Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28437 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28437 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 07/05/1991
avverso l’ordinanza del 06/02/2025 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni della Procura generale, nella persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’Avvocatura dello Stato, nel senso del rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bari, quale giudice della riparazione, ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l’ingiusta detenzione prospettata come patita in forza di ordinanza cautelare emessa con ·riferimento al reato di ricettazione di un motorino. Trattasi di fattispecie per la quale, all’esito della convalida del fermo, è stata applicata misura cautelare custodiale e dalla quale il richiedente è stato assolto, per insussistenza del fatto, con sentenza irrevocabile di primo grado.
Avverso l’ordinanza e nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso fondato su tre motivi con i quali si deducono violazioni di legge (artt. 314, 315, 192 e 530 cod. proc. pen.) e vizio cumulativo di motivazione in ordine alla ritenuta colpa grave sinergica rispetto all’intervento dell’autorità, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Senza confrontarsi con la sentenza penale e travisandone il giudicato assolutorio, la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato, ai fini della colpa grave ostativa, la fuga operata dal richiedente alla vista delle forze dell’ordine a bordo del ciclomotore risultato oggetto di furto, commesso circa due mesi prima, da lui condotto in assenza di documentazione. In tesi difensiva, l’errore sarebbe da ravvisarsi nell’aver posto a fondamento della decisione la detta condotta anche se ritenuta in sede penale non rilevante ai fini della responsabilità, avendo il giudice ritenuto in buona fede l’acquisto del ciclomotore, in considerazione del contesto socio-economico dell’imputato il cui comportamento sarebbe stato ricondotto a una situazione di errore non rirnproverabile ex art. 47 cod. pen. La descritta condotta di fuga, prosegue sul punto il ricorrente, – alla quale peraltro, di per sé considerata, la giurisprudenza di legittimità negherebbe efficacia ostativa – sarebbe stata già oggetto di valutazione in sede penale e considerata non probante ai fini della relativa responsabilità in quanto dettata più da uno stato di vulnerabilità e paura che da un intento criminoso. In termini manifestamente illogici la Corte territoriale si sarebbe limitata a valorizzare gli stessi elementi già esaminati in sede penale, superati ai fini della responsabilità dell’imputato, per poi ritenerli gravemente colposi e sinergici rispetto all’intervento dell’autorità, peraltro senza una loro autonoma valutazione critica. Ne sarebbe conseguito il travisamento del giudicato assolutorio in contrasto con i principi di legalità e certezza del diritto a
cagione di un’inammissibile elusione degli effetti sostanziali della sentenza irrevocabile.
La Procura generale e l’Avvocatura dello Stato hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, i cui motivi sono suscettibili di trattazione congiunta, è inammissibile.
In primo luogo, nel dedurre il mancato confronto con la sentenza assolutoria, quanto all’accertamento della condotta ostativa, il ricorrente non coglie la ragione fondante la decisione (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 10897 del 29/01/2025, COGNOME, tra le più recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01).
2.1. Diversamente da quanto dedotto, la Corte territoriale pone alla base dell’accertamento della condotta ostativa gli elementi accertati in sede penale per poi, rapportandoli all’intervento cautelare, ritenerli sinergici al fermo e alla successiva misura custodiale.
L’approccio metodologico all’accertamento dell’elemento negativo del diritto all’equa riparazione, la condotta ostativa, è corretto oltre che retto da motivazione coerente e non manifestamente illogica (quanto al corretto approccio metodologico si vedano, ex plurimis, Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, COGNOME, la giurisprudenza di legittimità in essa richiamata, tra cui Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, COGNOME, e a essa successiva, tra le più recenti Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, COGNOME). Il riferimento è alla fuga dalle forze dell’ordine valutata non di per sé ma in uno con l’aver acquistato un motociclo privo di documentazione e con l’averlo guidato in tali condizioni, peraltro senza fornire giustificazione alcuna in merito al relativo possesso. Nel confrontarsi con la sentenza assolutoria, il giudice della riparazione evidenzia difatti che solo in sede processuale (già revocata la misura cautelare) l’instante ha dichiarato di aver acquistato il bene al prezzo di 250,00 euro da un suo connazionale (tale «NOME).
2.2. Nei termini di cui innanzi i giudici di merito mostrano altresì di confrontarsi con la circostanza, sottesa all’assoluzione penale ma ritenuta non escludente la condotta ostativa alla riparazione, per cui l’essersi dato alla fuga
non integra indizio univoco della consapevolezza della provenienza delittuosa, ben potendo nella specie essere stata giustificata dalla mancata disponibilità del documento del motociclo e, soprattutto, dall’assenza di un permesso legittimante la permanenza nel territorio dello Stato Italiano.
Sul punto, peraltro, il ricorrente non si confronta con i principi governanti la materia, con censura che quindi sotto tale profilo si mostra manifestamene infondata.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, come sintetizzato da Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, COGNOME, in termini ripresi di recente da Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, COGNOME, e in questa sede condivisi e ribaditi, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268952 – 01). La colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996 – 01, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamati, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le censure sono manifestamente infondate laddove prospettano l’errore dei giudici di merito nell’aver ritenuto sussistente la colpa grave ostativa nonostante la buona fede dell’attuale ricorrente accertata in sede penale. Ciò, al netto dell’inammissibile deduzione del travisamento non di un mezzo di prova bensì del «giudicato assolutorio», peraltro, come innanzi evidenziato, considerato dalla Corte territoriale ma in relazione ai diversi fini del giudizio riparatorio.
3.1. Come di recente ribadito da Sez. 4, n. 2039 del 10/10/2024, dep. 2025, COGNOME, con iter logico-giuridico condiviso in questa sede, la colpa che vale a escludere il diritto all’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica con l’intervento dell’Autorità, una misura custodiale. Tuttavia, diversamente da quanto sostanzialmente sostenuto dal
ricorrente, il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, non si identifica con la
«colpa penale», venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id
quod plerumque accidit, possa aver créato una situazione di prevedibile e doveroso intervento
dell’Autorità, pur se tesa, in concreto, al perseguimento di altri risultati. Sicché, anche il giudizio sulla prevedibilità va formulato con criterio
ex ante e in una
dimensione oggettiva, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente ma come prevedibilità secondo il parametro della comune
esperienza, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo a un intervento coercitivo dell’Autorità. È sufficiente, pertanto, analizzare quanto
compiuto dal richiedente sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di
equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo.
3.2. Si tratta di principi ai quali l’ordinanza impugnata si è attenuta, ritenendo la condizione ostativa in ragione delle oggettive circostanze
caratterizzanti la condotta del ricorrente evidenziate al precedente paragrafo 2.1.
In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende (misura ritenuta equa, ex art. 616 cod. proc. pen. come letto da Corte cost. n. 186 del 2000, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità emergenti dai ricorsi nei termini innanzi evidenziati). Alla soccombenza segue altresì la condanna dei alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che si liquidano in complessivi euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e %della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Così deciso il 20 giugno 2025
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