Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 15/04/1990
avverso l’ordinanza del 05/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per la dichiarazione d inammissibilità del ricorso;
letta la memoria depositata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha chiesto di dichiarare inammissibile ovvero di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione , formulata da NOME COGNOME per il periodo di custodia cautelare in carcerdà~dal 30/04/2019 sino al 21/05/2019 e, da tale data, sino al 19/10/2020, per quello trascorso in regime di arresti domiciliari; in riferimento a un capo d imputazione provvisorio ipotizzante il reato previsto dagli artt. 110 e 512bis cod.pen. (già art.12quinquies del d.lgs. 306/1992), con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare un’associazione mafiosa e dal quale l’istante era stato assolto dalla Corte di appello di Catania, con senten divenuta definitiva, in quanto il fatto non costituisce reato e per insussisten dell’elemento soggettivo del reato sotto forma del necessario dolo specifico.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha osservato che la domanda non poteva essere accolta, essendo ravvisabile una condotta gravemente colposa in capo al ricorrente da porre in diretto rapporto causale con la detenzione sofferta.
In particolare, ha rilevato che il provvedimento cautelare si fondava sul contenuto delle conversazioni intercettate : g dal quale emergeva la sussistenza dell’elemento materiale del reato di intestazione fittizia, essendosi il ricorrente attribuito la titolarità di un’impresa, con condotta da ritenere come indice di un atteggiamento gravemente colposo.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione, nel quale ha dedotto la violazione di legge e il difetto di motivazione – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. in relazione all’art.314 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la Corte territoriale si sarebbe sottratta GLYPH all’onere di esaminare il comportamento del ricorrente anteriormente e successivamente all’emissione della misura al fine di dedurre la sussistenza dell’elemento ostativo rappresentato dal dolo o dalla colpa grave; ha argomentato che l’istante si era, sin dal momento del suo arresto, da subito attivato per tentare di dimostrare la propria estraneità rispetto ai fatti contestati, attivando anche il procedimento di riesame dell’ordinanza applicativa e presentando successive istanze finalizzate alla revoca ovvero alla sostituzione della misura, sino alla proposizione dell’appello avverso la sentenza di condanna emessa nel primo grado di giudizio e a seguito del quale la Corte territoriale aveva emesso una sentenza di assoluzione
ritenendo non perfezionato l’elemento soggettivo del reato ascritto; concludendone che non poteva essere ravvisata, in capo all’istante, alcuna condotta tale da ingenerare nell’autorità procedente la falsa apparenza della configurabilità della propria condotta quale penalmente illecita.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria nella quale ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato.
L’unitario motivo di ricorso ha contestato la correttezza del percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale in punto di valutazione della sussistenza della causa ostativa rappresentata dalla presenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a dare luogo alla detenzione con dolo o colpa grave.
Va quindi premesso che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato cau all’ingiusta carcerazione per dolo o colpa grave, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordine alla cui attribuzio all’interessato e incidenza sulla determinazione della detenzione il giudice tenuto a motivare specificamente (Sez.4, 3/6/2010, n.34656, COGNOME, RV. 248074; Sez.4, 21/10/2014, n.4372/2015, COGNOME COGNOME, RV. 263197; Sez.3, 5/7/2022, n.28012, COGNOME, RV. 283411); in particolare, il giudice di merito, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abb concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi d reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua
configurabilità come illecito penale (Sez.4, 22/9/2016, n.3359/2017, COGNOME, RV. 268952), con particolare riferimento alla commissione di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti (Sez.4, 5/2/2019, n.27548, COGNOME, RV. 276458).
Deve altresì essere ricordato che, sulla base dell’arresto espresso da Sez.U, 13/12/1995, n.43/1996, COGNOME, RV. 203638, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in relazione tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di esaminare i materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventual sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione; derivandone, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in base al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclus ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparazi (Sez.4, 10/6/2010, n.27397, COGNOME, RV. 247867; Sez.4, 14/12/2017, n.389512018, P., RV. 271739). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. In relazione ancora più specifica rispetto alla fattispecie concreta i esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione pe ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare, se condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare,
nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stes come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez.U, 27/5/2010, n.32383, COGNOME, RV. 247664).
Deve quindi ritenersi che l’odierno ricorrente abbia del tutto omesso l’onere di necessario confronto con le argomentazioni poste alla base dell’ordinanza impugnata; ricordando k che costituisce onere del ricorrente e a per cassazione di indicare GLYPH Lcorrelazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468).
Nel caso di specie, il ricorrente si è quindi limitato ad argomentare in ordine al comportamento processuale tenuto dopo l’applicazione della misura (in correlazione con le istanze di revoca e sostituzione della medesima, dell’istanza di riesame e dell’appello avverso la sentenza di condanna emessa all’esito del primo grado di giudizio), senza in alcun modo raffrontarsi con le specifiche argomentazioni poste alla base dell’ordinanza del giudice della riparazione.
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Ne GLYPH specificamente, la Corte ha ravvisato il comportamento gravemente colposo del ricorrente – con passaggio motivazionale rimasto privo di qualsiasi specifica censura – nella sussistenza della condott materiale posta alla base del reato di cui all’art.512bis cod.pen. rappresentatAdall’essersi fittiziamente intestato un’attività imprenditoriale il tutto, peraltro, in coerenza con il principio in base al quale l’avere accet di farsi intestare fittiziamente beni immobili per la consumazione di una serie di condotte quale quella in esame, costituisce colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, poiché in tal modo, se anche non si sia a conoscenza della vicenda illecita sottostante e dei motivi che hanno indotto le parti a servirsi di una “testa legno”, si assume comunque il rischio del coinvolgimento in attività illecite (Sez. 4, n. 22281 del 12/03/2008, Nocca, Rv. 239977).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente va altresì condannata alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente in questo giudizio di legittimità, liquidate come i dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dal Ministero resistente, che liquida in euro mille.
Così deciso il 19 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente