Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2401 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2401 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: MINISTERO ECONOMIA E FINANZE C/ COGNOME nato a TERNI il 13/01/1964
avverso l’ordinanza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
letta la memoria depositata dalla parte resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Presidente –
– Relatore –
Sent. n. sez. 16/2025
CC – 09/01/2025
R.G.N. 36831/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TERNI il 13/01/1964
avverso l’ordinanza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
letta la memoria depositata dalla parte resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Perugia ha parzialmente accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME COGNOME in relazione alla misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal GIP presso il Tribunale di Terni – per i delitti previsti dagli artt. 353 e 353bis cod.pen. – nel periodo compreso tra il 21/12/2017 e 1’11/01/2018, data nella quale la misura era stata sostituita con quella interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblici uffici e servizi oltre che con quella dell’obbligo di dimora presso il Comune di Terni; imputazioni dalle quali il ricorrente era stato assolto, dopo la condanna pronunciata in primo grado, dalla Corte di appello di Perugia per insussistenza dei fatti, con pronuncia divenuta definitiva.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha osservato che non sussistevano ragioni di dolo o colpa grave ostative rispetto al riconoscimento dell’indennizzo; specificamente, ha fatto riferimento all’elemento valorizzato in sede di sentenza di assoluzione e dal quale emergeva che gli appalti di servizi affidati dal ricorrente e oggetto dell’imputazione erano sempre stati qualificati come appalti di servizi inferiori alla soglia di € 40.000,00 e quindi suscettibili di affidamento diretto, non potendosi quindi rimettere in discussione la liceità del comportamento dell’istante; ha altresì rilevato che, in ordine alla messaggistica intercorsa con altri coindagati, il contenuto della stessa afferiva a richieste e considerazioni provenienti da un terzo soggetto piuttosto che a messaggi di risposta del Piacenti; rilevando, altresì, come nessun addebito colposo potesse essere ricavato dal tenore delle risposte fornite in sede di interrogatorio reso ai sensi dell’art.294 cod.proc.pen..
In tema di liquidazione dell’indennizzo, la Corte ha valutato il pregiudizio derivante dalla immediata sospensione dalla carica di assessore ai lavori pubblici, evidenziando peraltro che il ricorrente ben avrebbe potuto successivamente riprendere la propria attività politica; che il danno attinente alla reputazione era da considerare indennizzabile in ordine al solo periodo della detenzione e non alla durata della pendenza del procedimento penale; che, in ordine alla dedotta perdita di chances, il ricorrente non aveva dato prova che potesse essere applicata la normativa contenuta nell’art.80, comma 5, d.lgs. n.50/2016, attinente agli “operatori economici” esclusi dagli appalti pubblici; che erano da ritenersi non provati pregiudizi alla propria posizione reddituale e alle dedotte chances occupazionali.
La Corte ha quindi ritenuto di valorizzare, comunque, le peculiari connotazioni della vicenda al fine di operare una congrua maggiorazione dell’indennizzo riconoscibile sulla base del solo criterio aritmetico, attribuendo al ricorrente una somma pari a € 350,00 per ogni giorno di restrizione, con conseguente liquidazione finale di € 7.700,00 complessivi.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 314 e ss. cod.proc.pen., specificamente in ordine alla valutazione del presupposto ostativo del dolo ovvero della colpa grave.
Ha dedotto che la sentenza di assoluzione non aveva escluso la sussistenza dell’elemento materiale dei reati ascritti, non procedendo a una riqualificazione delle condotte solo in assenza di una contestazione specifica degli elementi qualificanti l’abuso d’ufficio; ritenendo quindi che il giudice della riparazione avesse indebitamente sovrapposto il piano di valutazione rimesso al giudice della cognizione rispetto a quello spettante al giudice della riparazione.
Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Ha, sul punto, richiamato la messaggistica intercorsa tra il ricorrente e il commercialista COGNOME – in ordine alla valutazione del valore commerciale della RAGIONE_SOCIALE – che si sarebbe poi tradotta nella predisposizione degli atti di gara da parte dello stesso candidato che avrebbe dovuto aggiudicarsi l’incarico; ha pure dedotto che, in sede di interrogatorio di garanzia, era stato contestato al COGNOME di avere ricevuto un SMS dal COGNOME, avente a oggetto il sollecito di pagamento di una precedente fattura; ritenendo, quindi, che il comportamento del COGNOME – nel recepire le sollecitazioni del COGNOME – si sarebbe connotato come gravemente colposo.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Il difensore dell’originario istante ha depositato memoria, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. I due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati data la loro stretta connessione logica, attenendo entrambi alla congruità della motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di valutazione del presupposto ostativo rappresentato dalla colpa grave in capo alla originaria parte istante.
Va premesso, in relazione specifica rispetto alla fattispecie concreta in esame, che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve infatti, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare, se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez. U, 27/05/2010, n.32383, COGNOME, RV. 247664).
Ciò posto, in riferimento al piano relativo alla distinzione tra l’ordine di valutazione rimessa al giudice della cognizione rispetto a quella spettante al giudice della riparazione (su cui Sez. U, n.43 del 13/12/1995, dep.1996, COGNOME, RV. 203638), deve ritenersi che la censura spiegata dal Ministero ricorrente non sia fondata.
In quanto il giudice della riparazione – contrariamente alla prospettazione del Ministero ricorrente – ha operato un congruo esame in ordine al mancato perfezionamento dell’elemento oggettivo dei reati ascritti, sulla base della specifica valutazione inerente alla possibilità di affidare in via diretta i relativi servizi in presenza di un valore dell’appalto inferiore rispetto agli € 40.000,00 e alla mancanza di prova di qualsiasi effettiva collusione tra il pubblico ufficiale e il privato.
D’altra parte – in relazione alle specifiche argomentazioni che hanno condotto la Corte territoriale a escludere una condotta sinergica
caratterizzata da dolo o colpa grave – le argomentazioni del ricorrente finiscono per configurarsi come meramente oppositive e non tali da prospettare alcun effettivo profilo di illogicità.
Difatti, nell’ambito dell’esposizione del motivo, il ricorrente ha fatto riferimento al tenore di alcuni messaggi provenienti dal solo COGNOME ma senza evidenziare – e tanto in conformità con il ragionamento seguito dalla Corte – effettivi elementi di accondiscendenza da parte del Piacenti, tali da essere valutati sotto il profilo della colpa grave.
Analoga considerazione va altresì riservata allo specifico rilievo articolato dal Ministero e inerente allo scambio di SMS intervenuto il 26/07/2016 con lo stesso COGNOME, avente a oggetto il mero sollecito di adempimento in ordine a importo risultante da precedente fattura e senza che nei confronti dell’odierno istante sia stato, di fatto, configurato alcun comportamento compiacente tali da porsi in sinergia con la detenzione subita.
D’altra parte, appare anche del tutto aspecifico il riferimento a un dedotto comportamento reticente tenuto dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia.
Va ricordato a tale proposito che, fatto salvo il diritto ad avvalersi della facoltà di non rispondere previsto dal vigente testo dell’art.314, comma 1, cod.proc.pen., il comportamento reticente tenuto dall’indagato in sede di interrogatorio, ove causalmente rilevante sulla determinazione cautelare, incide sull’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, in quanto condotta equivoca ed ambigua non equiparabile al silenzio serbato nell’esercizio delle facoltà difensive (Sez.4, 30/6/2022, n.30056, D., RV. 283453).
Nel caso di specie – con notazione non oggetto, di fatto, di alcuna specifica censura – la Corte territoriale ha peraltro evidenziato che il Piacenti non avesse l’onere di fornire risposte esaurienti rispetto alle ragioni del comportamento di terzi, dovendosi limitare a fornire adeguati chiarimenti sulle proprie condotte; di modo che, sotto tale profilo e con valutazione non illogica, il giudice della riparazioni ha escluso la configurabilità di una condotta reticente valutabile sotto il profilo della colpa grave.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, anche trattandosi di parte pubblica, al pagamento delle spese processuali (Sez. 4, n. 22810 del 13/04/2018, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Rv. 272994).
Il Ministero ricorrente va altresì condannato al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità nei confronti dell’originario istante, liquida come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal resistente in questo giudizio di legittimità che liquida in euro mille, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 9 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
COGNOME La Presidente,