Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33200 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33200 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 06/08/1974
avverso l’ordinanza del 30/01/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona della sostituta NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria nell’interesse del MINISTERO DELLE FINANZE con cui è stato chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione presentat nell’interesse di NOME COGNOME in relazione alla custodia cautelare da cost subita, prima quale indagato e poi quale imputato per i seguenti delitti: ar 416, comma 6, cod. pen., aggravato dall’art. 4 legge 15 marzo 2006 n. 146 n. 146/2006; artt. 81, comma 2, 110 cod. pen. e 12, comma 3, lett. d) e comma 3 ter, lett. b), d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 aggravato dall’art. 4 legg 146/2006, che si assumevano commessi in Italia (a Palermo) e all’estero (in Macedonia).
A COGNOME era stato contestato di avere preso parte ad una associazione – composta, tra gli altri, da COGNOME NOME e NOME COGNOME – finalizza alla commissione di più delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di riciclaggio, di trasporto e di cessione di armi. Second l’accusa, il contributo fornito da COGNOME all’attività associativa consistev reperire società compiacenti per assumere fittiziamente cittadini stranieri onde consentire loro di ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro e trasferirsi nel territorio dell’Unione Europea. COGNOME è stato assolto tutte le imputazioni a lui ascritte perché il fatto non sussiste.
2. I giudici della RAGIONE_SOCIALE riparazione hanno respinto la domanda di riconoscimento dell’indennizzo ravvisando nel comportamento tenuto del ricorrente profili di colpa ostativi rappresentati dall’aver ricevuto pre l’abitazione nella quale era ristretto agli arresti domiciliari: in una p occasione, NOME COGNOME e COGNOME NOME; in una seconda occasione, COGNOME NOME. Secondo la Corte di appello, quegli incontri erano funzionali a definire il progetto criminoso e ciò emerge da una conversazione intercettata subito dopo il secondo incontro, nella quale COGNOME riferì COGNOME dell’esito del colloquio con COGNOME e della disponibilità manifestata a predere parte al progetto criminoso dietro corrispettivo in denaro. Secondo l’ordinanza impugnata, tale resoconto non può essere relegato al tentativo di compiacere COGNOME (come è stato sostenuto in giudizi da COGNOME) e dimostra che COGNOME si era reso disponibile a contribuire alla realizzazione del progetto criminoso. I giudici della riparazio sostengono che tale condotta, gravemente colposa, non è stata esclusa nel giudizio di cognizione, all’esito del quale si è ritenuta insussistente l’ipoti associazione e si è ritenuto che gli imputati non avessero concretamente avviato un programma criminoso, ma non è stato escluso che gli incontri di
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cui si è detto fossero avvenuti, né è stato escluso che il contenuto di quegl incontri fosse quello risultante dal rendiconto che COGNOME ne fece a Ljatifi
Contro l’ordinanza della Corte di appello, COGNOME ha poposto ricorso, per mezzo del difensore munito di procura speciale, affidandosi ad un unico motivo col quale ha dedotto violazione di legge e vizi di motivazione.
Secondo il ricorrente, il provvedimento sarebbe lacunoso e illogico nella parte in cui afferma che «il resoconto fatto dal COGNOME al Ljatifi, non pu essere relegato come volto esclusivamente a compiacere il Ljatifi». Tale affermazione, infatti, sarebbe in contrasto con le conclusioni della sentenza di assoluzione, secondo la quale l’ipotizzata associazione a delinquere non può essere ritenuta sussistente e nella quale si legge che COGNOME faceva «da spalla» a Ljatifi, «assecondandolo e compiacendolo, mostrando di appoggiare le sue variegate e fantasiose intenzioni, magari perché egli stesso interessato a facili quanto difficlmente raggiungibili guadagni».
La difesa rileva che l’assoluzione del COGNOME attesta la manifest infondatezza dell’accusa. Secondo i giudici della cognizione, infatti, dal indagini non è emerso alcun elemento idoneo a dimostrare l’esistenza di una struttura stabile finalizzata alla commissione di più reati di favoreggiament dell’immigrazione clandestina, di riciclaggio, di trasporto e di cessione armi. Inoltre, nei due interrogatori resi, COGNOME ha chiarito di a ricevuto, dapprima, la visita inaspettata di COGNOME (che neppure conosceva) accompagnato da NOME COGNOME (che era invece un suo amico) e di averli cacciati dopo averne compreso le ragioni. Ha escluso, inoltre, che la visita di COGNOME fosse stata programmata e ha escluso di aver manifestato disponibilità al compimento di attività illecite. A questo proposito, il difen ricorda che, come COGNOME ha spiegato, quanto si evince dalla conversazione tra lui e COGNOME, captata in modalità ambientale, costituisce un mera millanteria circa la realizzabilità del “fantasioso” progetto.
A conferma della GLYPH insussistenza del GLYPH reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il difensore ricorda che, in tesi accusatoria, t i favoriti doveva esserci un cittadino macedone il quale, poiché la Macedonia è stata inserita tra i paesi dell’area Schengen, non aveva bisogno di un permesso di soggiorno per fare ingresso in Italia e trattenervisi.
La difesa sostiene, in sintesi, che l’affermazione secondo la quale COGNOME si sarebbe reso disponibile alla realizzazione del piano criminoso sarebbe frutto di una lettura frammentata della sentenza di assoluzione. Nel giudizio di cognizione, infatti, non è stato accertato che COGNOME avesse dat disponibilità ad assumere cento persone e a fornire loro alloggio chiedendo,
per ciascuna di queste persone, una contropartita di 5.000 euro. Non è stato accertato, quindi, che quanto riferito da COGNOME a Ljatifi corrispondesse a verità. Di conseguenza non si comprende perché il comportamento consistito nel ricevere a casa i coimputati sarebbe gravemente colposo e neppure si comprende in che modo tale comportamento avrebbe creato «la falsa apparenza che avrebbe legittimato l’emissione dell’ordinanza genetica»
Il Procuratore generale, in persona della Sostituta NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Nell’interesse del Ministero delle Finanze, l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto dichiararsi l’infondatezza del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
I giudici della riparazione, dopo avere ricostruito la vicend processuale GLYPH che GLYPH ha GLYPH riguardato GLYPH il GLYPH Vitellaro e GLYPH delineato GLYPH il GLYPH quadro giurisprudenziale di riferimento, richiamando il compendio indiziario valorizzato ai fini della adozione della ordinanza genetica e, di seguito, sentenza assolutoria, hanno rigettato la domanda di riconoscimento dell’indennizzo ravvisando nel comportamento tenuto del ricorrente profili di colpa ostativi.
Si è evidenziato a tal fine che, tanto la sentenza della Corte di assise quanto quella della Corte di Assise di appello di Palermo, hanno dato risalto alle risultanze delle numerose intercettazioni – riportate nel decreto di ferm e nell’ordinanza cautelare (progr. 2970 e 2972) – dalle quali risulta che il maggio 2017, intorno alle 18:00 COGNOME, accompagnato da NOME COGNOME, si recò a casa di Vitellaro (all’epoca ristretto agli arresti domicil Quello stesso pomeriggio, COGNOME e COGNOME discussero del possibile coinvolgimento di COGNOME in un progetto criminoso volto a favorir l’immigrazione clandestina servendosi di una “ditta” per simulare l’avvenuta assunzione di alcuni lavoratori extracomunitari. Qualche giorno più tardi, il 16 giugno 2017, COGNOME e COGNOME tornarono a casa di Vitellaro, ma solo COGNOME vi entrò e vi si trattenne per circa quaranta minuti. COGNOME rima in auto e, al ritorno, COGNOME lo ragguagliò in merito all’incont riferendogli della piena e incondizionata disponibilità del COGNOME a far pa
della “cordata”, sia pure reclamando una diversa e più favorevole ripartizione dei profitti.
Secondo la Corte della riparazione, anche se COGNOME ha parlato di una millanteria e COGNOME ha sostenuto di non essersi mai dichiarato disponibile a partecipare al progetto, rappresenta comunque un dato di fatto incontestato che l’odierno ricorrente, ancorché ristretto agli arresti domiciliari, a ricevuto a casa propria, in due circostanze diverse, persone che si stavano occupando di organizzare un progetto criminoso. Secondo l’ordinanza impugnata, che gli incontri riguardassero quel progetto non è stato escluso dalla sentenza di assoluzione ed è documentato dalle plurime conversazioni intercettate, anche antecedenti al primo incontro, oltre che dal dettagliat resoconto fatto da COGNOME a Ljatifi, che non può essere relegato, come era stato sostenuto in dibattimento dal COGNOME, al tentativo di compiacere Ljatifi. L’ordinanza sottolinea che la tesi difensiva, rassegnata dall’imputa sia durante gli interrogatori che in dibattimento, di non avere avuto in real alcun interesse verso la proposta illecita ricevuta dai coimputati, mal concilia, secondo i parametri della logica più elementare, con la circostanza che egli, per ben due volte, abbia incontrato i coimputati, con ci esponendosi al rischio di essere sorpreso dalle forze dell’ordine preposte ai controlli e di subire l’aggravamento della misura cautelare cui era sottoposto. Osserva, inoltre, che, se COGNOME non fosse stato interessato al progetto, non si spiegherebbero i dialoghi successivi agli incontri che ne descrivono il contenuto in maniera talmente dettagliata da non poter essere relegati a mere millanterie. Rileva, infine, che COGNOME non ha giustificato in al modo la seconda visita di COGNOME, avvenuta a distanza di pochi gorni da quella di COGNOME e COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo la Corte di appello, pur non essendosi tradotta in comportamenti concreti, la professata disponibilità del COGNOME a mettersi a disposizione p il perseguimento dei comuni fini criminosi, integra, nel giudizio di riparazione gli estremi della “colpa grave” secondo la nozione accolta dall’esegesi giurisprudenziale dell’art. 314 cod. proc. pen. Questa condotta, infatti, h determinato la falsa apparenza della penale responsabilità dell’odierno ricorrente, idonea a trarre in inganno con un giudizio ex ante l’Autorità giudiziaria in ordine alla sussistenza di elementi dotati di gravità indizia che hanno legittimato l’emissione dell’ordinanza cautelare.
È noto che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudic di merito, per valutare se chi l’abbia patita vi abbia dato o abbia concorso darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e
completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferime alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. A tal fine occorre esaminare la condotta tenuta dal richieden sia prima che dopo la perdita della libertà personale per stabilire co valutazione ex ante, non se la condotta configuri gli estremi del reato, ma solo se abbia costituito il presupposto che ha ingenerato, sia pure in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando così luogo alla detenzione con rapporto di causa-effetto (Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, COGNOME, Rv. 222263; Sez.4, n. 22642 del 21/3/2017, COGNOME, Rv. 270001; Sez. 4, n. 27458 del 5/2/2019, COGNOME, Rv. 276458).
Vale la pena ricordare che è stato costantemente ribadito il principio secondo cui tra il giudizio di cognizione e quello per la riparazion dell’ingiusta detenzione vi è completa autonomia; si tratta, invero, di operar su piani di indagine diversi che possono portare a risultati differenti, su scorta del medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, con l’unico limit che non è consentito al giudice della riparazione di ritenere provati fatti c tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato come dimostrate (sez. 4 n.11150 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262957; Sez. 4, n.12228 del 10/1/2017, Quaresima, Rv. 270039).
4. Nel caso in esame, il copioso materiale intercettivo che dava atto dei dialoghi intercorsi tra gli ipotizzati “complici” del COGNOME, è stato ritenu giudici di merito non idoneo a provare che le «mere dichiarazioni di intenti contenute nei colloqui oggetto di captazione avessero avuto un seguito, uno sbocco completo», andando oltre la soglia degli atti preparatori. Nondimeno, nel giudizio di cognizione, è rimasto incontestato l’argomento principale ed assorbente, utilizzato dal giudice della riparazione: pur essendo ristretto agl arresti domiciliari, per ben due volte, COGNOME ha ricevuto estranei (NOME COGNOME in un caso, COGNOME nell’altro) e, in entrambi i casi, l’oggetto del visite era un progetto criminoso riguardante il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ciò emerge, peraltro, oltre che dalle conversazioni intercettate, anche dalle dichiarazioni rese da COGNOME il quale pur avendo sostenuto di non aver manifestato alcun interesse verso la proposta (illecita) ricevuta dai coimputati, ha ammesso, tuttavia che gl incontri avevano ad oggetto quella proposta.
La tesi difensiva, secondo la quale COGNOME non invitò a casa propria i coimputati, che vi si recarono di propria iniziativa, e non manifestò interess verso la proposta ricevuta, non intacca le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale, che ha ritenuto gravemente colposo il comportamento cosistito nel ricevere a casa propria persone che stavano programmando una attività criminosa, discutendo con loro di quel programma, da parte di una persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari con braccialett elettronico. Non è controverso, infatti, che gli incontri abbiano avuto luogo che il secondo si sia protratto per quaranta minuti. Inoltre, le sentenze d merito non hanno escluso che le conversazioni avvenute nel corso degli incontri avessero ad oggetto un programma criminoso e lo stesso COGNOME lo ha ammesso, pur sostenendo di non essersi mai dichiarato disponibile in tal senso. Non è manifestamente illogico aver ritenuto che il secondo incontro non avrebbe avuto ragion d’essere se, nel primo, COGNOME non avesse manifestato disponibilità, né è illogico aver sottolineato che, ricevendo i casa propria terze persone pur essendo ristretto agli arresti domiciliari COGNOME si esponeva al rischio di essere sorpreso dalle forze dell’ordine e dunque, non lo avrebbe fatto per mera cortesia. L’ordinanza impugnata sottolinea – e la motivazione è scevra da profili di contraddittorietà manifesta illogicità – che, se il ricorrente non fosse stato effettivamen interessato al progetto (pur considerato dai giudici della cognizione come una «dichiarazione di intenti» rimasta priva di seguito), non avrebbe consentito, dopo il primo incontro, di ricevere una seconda visita da parte di COGNOME
La motivazione del provvedimento non si palesa illogica né carente nemmeno quanto al ruolo sinergico che le condotte poste in essere dal COGNOME hanno avuto nell’adozione del provvedimento cautelare. La Corte della riparazione, invero, ha interpretato come gravemente colposi comportamenti che, per quanto non integranti il reato contestato, hanno determinato per negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti, una situazione tale da costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si è riso nella adozione di un provvedimento limitativo della libertà personale.
Per quanto esposto il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità dal Ministero resistente, che si liquidano come da dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre che alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio dal Ministero resistente che liquida in complessivi euro mille. Così deciso, il 24 giugno 2025
La C GLYPH liera est.