Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23678 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23678 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI 050H7YR) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La difesa di NOME NOME ha proposto ricorso avverso l’ordinanza con la quale la Corte d’Appello di Roma ha rigettato la richiesta di riparazione dell’ingiusta detenzione presentata in riferimento a condotte per le quali il giudice ha ritenuto non emessa la misura cautelare e rigettato, allo stato e salva fungibilità, quella relativa alle condotte per le quali egli era stato ristretto.
Nel provvedimento impugnato, la Corte della riparazione ha innanzitutto richiamato i vari procedimenti a carico del richiedente, gli ordini di esecuzione e i cumuli pena emessi nei suoi confronti, precisando che la richiesta era stata formulata in relazione alla detenzione subita nell’ambito di un procedimento nel quale egli era stato accusato di far parte di un’associazione finalizzata al narcotraffico in Tor Bella Monta, reato dal quale era stato poi assolto per essere stato accertato il suo alibi (essendo emerso che, in alcune giornate nelle quali era stato indicato presente sui luoghi dello spaccio, COGNOME era in realtà detenuto, mentre in occasione di altri episodi era solo sottoposto all’obbligo di dimora)
La Corte ha ritenuto, quindi, di poter accogliere la domanda limitatamente alle tre incriminazioni per le quali era pacifico che il richiedente era ristretto in carcere. In particolare, premesso che l’esercizio della facoltà di non rispondere non può essere considerato di per sé ostativo all’indennizzo, quel giudice ha ritenuto che ciò non consentirebbe di porre sullo stesso piano un soggetto che abbia scelto uno stile di vita pervicacemente antigiuridico, rispetto a chi abbia subito un’imputazione all’interno di un contesto di viitta onesto e ordinato, valorizzando quale elemento ostativo, almeno secondo il tenore dei motivi della decisione, la violazione della misura dell’obbligo di dimora per la considerazione che, ove ciò non fosse accaduto, egli non sarebbe stato identificato in modo certo sul luogo delle indagini il 27/12/2016, ma anche la condizione di soggetto recidivo reiterato infra-quinquennale che, secondo la Corte della riparazione, avrebbe contribuito all’applicazione di misure detentive nei suoi confronti.
Ciò posto, ha poi operato un distinguo: per le condotte per le quali era rimasto accertato che la sua identificazione era smentita dallo stato detentivo ha considerato l’ingiustizia della detenzione subita ai sensi dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. (ingiustizia formale), ritenendo rispetto ad essa di non dover operare alcun vaglio in ordine alla sussistenza della condizione negativa.
Tuttavia, ha ritenuto di non poter liquidare alcun indennizzo, rilevando che lo stesso é stato consegnato al paese di origine (Romania) per esecuzione di pena definitiva e che nei suoi confronti sono ancora pendenti in Italia altri procedimenti penali (per tre tentativi di furto aggravato, per due furti aggravati e per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990), ritenendo pertanto necessario,
prima di procedere alla liquidazione, da un lato, attendere l’esito di tali procedimenti, dall’altro, verificare i vari cumuli pena finora emessi (in premessa avendo indicato l’ordine di esecuzione n. 1534/2017 SIEP, il n. NUMERO_DOCUMENTO SIEP e il n. NUMERO_DOCUMENTO SIEP, oltre al provvedimento i il – e – t – èTrniura-z-i-orre pena della Procura di Frosinone notificato il 15/5/2023 1 di rideterminazione della pena in anni uno, mesi sette e giorni due di reclusione, con scadenza il 31/12/2023 per tentato furto aggravato, false dichiarazioni sull’identità, ricettazione ed evasione).
2. La difesa ha proposto ricorso, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione, per avere i giudici della riparazione parcellizzato la detenzione che, al contrario, deve essere valutata in maniera unitaria, essendosi protratta senza soluzione di continuità dal 9/6/2020 al 6/5/2021 e disposta per tutti i capi d’imputazione, osservando che, una volta smentita la presenza dello NOME nelle occasioni nelle quali egli era ristretto, l’identificazione cadeva con riferimento a tutti gli episodi, egli non potendo essere il soggetto che era stato identificato, essendo pacifico che si trattava dello stesso pusher, l’assoluzione avendo riguardato tutte le condotte contestate.
Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla mancata liquidazione per la parte delle condotte per le quali si è ritenuto esistente il diritto, rilevando che in ogni caso era obbligo del giudice procedere alla liquidazione, in assenza di fungibilità per condanne relative a fatti commessi prima di quello per il quale è stata sofferta l’ingiusta detezione, essendo stato erroneamente utilizzato il verbo “rigetta”, in luogo di “accoglie”, con l’eventuale sospensione della quantificazione dell’importo e l’eventuale liquidazione all’esito dei procedimenti pendenti.
Sotto altro profilo, ha rilevato che i precedenti penali di cui ai nn. 6 e 7 indicati a pag. 9 della prima ordinanza si riferiscono a reati commessi successivamente a quello di cui al procedimento in relazione al quale è stata azionata la domanda per l’indennizzo ai sensi dell’art. 314, cod. proc. peri., per i quali dunque non può valere alcuna fungibilità, né lo NOME avrebbe potuto operare alcuna scelta tra lo scomputo pena e il ristoro economico.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto nei termini che si vanno ad esporre.
Il primo motivo è fondato.
La Corte territoriale ha effettivamente operato una parcellizzazione delle condotte per le quali la detenzione è stata patita, senza tener conto e, tantomeno dare atto, delle ragioni dell’intervenuta assoluzione che, come evidenziato a difesa, avrebbero riguardato tutti gli episodi ascritti al richiedente.
Sul punto, va ribadito che il principio dell’autonomia tra il procedimento di cognizione e quello della riparazione va inteso nel senso che il giudice del secondo deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Tale valutazione va svolta ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – per verificare non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale. Con la conseguenza, sul piano logico, che è interdetto al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato come dimostrate, il condizionamento di tale valutazione derivando dal divieto di superare l’accertamento storico degli elementi valorizzati; e, su un piano metodologico, che il compendio fattuale che il giudice della riparazione dovrà esaminare, mettendo a confronto gli elementi erroneamente ritenuti come gravemente indiziari dal giudice della cautela con quelli entrati a far parte delle prove esaminate dal giudice della assoluzione, è costituito proprio da tale compendio probatorio anche se non è ad esso limitato, la sentenza di assoluzione ponendosi dunque come necessario e invalicabile, nei termini sopra chiariti, punto di riferimento (sui rapporti tra giudizio di cognizione e quello della riparazione, tra le altre, Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, COGNOME; n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME; sez. 4, n. 34438 del 2/7/2019, Messina, Rv. 276859-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È alla luce di tali coordinate in diritto, dunque, che il giudice dovrà procedere alla verifica della sussistenza del comportamento ostativo in capo all’istante, osservandosi incidentalmente che, nella specie, non sono state neppure indicate le ragioni della ritenuta ricorrenza di un’ipotesi di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. (c.d. ingiustizia formale), non avendo la Corte della riparazione dato atto dell’intervenuto accertamento definitivo (in sede cautelare o di merito) del difetto originario delle condizioni di applicabilità della misura ai sensi degli artt. 273 e 280, cod. proc. pen., a fronte del quale la verifica della condizione negativa dovrà eventualmente essere condotta in base ai diversi parametri precisati dalla consolidata giurisprudenza (Sez. U. n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247663; conf. sez. 4 n. 8021 del 28/01/2014, Rv.
258621; n. 25223 del 26/11/2013, dep.2014, Rv. 259207; n. 34541 del 24/05/2016, Rv. 267506; n. 13559 del 2.12.2011, dep. 2012, Rv. 253319; n. 8021 del 28.1.2014, Rv. 258621).
3. Anche il secondo motivo è fondato.
Ribadito, infatti, contrariamente a quanto sembra assumere la difesa, che è esclusa – in forza dell’inderogabile applicazione del principio di fungibilità della detenzione – l’esistenza di una facoltà di scelta tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 cod. proc. pen. e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta (sez. 4, n.33671 del 14/6/2016, Caval/aro, Rv. 267443-01), nella specie, deve però rilevarsi che è la stessa Corte della riparazione ad avere ancorato la disposta sospensione della liquidazione alla sola pendenza di procedimenti penali, il cui esito potrebbe determinare i presupposti di una fungibilità rilevante a norma dell’art. 314, comma 4, cod. proc. pen., senza specificare se, rispetto ad essi, sia intervenuta una condanna, sia pur non definitiva. L’art. 314, comma 4, primo periodo, cod. proc. pen., infatti, esclude il diritto alla riparazione per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della misura della pena a norma dell’art. 657 cod. proc. pen., cosicché al giudice della riparazione spetta di verificare che la custodia sia stata eventualmente computata dall’organo dell’esecuzione, ma non anche di sospendere la liquidazione del quantum in attesa della definizione di procedimenti penali ancora pendenti, il cui esito potrebbe risolversi addirittura nella costituzione di ulteriori titoli, validi ai fini del riconoscimento del diritto riparazione. Infatti, in tema di esecuzione, il criterio di fungibilità previsto dall’a 657 cod. proc. pen. impone al pubblico ministero di tener conto, a fini di scomputo, di tutti i periodi di custodia cautelare in precedenza sofferti dal condannato (sempre che la misura sia stata subita successivamente alla commissione del reato per cui va determinata la pena da eseguire), derivandone, come sopra già precisato, l’esclusione di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato, tra il ristoro pecuniario e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta (sez. 4, n. 50327 del 24/10/2018, D., Rv. 274051-01). A tali fini, peraltro, vanno certamente computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia gi ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina, fermo restando che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
cui all’art. 2041 cod. civ. (Sez. U, n. 31416 del 10/7/2008, Cascio, Rv. 24011301). Ciò in quanto il criterio di fungibilità previsto dall’art. 657 cod. proc. pen. improntato al “favor libertatis”, configura, in combinato disposto con il comma 4 dell’art. 314 cod. proc. pen., una “riparazione in fortna specifica” per l’ingiusta privazione della libertà personale che prevale rispetto alla monetizzazione di cui al medesimo art. 314, introducendo una forma di ”compensazione” per il periodo di detenzione ingiustamente subito, secondo un meccanismo compatibile con l’art. 5 CEDU, il quale opera soltanto in caso di violazione delle prescrizioni da esso poste ai paragrafi 1, 2, 3 e 4, e non può essere oggetto di disapplicazione per contrasto con l’art. 6 della Carta di Nizza, in assenza di collegamento tra la materia in oggetto e il diritto dell’Unione Europea (sez. 3, n. 43453 del 17/9/2014, Miglio, Rv. 260328-01; sez. 4, n. 33671 de114/6/2016, Cava//aro, Rv. 267443-01).
Nella specie, è la stessa Corte territoriale a dubitare, con riferimento al primo dei procedimenti pendenti, addirittura dello svolgimento della prima udienza fissata per il 24 gennaio 2024, stante lo stato detentivo dello NOME in Romania, laddove nulla ha precisato rispetto agli altri procedimenti.
L’ordinanza deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma.
Deciso in data 8 maggio 2024.