Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18409 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18409 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato ad Anzio il 16/02/2003
avverso la sentenza del 10/05/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 10 maggio 2024, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Velletri il 27 novembre 2023, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 73, comma 4, e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, e, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalente rispetto all’aggravante dell’ingente quantità, ha rideterminato la pena, riducendola, in tre anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa.
Secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito, NOME COGNOME il 22 agosto 2023, avrebbe detenuto, a bordo della sua autovettura, quattro sacchi neri al cui interno erano presenti, complessivamente, 95 buste termosaldate nonché, sfuse nell’abitacolo, altre 15 buste termosaldate, tutte contenenti sostanza stupefacente di tipo marijuana, per un peso totale lordo di 63,350 kg.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
Con il primo motivo, si denuncia mancata assunzione di prova decisiva nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo all’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990. Si deduce che la Corte d’appello, nel motivare circa l’applicazione dell’aggravante in questione, avrebbe omesso di valutare la memoria difensiva depositata in cui si riportavano due diverse sentenze, entrambe emesse dal Tribunale di Velletri, al fine di evidenziare l’evidente disparità di trattamento rispetto al caso in esame in quanto, in relazione a fatti connotati da una maggiore gravità, non era stata applicata l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990. Si osserva che tale atteggiamento comporta un’evidente violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di legalità, e che il mero dato quantitativo della sostanza stupefacente rinvenuta non dovrebbe condurre ad alcun automatismo nell’applicare l’aggravante contestata in quanto tale giudizio andrebbe condotto alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto tra le quali, in particolare, avrebbero dovuto assumere rilievo le dichiarazioni dell’imputato, che ne evidenziavano il pentimento nonché l’ignoranza rispetto al quantitativo di sostanza stupefacente trasportata.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata circostanza aggravante. Si deduce che la Corte d’appello, nel negare la prevalenza delle attenuanti rispetto all’aggravante contestata, è incorsa in vizio di motivazione, perché ha aderito alla prospettazione del giudice di prime cure senza dar adeguato rilievo ai vari elementi positivamente valutabili (quali, fra i molti, la collaborazione processuale dell’imputato, le prove di ravvedimento e pentimento, la sua confessione), così irrogando una pena del tutto sproporzionata.
Il ricorso è inammissibile.
Le censure esposte nel primo motivo non integrano alcuna omessa assunzione di prova decisiva, perché attengono alla omessa valutazione di sentenze pronunciate in altri processi e nei confronti di altri imputati, per cui, al più, potrebbero rilevare come precedenti giurisprudenziali di merito. In ogni caso, deve farsi applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui, in tema di stupefacenti, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, COGNOME, e, quindi, con riferimento alle c.d. droghe leggere, l’aggravante può essere ravvisata quando la quantità di principio attivo è superiore a 2 chilogrammi di principio attivo pari a 4.000 volte il valore – soglia di 500 milligrammi (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005 – 01). E, nella specie, secondo quanto indicato nella sentenza impugnata, il principio attivo era sufficiente al confezionamento di ben 345.445 dosi medie, e si correlava a sostanza per la quale la consulenza chimico-tossicologica aveva attestato un elevato grado di purezza.
Le censure formulate nel secondo motivo, le quali contestano il giudizio di equivalenza, invece che di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante dell’ingente quantità, sono manifestamente infondate, perché la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato l’assenza di ragioni idonee a fondare la conclusione invocata dalla difesa.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/04/2024