Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23742 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23742 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 05/12/1991
avverso l’ordinanza del 14/01/2025 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Lette le conclusioni del ministero resistente, in persona dell’Avvocatura di Stato che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Bari, con ordinanza in data 14 Gennaio 2025, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierno ricorrente NOME in relazione alla detenzione sofferta agli arresti domiciliari dal 26 febbraio 2022 per 319 giorni, in quanto gravemente indiziato del reato di rapina di una autovettura e di altri oggetti che si trovavano allocati presso un casolare in provincia di Foggia di cui era custode NOME COGNOME il quale aveva dichiarato alle forze dell’ordine di essere stato aggredito e legato dai rapinatori.
Il ricorrente veniva infine assolto dal Tribunale di Foggia con formula ampiamente liberatoria all’esito dei chiarimenti forniti dallo stesso imputato e delle ritrattazioni del custode COGNOME il quale riferiva di avere concordato con l’ASANACHE di prelevare alcuni beni custoditi nel fondo e di porli in vendita così da potere acquistare alcolici.
La Corte di Appello di Napoli, adita con la richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione, rilevava che il ricorrente aveva concorso a dare causa alla detenzione in ragione di una condotta improntata a grave imprudenza in quanto, pure assolto dai reati ascritti, aveva concorso a creare l’apparenza di una situazione riconducibile al reato prospettato (rapina) e che comunque la sua condotta era riconducibile a ipotesi di furto in quanto doveva essere consapevole che i beni, prelevati dal casolare, non appartenessero all’HROMEI, che era solo il custode dell’immobile di talchè egli aveva realizzato una azione dolosa, o quantomeno colposa, che si poneva in rapporto di causalità con la patita detenzione, anche per avere utilizzato per tale scopo un’autovettura su cui non vantava alcun diritto.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, COGNOME DanielCOGNOME il quale ha articolato due motivi di ricorso.
Con il primo motivo assume manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, con particolare riferimento al travisamento degli elementi probatori, atteso che da nessuna risultanza del giudizio assolutorio il giudice della riparazione avrebbe potuto trarre il convincimento che l’ASANACHE fosse consapevole dell’altruità dei beni prelevati presso il fondo custodito dall’amico COGNOME il quale lo aveva espressamente autorizzato a farlo così da potere condividere l’acquisto di alcolici, trattandosi di beni dallo scarso valore, così come gli aveva consentito di utilizzare, a tale fine, il veicolo che si trovava ivi allocato.
Rileva che nel giudizio era il COGNOME a figurare quale unica persona offesa del reato, tenuto altresì conto che gli asseriti proprietari del fondo e dell’autovettura non avevano manifestato alcuna volontà di perseguire penalmente l’ASANACHE, di talchè da nessun elemento del giudizio la Corte di appello avrebbe potuto trarre la convinzione che il fatto potesse integrare gli estremi del furto e, del resto, l’COGNOME alla prima occasione utile aveva riferito degli accordi con il COGNOME. Da ciò conseguiva che la detenzione cautelare era stata applicata solo in virtù della falsa denuncia dell’HROMEI il quale, nel corso delle indagini, aveva riferito di essere stato aggredito e rapinato dopo essere stato immobilizzato. In ogni caso né su iniziativa del PM, né in sentenza l’autorità giudiziaria aveva inteso riqualificare i fatti nel reato di furto; nessuna prova di una condotta illecita, come invece sostenuto dal giudice della riparazione, né colposa risulta nelle carte processuali, essendosi limitato il giudice della cognizione ad escludere la responsabilità dell’ASANACHE per il delitto di rapina.
Con un’ulteriore articolazione assume mancanza assoluta di motivazione in ordine al presupposto ostativo della colpa grave laddove l’ASANACHE aveva agito nella convinzione della legittima disponibilità da parte del HROMEI dei beni, che era stato autorizzato a cedere e del veicolo che aveva utilizzato per trasportarli, né risultavano altri elementi per sostenere che l’ASANACHE avrebbe dovuto serbare una condotta più accorta e sincerarsi che l’HROMEI che vantava il possesso dei beni e la disponibilità dell’autovettura, di cui aveva le chiavi, fosse il legittimo proprietario deli stessi.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’inferenza del giudice della riparazione, che ha riconosciuto la ipotesi ostativa della colpa grave in capo al ricorrente, appare argomentata in termini talmente minimali e contraddittori rispetto agli argomenti posti a presidio dell’esito assolutorio del giudizio di merito da giustificare l’annullamento e il nuovo esame della pretesa indennitaria.
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione
necessariamente “ex ante” e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
2.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808; n. 41396 del 15.9.2016, Piccolo, Rv.268238).
2.2 Quanto alla natura del comportamento ostativo, lo stesso può essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (cfr. sez. 4 n. 45418 del 25/11/2010, Rv. 249237; n. 37528 del 24/06/2008, Rv. 241218).
Tanto premesso, deve rilevarsi che il percorso argomentativo seguito dal giudice della riparazione non appare coerente con i principi di diritto appena richiamati. Invero, ai fini del riconoscimento della colpa grave ostativa al diritto alla riparazione il giudice distrettuale fa proprio un argomento giuridico, tratto da alcune pronunce di questo giudice di legittimità secondo cui la colpa grave può risiedere in azioni che, pure non autonomamente rilevanti sul piano penale, né tanto meno ai fini dell’applicazione di una misura cautelare, le quali, interpretate congiuntamente ad altri elementi circostanziali, configurino una situazione obiettiva idonea ad evocare, secondo un canone di normalità, una fattispecie di reato (cfr. ad esempio, in tema di comportamenti deontologicamente scorretti, la recente Sez. 4, Sentenza n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269034; n. 9199 del 31/01/2018, COGNOME, Rv. 272234).
3.1. Peraltro, nella specie, il giudice distrettuale rileva che la colpa (in effetti il dolo), risiederebbe nello stesso svolgimento della condotta appropriativa realizzata dall’ASANACHE il quale si sarebbe impossessato, con la complicità del custode, di alcuni beni presenti nel podere, ponendosi poi alla guida di veicolo che ivi era allocato, contro la volontà dei soggetti
che su di essi vantavano diritti reali o di godimento: peraltro tale affermazione, che costituisce la premessa logica del riconoscimento di una condotta riconducibile al reato di furto, si sostanzia in una convinzione del giudice che ha escluso la riparazione che non trova alcun fondamento nel giudizio assolutorio, che ha visto l’ASANACHE difendersi dal reato di rapina e dove, in linea teorica, la stessa persona offesa era indicata nel custode del podere il quale, secondo quanto emerge dalla stessa ordinanza impugnata, aveva in effetti autorizzato il prelievo del beni e l’utilizzazione dell’autovettura.
Appare pertanto evidente l’errore logico giuridico in cui è incorso il giudice distrettuale il quale, dopo avere sostanzialmente riconosciuto che vi era stato un accordo tra il custode dei beni e il ricorrente nella messa in vendita di alcuni beni allocati nel fondo, peraltro di scarso valore, al fine di racimolare una somma di denaro onde acquistare alcolici, avrebbe dovuto argomentare le ragioni per cui la condotta dell’ASANACHE andava ricondotta al reato di furto, ipotesi neppure considerata dal giudice di merito, ovvero evidenziare il profilo di colpa riconosciuto quale causa di esclusione della riparazione. In particolare, avrebbe dovuto rappresentare gli elementi di fatto, non esclusi nel giudizio assolutorio, da cui inferire che l’ASANACHE fosse consapevole dell’altruità dei beni prelevati, ovvero di avere organizzato con il custode la messinscena della rapina al fine di giustificare il prelievo dei beni di cui gli stessi volevano disporre.
4.1. Invero la motivazione in ordine al contenuto della condotta ostativa appare del tutto minimale e apodittica e sganciata dal contesto fattuale, accertato nel giudizio assolutorio, in cui sarebbero maturati gli accordi tra l’ASANACHE e il custode dell’immobile e, se del caso tra questi e i proprietari dei beni. Aj2. contempo è mancata qualsiasi verifica sulla relazione causale tra la condotta, asseritamente dolosa o imprudente dell’ASANACHE e la privazione della libertà personale dello stesso, tenuto conto che il quadro fattuale in cui si inserisce l’inseguimento e l’arresto del ricorrente era quello riferito dal custode al momento del fatto e cioè di avere subito un’aggressione e una rapina ad opera di due connazionali, circostanza questa che risulta essere stata esclusa nel giudizio assolutorio.
4.2. Invero perché la condotta dell’imputato possa essere considerata ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, è indispensabile non solo che si tratti di una condotta scorretta o gravemente imprudente, ma che ricorra anche il rapporto sinergico di causa ed effetto
tra condotta e la detenzione, con conseguente obbligo dì motivazione del giudice di merito al riguardo (Sez. 4, n.1705 del 10/3/2000, Revello,
Rv.216479; n.43457 del 29 Settembre 2015, Singh, Rv.264680). In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa o gravemente
colposa di cui all’art. 314 cod. proc. pen. costituisce una condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo qualora
sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta stessa e la custodia cautelare, in relazione sia al suo momento genetico sia al suo
mantenimento, e non può essere desunta da semplici elementi dì sospetto
(sez.3, n.45593 del 31/01/2017, COGNOME, Rv.271790)
6. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio alla Corte territoriale per un nuovo giudizio, cui demanda altresì di
provvedere alla regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Appello dì Bari cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Il Presi
Il Consigliere estensore
Così deciso in Roma il 8 maggio 2025