Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35367 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35367 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Bologna il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/10/2022 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bologna riformava parzialmente la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna del 25 gennaio 2013 che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato NOME COGNOME per i reati di cui ai capi A) e Q) della rubrica alla pena ritenuta di giustizia.
In particolare, la Corte di appello dichiarava non doversi procedere per il reato sub Q), riqualificato ai sensi dell’art 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, perché estinto per prescrizione, e rideterminava la pena per il residuo reato di cui al capo A), ritenuta la continuazione con i fatti già definitivamente giudicati nel 2013.
All’imputato al capo A) era stato contestato il reato ex artt. 73 e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver concorso nella importazione e detenzione di un quantitativo non precisato, ma ingente, di marijuana dal quale erano prelevati 10 chili ceduti a terzi per 6.200 al chilo (fatto commesso nel settembre 2011).
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 80 d.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte di appello ha confermato la sussistenza dell’aggravante ex art. 80 cit. pur in assenza di un accertamento peritale, basandosi su prove non univoche e concludenti, rispetto a dati oggettivi emergenti dagli atti.
In particolare, sono state valorizzate le prove dichiarative – quali una generica ammissione dell’imputato lnon riferibile tuttavia alla aggravante, e taluni passaggi dell’interrogatorio dell’acquirente, in cui si commentava la qualità del narcotico rispetto ad altro relativo a diverso procedimento – tralasciando di considerare che in quest’ultima sede era emerso un THC della sostanza pari al 16% e affidandosi a ragionamenti indimostrati (quanto alla corrispondenza tra le due diverse forniture).
La difesa richiama i principi di diritto in materia di ragionevole dubbio e di determinazione della quantità ingente ai sensi del citato art. 80.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 62-bis, 133, 81 cod. pen., 125 cod. proc. pen., 111 Cost. e vizio di motivazione.
A fronte di specifici motivi di appello volti ad ottenere il riconoscimento delle attenuanti generiche (anche corredato di documentazione sulla attività lavorativa) e la riduzione della pena entro il limite edittale, la Corte di appello ha ritenuto tal doglianze “assorbite” dal riconoscimento della continuazione esterna, così di fatto non rispondendo alle richieste difensive.
La difesa del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha depositato, in sede di trattazione del ricorso all’udienza del 19 gennaio 2024 presso la Settima Sezione penale, una memoria con la quale ha sostenuto l’ammissibilità e fondatezza dell’impugnazione; ha in seguito richiesto, una volta assegnato il ricorso a questa Sezione, la trattazione orale del medesimo; in vista della presente udienza, ha rappresentato con pec di non potervi partecipare per altro impegno professionale e ha chiesto di riportarsi ai motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Preliminarmente, quanto alla celebrazione della presente udienza, va precisato che il difensore non ha chiesto il rinvio della trattazione della impugnazione e in ogni caso non ha rappresentato, nelle modalità richieste, un eventuale legittimo impedimento, dovuto a contemporaneo impegno professionale in altro procedimento (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262912).
Né la rinuncia del difensore alla discussione orale determina il mutamento del rito in quello cartolare, poiché la parte non rinunciante ha comunque il diritto di concludere (come nella specie) oralmente in udienza (Sez. 6, n. 22248 del 18/05/2021, Rv. 281520).
3. In ordine al primo motivo, relativo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, va rammentato che è principio pacifico, in tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, che, al fine verificare la configurabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è essenziale il ricorso alla determinazione peritale ove da altre fonti probatorie sia possibile evincere che il principio attivo sia superiore a duemila volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito quando tale quantità sia superata (tra tante, Sez. 4, n. 34255 del 15/07/2014, Rv. 260640).
In questa prospettiva si è anche più volte affermato che la circostanza aggravante della detenzione di ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere configurata anche in mancanza del sequestro della sostanza, purché vi siano elementi di prova certi che consentano di pervenire per via indiretta alla individuazione del dato ponderale (ex multis, Sez. 3, n. 35042 del 01/03/2016, Rv. 267873).
Nel caso in esame, il ricorrente ha contestato gli elementi di prova attraverso i quali i giudici del merito hanno ricostruito in via indiretta il quantitativo sostanza importata dal ricorrente.
Si tratta tuttavia di un ragionamento non censurabile in questa Sede in quanto la Corte di appello ha valorizzato in modo lineare plurimi elementi certi, gravi e convergenti tratti dal compendio probatorio e non meramente apodittici, come segnalato nel ricorso: da un lato, infatti, il ricorrente aveva ammesso i fatti così
come contestati (quindi anche in relazione al quantitativo ingente) e dall’altro il coindagato COGNOME aveva riferito di aver acquistato la fornitura in esame poco tempo prima (“i primi di settembre” del 2011) di una seconda fornitura dello stesso tipo e peso (di “ottima qualità” tanto da essere subito venduta ai suoi clienti), importata con le medesime modalità (furgoncino condotto dall’Olanda dallo stesso corriere), per la quale venne arrestato il 28 settembre 2011 congiuntamente al ricorrente.
In tale secondo episodio, si trattava di un carico di 44 chili di marijuana importato dal ricorrente, dei quali 10 chili ceduti al COGNOME, oggetto d accertamento tecnico che aveva rivelato un principio attivo di THC pari al 16%, pari a 7 chili. Per tale reato il COGNOME era stato definitivamente condannato anche con il riconoscimento dell’aggravante della ingente quantità.
Secondo quanto riferito dal COGNOME, anche la prima fornitura (oggetto del presente procedimento) faceva parte di un più ampio carico trasportate con il furgoncino, dal quale vennero prelevati i medesimi dieci chili. (4,)
Il primo giudice aveva a tal riguardo aggiunto come fosse comunque inverosimile la tesi difensiva perché non poteva il trasporto dall’Olanda essere fatto con l’impiego di un corriere ad hoc e di un furgoncino per soli dieci chili.
Così sintetizzato il ragionamento probatorio, va rammentato che non spetta alla Corte di cassazione il controllo sull’apprezzamento svolto dal giudice di merito sulla rilevanza e concludenza di dati probatori. D’altra parte, il ricorrente non ha attaccato la motivazione della sentenza impugnata, ma soltanto ha denunciato la violazione della legge penale.
A tal riguardo va escluso che la sentenza impugnata abbia effettuato una valutazione giuridicamente viziata circa la sussistenza dell’aggravante in esame.
Va rammentato che, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi, anche successivamente alla riforma operata dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, COGNOME (in applicazione dei predetti criteri la Corte ha precisato che, con riferimento alle c.d. droghe leggere, l’aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo è inferiore a 2 chilogrammi di principio attivo pari a 4000 volte il valore – soglia di 500 milligrammi) (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito, Rv. 279005).
La giurisprudenza di legittimità, con argomentazione integralmente condivisa da tale ultimo arresto, ha da tempo chiarito che il superamento dei parametri enucleati dalla sentenza “COGNOME” per l’individuazione del limite minimo dell’ingen
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quantità, come peraltro nella stessa espressamente affermato, non determini automaticamente la sussistenza dell’ipotesi aggravata, dovendosi in ogni caso avere riguardo alle circostanze del caso da valutarsi con riferimento alla pericolosità della condotta ed al livello di potenziale compromissione della salute e dell’ordine pubblico; e che il giudice, nell’esercizio del potere di valutazione in concreto cui è tenuto possa valorizzare, per corroborare il dato rappresentato dal superamento del limite, tutti quegli elementi di fatto mirati a considerare la realtà specifica che già la giurisprudenza, in assenza di specifici parametri quantitativi, aveva individuato anteriormente all’elaborazione alle Sezioni Unite del 2012 quali indici di per sé esaustivi della ricorrenza dell’aggravante.
Ciò posto, una volta accertato, come in premessa, che il carico detenuto dal ricorrente era di gran lunga superiore ai 10 chili ceduti al COGNOME e con THC di ottima qualità e in ogni caso simile a quello della successiva partita, non risulta censurabile il giudizio della C rte territoriale, posto che l’entità ponderale era tal da essere autoevidente TARGA_VEICOLO p rico c rgità della condotta, tenuto conto anche delle circostanze di fatto in cui tale condotta veniva ad inserirsi (importazione, cessione a spacciatore di media rilevanza nel mercato illecito). a’
4 . Quanto al secondo motivo, la Corte di appello ha dichiarato assorbiti i motivi sulla pena in quanto, a seguito del riconoscimento della continuazione con l’altro reato già giudicato, ha individuato in relazione a quest’ultimo reato la pena base, alla quale ha poi apportato un aumento ritenuto “equo” in continuazione di anni 2 e mesi 6 di reclusione e 9.000 euro di multa per il presente reato.
Questo diverso calcolo della pena rispetto al primo grado (nel quale le attenuanti generiche erano state concesse con giudizio di prevalenza, ma con valenza riduttiva non massima in ragione della non piena confessione), comportava l’applicazione del principio in tema di reato continuato, secondo cui il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti ed attenuanti che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave, dovendo tenersi conto di quelle relative ai reati “satellite” esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 cod. pen. (tra tante, Sez. 1, n. 13369 del 13/02/2018, Rv. 272567).
Pertanto, alcun giudizio di bilanciamento andava effettuato per quello che era divenuto il reato-satellite e, in questa prospettiva, neppure è censurabile la dosimetria della pena determinata in appello per quest’ultimo reato a titolo di continuazione, che tsi3 risulta infatti molto contenuta (e quindi adeguatamente ritenuta “equa”), nonostante l’aggravante, rispetto alla pena-base irrogata in primo grado (anni cinque e mesi tre di reclusione e trentamila euro di multa). ,z-
5 75u11a base di quanto premesso, il ricorso deve essere quindi rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 6/2024.