Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 38236 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 38236 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VITTORIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento emesso dalla Corte di appello di Catania.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 31 gennaio 2024 la Corte di appello di Catania ha respinto l’istanza formulata nell’interesse di NOME COGNOME di riparazione per l’ingiusta detenzione patita in seguito alla ordinanza di custodia cautelare, emessa in data 7 novembre 2013, in relazione ai reati di cui all’art. 416 bis cod. proc. pen. per avere fatto parte di una associazione mafiosa riconducibile al RAGIONE_SOCIALE COGNOME, operante sul territorio di Vittoria (capo 1), di numerose estorsioni (Capi 5,-9, 11-13, 15-17) e d plurimi episodi di furto (capo 18) tutti aggravati dall’art. 7 L. n. 203/91 che assumevano commessi ai danni di imprenditori agricoli locali ai · quali, secondo l’impostazione accusatoria, condivisa dal Gip, era stato imposto il servizio di guardiania, realizzato tramite la società “RAGIONE_SOCIALE” priva di autorizzazione prefettizia in seno alla quale il COGNOME si era prestato ad assumere il ruolo di amministratore.
1.1. La Corte della riparazione ha ritenuto sussistenti, in capo al COGNOME, condotte colpose ostative che avrebbero implicato una non voluta, quanto prevedibile ragione di intervento dell’Autorità giudiziaria.
Con provvedimento del 13 maggio 2024 la Corte della riparazione ha disposto la correzione del provvedimento adottato nella parte relativa alla mancata quantificazione delle spese spettanti alla Pubblica amministrazione resistente alla quale non aveva provveduto.
Avverso entrambi i provvedimenti sopra descritti sono stati proposti, nell’interesse del Platania, separati ricorsi.
Il primo ricorso è affidato ad un unico motivo con il quale si contesta la erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. in relazione ai profili di colp ravvisati in capo al COGNOME. Egli si sarebbe prestato a svolgere il ruolo di amministratore della società di vigilanza “RAGIONE_SOCIALE” nella quale operava anche NOME COGNOME, con il quale il COGNOME avrebbe condiviso le strategie imprenditoriali, come emergeva – tra l’altro – dalle conversazioni intercettate, nel corpo delle quali si faceva riferimento ad atti di danneggiamento e di furto. Altro profilo era rinvenuto dalla Corte della riparazione nell’essersi il COGNOME presentato al cospetto di un potenziale cliente quale “cogNOME di NOME COGNOME“, noto pregiudicato locale. Ad avviso della difesa le sopra esposte circostanze sarebbero state del tutto negate dalla Corte territoriale. In particolare, contrariamente a quanto si assume nell’ordinanza impugnata, la Corte di merito di Catania aveva ritenuto l’insussistenza di qualsivoglia elemento probatorio in ordine ai ritenuti furti
danneggiamenti posti in essere dall’COGNOME in concorso con COGNOME per costringere le persone ad attivare un servizio di vigilanza. Si tratta di episodi che non sarebbero stati delineati né sul piano temporale né soggettivo.
La Corte della riparazione ha omesso di confrontarsi con le imputazioni, astenendosi dal compiere il dovuto vaglio di causalità. COGNOME invero, è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere in quanto indiziato del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. per avere fatto parte del RAGIONE_SOCIALE, operante nel circondario di Vittoria, sin dal 2012, nonché di plurimi episodi di estorsione aggravati dal metodo mafioso, consistenti nell’imporre un servizio abusivo di “guardiania” dei terreni rurali di numerose imprese mediante plurimi episodi di furti e danneggiameti. Lamenta la difesa che non è dato comprendere, dalla motivazione addotta dai giudici della riparazione, in che modo e in che misura le circostanze addotte dalla Corte abbiano dato causa all’arresto.
Con il ricorso proposto avverso l’ordinanza di correzione di errore materiale notificato il 13 maggio 2024 la difesa del COGNOME deduce:
5.1.- l’abnormità del provvedimento impugNOME. Il 9 febbraio 2024 l’Avvocatura dello Stato ha presentato istanza di correzione di errore materiale perché i giudici avevano dimenticato di provvedere alla liquidazione delle spese legali, allegando una nota spese per oltre tredicimilia euro. La Corte della riparazione, ritenendo la mancata liquidazione delle spese legali una mera dimenticanza, ha disposto la correzione dell’ordinanza n. 4/2024 condannando il COGNOME. Il corretto rimedio da esperire avverso la mancata liquidazione delle spese legali era il ricorso per cassazione e non la correzione materiale come, peraltro, eccepito dallo stesso difensore del COGNOME all’udienza del 9 aprile 2024 e come stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte. Che non si trattasse di una dimenticanza lo si ricava dalla motivazione dell’ordinanza che fa riferimento alla condanna al pagamento delle spese del procedimeno e non a dell’assistenza legale. L’ordinanza di correzione si pone, dunque, in termini di attività interpretativa del decisum, come tale inammissibile nel procedimento di correzione.
D’altra parte l’Avvocatura dello Stato non ha mai depositato istanza di liquidazione dei compensi, come aveva fatto la difesa del COGNOME, il che pone la liquidazione delle spese legali oltre i limiti della domanda e del principio correlazione tra chiesto e pronunciato. Il Ministero, infatti, non avendo chiesto la soccombenza del COGNOME alle spese legali avrebbe manifestato la volontà di rinunciarvi.
5.2. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 4 comma 5 lett. d) D.M. n. 55 del 2014 poiché nulla era dovuto per la fase decisionale posto che ai fini del riconoscimento dei compensi per detta fase rientrano una serie di attività che non rientrano nella lettera e) che non sono mai state poste all’Avvocatura dello
stato che non era presente all’udienza del 31 gennaio 2023 nella quale si è discusso in merito all’istanza di ingiusta detenzione.
Il Procuratore Generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegNOME conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento emesso dalla Corte di appello di Catania.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo ricorso è fondato e assorbe il secondo.
La Corte della riparazione, dopo avere ampiamente richiamato consolidata giurisprudenza di legittimità, non ha fatto buon governo dei principi richiamati.
E’ vero che che l’operazione logica propria del giudice di merito tendente ad accertare la sussistenza del reato e la sua commissione da parte dell’imputato, va distinta da quella del giudice della riparazione, chiamato a stabilire se le condotte poste in essere si siano poste come fattore condizionante alla privazione della libertà e che a tal fine egli ha libertà di esaminare autonomamente il materiale acquisito nel processo per valutare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione ( in tal senso Sez. U n. 43 el 13/12/1995 – dep.09/02/1996, COGNOME ed altri, Rv. 203638; Sez. 4 n. 3359 del 22/09/2016 – dep. 23/01/2017, COGNOME Fornara, Rv. 268952).
E’ del pari vero, però, che il giudice della riparazione non può ignorare quanto è stato accertato nel giudizio di merito e può “affermare e negare solo quanto è stato affermato e negato in questo” (Sez. 4 n. 37791 del 6/10/2020).
Maggiore spazio è consentito al giudice della riparazione rispetto a quelle circostanze che non sono state escluse dal primo giudice, pur se non positivamente affermate (Cfr. Sez. 4 n. 8163 del 12/12/2001 – dep. 28/02/2002, Pavone, Rv. 220984; Sez. 4 n. 4372 del 21/10/2014 – dep. 29/01/2014 Rv. 263197).
La Corte della riparazione ha premesso che COGNOME era stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in relazione ai reati di cui all’art. 416 bis cod. pen nonché di plurimi episodi di furti ed estorsioni tutti aggravati dall’art. 7 della L 203/91 e che già il Tribunale del riesame aveva annullato l’ordinanza con riferimento ai soli reati di furto. Ha dato atto, la Corte della riparazione, che COGNOME aveva reso dichiarazioni tanto in sede di interrogatorio di garanzia quanto dinanzi al Pubblico Ministero in data 6.2.2014, dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. E’ stata poi richiamata la sentenza pronunciata dal Tribunale di Ragusa che aveva condanNOME COGNOME, limitatamente a due episodi estorsivi (Capi 3 e 13) nonché per la contravvenzione di cui al capo 17 (lo svolgimento di attività di vigilanza senza autorizzazione prefettizia). Di seguito, è stata richiamata la sentenza emessa
dalla Corte di appello di Catania del 9 giugno 2020 che aveva assolto NOME dai due episodi estorsivi e dichiarato la prescrizione della contravvenzione di cui al capo 17.
Le circostanze valutate dalla Corte della riparazione sono solo e soltanto quelle ritenute dal Giudice della cautela e pur essendosi fatto generico richiamo alla necessità che in sede di riparazione si affermino comportamenti non esclusi dal giudice della cognizione e si valutino elementi probatori da questo acquisiti, nel provvedimento impugNOME non vi è alcun riferimento né alla pronuncia già (ampiamente assolutoria) di primo grado e men che meno a quella di secondo grado che ha assolto COGNOME dalle due residue ipotesi di estorsione (quelle ai danni di COGNOME e COGNOME).
A tal fine vengono evocati sintetici passaggi di intercettazioni senza spiegare come le stesse si accordino, in un meccanismo sinergico, con il giudizio assolutorio né quali conferme abbiano ricevuto in sede di cognizione gli ulteriori elementi fattuali che erano stati valorizzati dal provvedimento cautelare. Né d’altra parte è chiarito quale sia stata la ricostruzione posta alla base della pronuncia assolutoria.
La Corte della riparazione si è limitata ad evidenziare che l’ordinanza custodiate è stata emessa nei confronti del COGNOME, sulla scorta di “svariate conversazioni telefoniche intrattenute dal predetto con altri soggetti coinvolti nelle indagini altresì, sottoposti a misura cautelare (in particolare con NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME) nonché “sul rapporto lavorativo instaurato dal predetto con NOME COGNOME e inizialmente anche con NOME e NOME COGNOME.
Ha poi rilevato la Corte etnea che COGNOME si prestava a svolgere il ruolo di amministratore della società di vigilanza “RAGIONE_SOCIALE” nella quale operava anche COGNOME, con il quale “avrebbe condiviso strategie imprenditoriali che sarebbero consistite anche in atti di danneggiamenti e furti”, richiamando alcuni incisi di conversazioni, sempre riportate nell’ordinanza genetica. COGNOME ancora, secondo la Corte territoriale, come risulta dall’ordinania cautelare, si sarebbe presentato a un potenziale cliente come cogNOME di NOME COGNOME detto “NOME” noto pregiudicato locale.
Richiamati tre brevi incisi estrapolati dalle conversazioni telefoniche intercettate, i giudici della riparazione hanno concluso, facendo ricorso ad una argomentazione tautologica, nel senso che tali condotte hanno dato causa a determinare una prevedibile applicazione della misura cautelare senza che sia indicato in che cosa consista la colpa e quale sia il parametro di valutazione della sua gravità. In proposito non va dimenticato che il dolo e la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per l’errore giudizirio devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano “dato causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà
dal che discende l’ineludibile accertamento del rapporto causale tra le condotte e il provvedimento privativo della libertà.
Come detto, tuttavia, i giudici della riparazione, hanno attinto solo ed esclusivamente dal contenuto dell’ordinanza emessa dal Gip e non si sono confrontati con la motivazione della sentenza di assoluzione nel senso che non hanno chiarito se e quali comportamenti tenuti dal COGNOME sarebbero stati ritenuti provati nel loro accadimento fattuale da parte dei giudici di merito.
Non risulta, invero, una valutazione rispetto agli argomenti spesi dalla Corte territoriale, nella sentenza di assoluzione, che pure ha neutralizzato, escludendole, alcune delle condotte riferite al COGNOME. Si veda in proposito la sentenza della Corte territoriale laddove si legge “Osserva questa Corte che la conversazione del 3 marzo 2013 progr. 939… contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non rriesce a fornire la prova di danneggiamenti posti in essere nei confronti della persona offesa; in particolare nel corso della conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME e captata in ambientale all’interno dell’auto in uso al primo la frase pronunciata da entrambi gli imputati “dove gli abbiamo fatto il danno” non sembra riferibile con certezza a COGNOME NOME…. In definitiva non è stato dimostrato che eventuali azioni di danneggiamento vi siano state in danno di COGNOME NOME ed abbiano avuto come obiettivo costringere il COGNOME ad accettare il servizio di guardiania. Significativa a riguardo può ritenersi anche una captazione relativa ad un dialogo intercorso ra COGNOME, COGNOME NOME NOME un terzo soggetto avente ad oggetto il possibile servizio di bigilanza presso l’azienda del COGNOME NOME NOME NOME COGNOME NOME più volte al suo interlocutore di chiarire al COGNOME che si tratta di una attività regolare”.
Ancora, a pagina 8 della sentenza di merito si legge “contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure non si rinviene in atti alcun elemento probatorio in ordine ai ritenuti tentati furti e danneggiamenti posti in essere dall’COGNOME in concorso con COGNOME per costringere la persona offesa a mantenere il servizio di igilanza. SI tratta di presunti episodi nemmeno collocati nel tempo, né collocabili alla luce del contenuto delle intercettazioni in atti e che non si riescono chiaramete a decifrare nei loro contorni essenziali dal contenuto delle predete intercettazioni riportate in sentenza”. Si tratta di rivalutare la gravità delle condotte poste in essere e non escluse anche in termini di sinergia rispetto alle imputazioni elevate e per le quali l’imputato è stato assolto.
5. Alla luce di quanto evidenziato va rilevato che pur essendo vero che il giudice della riparazione, nel prendere in esame i dati probatori, è svicolato dalle valutazioni espresse dal giudice di merito, resta, comunque, il fatto che deve fornire logiche e congrue argomentazioni in relazione ai motivi per i quali da elementi pur sempre forniti di alternativa giustificazione, sin dalla applicazione della misura, sia possibi desumere la sussistenza della colpa grave ostativa al riconoscimento del beneficio.
Tutto ciò, tra l’altro, anche sulla base della tesi propugnata dall’imputato i si è sempre difeso facendo anche riferimento al contenuto delle intercettazi offrendo una propria versione dei fatti.
6.- L’accoglimento del primo ricorso travolge il provvedimento di correzione c pure merita una necessaria rivalutazione in sede di rinvio essendosi proced erroneamente ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen..
Da quanto detto discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvi alla Corte di appello di Catania per un nuovo giudizio da svolgersi in maniera coer ai principi di diritto richiamati (invero, dalla stessa Corte della riparazione) ri al giudice ad quem le questioni inerenti alla regolamentazione tra le parti delle sp processuali, comprese quelle di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza ex art. 314 cpp impugnata, restando così assorbita la dis impugnazione avverso l’ordinanza di correzione di errore materiale e rinvia per nu esame alla Corte di appello di Catania.
Deciso il 10 settembre 2024