Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1711 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FERENTINO il 16/01/1965
avverso la sentenza del 04/04/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale militare, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore, avv. NOME COGNOME del foro di LATINA in difesa di NOME COGNOME
ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in preambolo la Corte di appello militare di Roma confermava la sentenza 29 settembre 2023 Giudice delle indagini preliminari del Tribunale militare di Roma, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di un mese e venti giorni di reclusione militare, per il reato continuato d’ingiuria a inferiore, cosi qualificate tutte le condotte contestate, commesso il 10 marzo 2020.
1.1. In particolare COGNOME, sottotenente dei Carabinieri in servizio presso la Compagnia di Cassino in qualità di Comandate della Sezione Operativa, usava violenza contro il sotto ordinato maresciallo NOME COGNOME che tentava di interporsi tra lui e il brigadiere NOME COGNOME, proferendo al suo indirizzo la frase «tu non vali un cazzo, spostati» e si rivolgeva a quest’ultimo in modo analogo, pronunciando le frasi «allora non hai capito un cazzo … qui non ci sono più i camorristi che ti difendono… qui comando io …non hai più chi ti protegge… Ti spezzo».
I fatti, secondo quanto indicato nella sentenza di primo grado, erano dimostrati dalle dichiarazioni testimoniali delle due persone offese, il brigadiere COGNOME e il maresciallo capo COGNOME, nonché quelle del luogotenente COGNOME, reputate sostanzialmente convergenti sul nucleo fondamentale degli accadimenti e, segnatamente, che l’imputato, eccezionalmente adirato per le obiezioni che gli venivano poste da COGNOME rispetto all’ordine impartitogli di foto-segnalare un soggetto fermato, superando ogni limite suggerito dalla disciplina militare, offese l’onore, il prestigio e la dignità dei due subordinati, affermando che costoro non contavano niente, battendo per più volte il computer di uno di costoro sulla scrivania.
Si riteneva pacifico che l’episodio si fosse verificato sul posto di servizio, durante l’orario e per ragioni di ufficio.
1.2. A fronte di tale condivisa ricostruzione e valutazione del materiale probatorio, le argomentazioni dell’appellante erano ritenute dalla Corte di appello militare sostanzialmente generiche, siccome risolventesi in indimostrate asserzioni concernenti la non convergenza delle deposizioni testimoniali su elementi che, invece, riteneva riguardare meri elementi di contorno, irrilevanti ai fini della prova della consumazione del fatto reato contestato.
Il Giudice di appello riaffermava, dunque, la natura ingiuriosa delle espressioni utilizzate, avversando l’assunto difensivo secondo cui «nel mondo civile non sono tollerate frasi gergali che sono ritenute offensive, quando invece in caserma le stesse espressioni non giungono a un livello di rilevanza penale».
Respingeva la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ritenendo che la vicenda, così come
realizzata, valutata nelle sue connotazioni relazionali tra l’imputato e le due persone offese, non potesse in alcun modo ritenuta tenue, non solo perché la condotta era recisamente contraria ai doveri di un ufficiale, idonea a svilire la dedizione al lavoro dei sottoposti e a minare lo spirito di collaborazione e unità di un reparto, indispensabile per il buon funzionamento dello stesso, ma anche perché – com’era emerso da diverse deposizioni testimoniali – era stata ripetuta nel tempo in danno degli stessi militari o, comunque, praticata abitualmente nell’ambito del medesimo contesto organizzativo.
Quanto, infine, alla dosimetria della pena, confermava il giudizio di valenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche con l’aggravante contestata.
Ricorre COGNOME per cassazione, per mezzo del difensore di fiducia avv. COGNOME e deduce tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia la violazione di legge in punto di ritenuta sussistenza della condotta materiale dell’ingiuria militare.
Il Giudice di appello avrebbe travisato le dichiarazioni testimoniali, trascurando la deposizione della stessa persona offesa che ha dichiarato di non essere mai stata né ingiuriata, né minacciata dal superiore, oltre a quelle di Viggiano e D’Arpino, i quali hanno affermato come l’imputato fosse, in quello specifico episodio, «eccezionalmente adirato», non facendo mai riferimento ad una condotta ripetuta nel tempo.
Sotto altro profilo, il ricorrente lamenta che sarebbe stata negletta la circostanza che nel mondo militare il livello di rilevanza penale di ingiurie, offese e minacce è differente da quello del mondo civile, poiché nel primo gergo e modi sono spesso rudi e scortesi e che, comunque, nel caso di specie non era stato superato il livello di irrilevanza penale delle espressioni proferite.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 131-bis cod. pen. e il correlato vizio di motivazione.
Il Giudice di appello avrebbe trascurato, ai fini della applicazione della causa di esclusione della punibilità, che l’episodio è stato eccezionale e isolato, che il danno cagionato è stato minimo, ove non del tutto assente e che, comunque, l’imputato, sebbene con toni accesi, si era sostanzialmente limitato a rimproverare un militare di grado inferiore per avere disatteso un preciso ordine impartitogli.
2.3. Il terzo motivo inerisce la violazione dell’art. 62-bis cod. pen.
La motivazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata aggravante, fondata sull’abitualità della condotta, è errata perché l’imputato non ha mai riportato nessuna condanna ovvero non è stato sottoposto ad altro processo.
Si tratterebbe di una motivazione del tutto insoddisfacente, non avendo il giudice di appello in alcun modo preso in considerazione «tutte le ulteriori circostanze che avrebbero portato sicuramente alla valutazione delle attenuanti generiche come prevalenti».
Il Sostituto Procuratore generale militare ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Le doglianze sviluppate nell’ambito del primo motivo sono inammissibili perché volte a sottoporre al giudizio di legittimità, peraltro con ampia a-specificità, aspetti attinenti alla ricostruzione dei fatti e all’apprezzamento del materiale probatorio, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.
E, nel caso di esame, le sentenze del Tribunale e della Corte d’appello – che, giungendo alle medesime conclusioni si completano, ove ve ne fosse bisogno, a vicenda – hanno più che esaustivamente illustrato e vagliato il materiale probatorio (cfr. sopra in fatto il punto 1.1. e 1.2.). La Corte d’appello ha, quindi, largamente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di condividere le conclusioni del primo Giudice in punto di credibilità dei testi a carico, nonché i motivi per cui non poteva farsi adesione alle tesi difensive.
Segnatamente, correttamente la Corte d’appello ha evidenziato come la posizione di supremazia gerarchica dell’imputato rispetto alle persone offese impedisse di considerare prive di contenuto lesivo le espressioni da lui usate e capovolgendo l’assunto svolto dalla difesa – ha chiarito che, se può ammettersi che nel linguaggio comune e tra pari molte delle espressioni volgari usate hanno perso la loro connotazione offensiva, denotando soltanto impoverimento del linguaggio e dell’educazione, le medesime espressioni rivolte a un sottoposto, in violazione delle regole di disciplina e dei principi che devono ispirarle in forza del terzo comma dell’art. 52 Cost., esse assumono nuovamente e appieno il loro specifico significato spregiativo e lesivo, penalmente rilevante (cfr. in senso analogo, persino in tema di ingiuria comune, Sez. 5, n. 27966 del 2007, COGNOME).
Altrettanto opportunamente, il Giudice di secondo grado ha – a sostegno di tale approdo – richiamato la giurisprudenza di legittimità che ha escluso la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, per sospetta violazione dell’art.3, comma primo, Cost., dell’art.196, comma secondo, c.p.m.p., in ragione
della intervenuta depenalizzazione dell’art. 594 cod. pen, in quanto il mantenimento della incriminazione prevista dal delitto di ingiuria ad un militare di grado inferiore, risponde ad esigenze di salvaguardia dell’ordine e della disciplina militare, riconosciute dall’art.52, comma terzo, Cost. (Sez. 1, n. 17830 del 10/01/2017, Tuveri, Rv. 269561).
Del pari inammissibile, siccome generico e reiterativo del pedissequo motivo di appello, cui il Giudice di secondo grado ha fornito adeguata risposta, è il secondo motivo di ricorso.
La sentenza impugnata ha desunto, con argomentazioni non manifestamente illogiche, la non minima offensività del fatto dalla circostanza pacifica che l’imputato aveva attuato la condotta nei riguardi di due militari gerarchicamente inferiori, uno dei quali peraltro semplicemente intervenuto per sedare gli animi, e che si trattava di un comportamento già posto in essere dall’imputato.
A tali argomenti, il ricorrente oppone una diversa valutazione fondata sull’assenza di precedenti penali e sull’asserita esiguità (o inesistenza) del danno e, in tal modo, però, finisce per sollecitare a questa Corte di legittimità un diverso apprezzamento riservato al giudice del merito.
Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso.
I Giudici di merito, una volta riconosciute le circostanze attenuanti generiche, le hanno reputate equivalenti all’aggravante contestata, a tal fine valorizzando la già indicata circostanza che COGNOME non fosse nuovo a comportamenti analoghi.
Il giudizio di valenza è, dunque, sorretto da motivazione esente da manifesta illogicità ed è, pertanto, è insindacabile in questa sede.
Si tratta, invero, di motivazione affatto rispettosa del principio di diritto secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/2/2010, COGNOME, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 8/6/2017, COGNOME, Rv. 270450);
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della
cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 26 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente