto, sul tema la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che non tutte le frequentazioni integrano la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art. 314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25848601); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, con lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280547; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 2209840).
I giudici di merito hanno specificamente dato atto della circostanza per la quale le frequentazioni tenute dal COGNOME non potevano essere poste in rapporto sinergico con la detenzione subìta quale espressione di dolo o colpa grave evidenziando, per quanto risultante dalla decisione assolutoria della Corte d’appello, che il COGNOME non viene indicato da alcun collaboratore di giustizia come un soggetto formalmente affiliato all’organizzazione “cosa nostra” e non risulta a suo carico alcun condotta specifica valutabile quale contributo significativo, rispetto al mantenimento o al rafforzamento del sodalizio criminoso (cfr. pag. 7), non incorrendo, quindi, nella violazione di legge dedotta in sede di ricorso.
4.L’infondatezza del primo motivo induce a formulare analoga considerazione anche in riferimento al secondo motivo di ricorso, con il quale si è lamentata – sulla base di coincidenti elementi di fatto – una dedotta carenza motivazionale in punto di insussistenza del dolo o della colpa grave, giacché, per quanto già esposto, il giudice della riparazione ha dato specificamente atto degli elementi fattuali vagliati in sede di merito e proceduto alla loro espressa valutazione in ordine al giudizio imposto dall’art. 314 cod. proc. pen.
5.11 terzo motivo di ricorso è fondato e merita accoglimento.
Va ricordato, infatti, che nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non
quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo bensì per l’eventuale riduzione della sua entità (Sez. 4, n. 21575 del 29/1/2014, COGNOME, Rv.
259212; conf. Sez. 4, n. 2430 del 13/12/2011 dep. il
2012, COGNOME, Rv. 251739;
Sez. 4, n. 51343 del 09/10/2018, V., Rv. 274006 – 01).
Ebbene, la pronuncia impugnata ha omesso qualsivoglia valutazione sul punto, anche a fronte delle deduzioni del ricorrente, sia pure formulate in via
subordinata, in cui si sottolineava che, in ogni caso, nella sentenza si era accertato che il COGNOME aveva comunque fornito al sodalizio una “generica
disponibilità (in sede di assoluzione, si era reputato che le dichiarazioni del collaboratore COGNOME che ha parlato del ruolo di spicco del d’Anna nel panorama
mafioso del Terrasini, sono state considerate utili a caratterizzare “un contesto”
più che a dimostrare la colpevolezza dell’imputato; le dichiarazioni di COGNOME hanno indicato una “posizione di generica disponibilità” dell’odierno ricorrente e
comunque un ruolo, sebbene statico del D’Anna”.
Alla luce di quanto evidenziato l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente al punto concernente la configurabilità della colpa lieve, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Palermo. Con rigetto del ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze nel resto.
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Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al punto concernente la configurabilità della colpa lieve con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Palermo. Rigetta nel resto il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Spese al definitivo.
Così deciso in Roma, in data 07/03/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente