Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14757 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14757 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Marocco il 10/04/1966;
avverso la sentenza emessa il 23/04/2024 dalla Corte di appello di Brescia udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di annullare la sentenza limitatamente alla sussistenza dell’aggravante dell’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 contestata al capo G1) della rubrica con rinvio alla Corte d’appello di Brescia per
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME; la sola rideterminazione della pena.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è stato rinviato a giudizio innanzi al Tribunale di Brescia per rispondere del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, commesso in Brescia e nel Nord Italia, dal giugno 2003 all’ottobre 2003 (capo a) e per i delitti
di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990, commessi in Brescia e altri luoghi, dall’ottobre 2003 a novembre 2003 (capo G).
Il Tribunale di Brescia, con sentenza emessa in data 19 maggio 2008, ha dichiarato l’imputato responsabile dei reati a lui ascritti e, riconosciute l attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990, e ritenuta la continuazione tra i delitti accertati, lo h condannato alla pena di ventuno anni di reclusione.
La Corte di appello di Brescia, con la pronuncia impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato l’imputato appellante (e ancora latitante) al pagamento delle spese del grado.
L’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputato, ha impugnato questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento deducendo quattro motivi e, segnatamente:
l’inosservanza degli artt. 175 e 438 cod. proc. pen., in quanto la Corte d’appello, dopo aver accolto l’istanza di restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, non ha riconosciuto all’imputato appellante la diminuente del rito abbreviato, pur espressamente richiesta nell’atto di appello;
l’inosservanza dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio della motivazione circa la partecipazione del ricorrente all’associazione criminale contestata al capo A) della rubrica.
Ad avviso del difensore, infatti, le intercettazioni, erroneamente interpretate dalla Corte di appello farebbero riferimento solo a cessioni future e ipotetiche (peraltro mai realizzate) e non già a condotte pregresse e, comunque, sarebbero limitate ad un ristretto ambito temporale (a far data dal 27 ottobre 2003).
La Corte di appello, peraltro, avrebbe utilizzato con riferimento al ricorrente solo tempi verbali coniugati al futuro e questo rilievo dimostrerebbe come lo stesso non fosse già partecipe della consorteria criminale.
Il ricorrente non sarebbe stato un organizzatore dell’associazione diretta al narcotraffico, ma al più un mero fornitore, peraltro solo occasionale; l’unico reato fine contestato al ricorrente, quello di cui al capo G), sarebbe, peraltro, stato commesso in data 2 novembre 2003 e, dunque, sarebbe successivo all’estinzione del sodalizio e sarebbe stato posto in essere nell’interesse del solo COGNOME;
la violazione dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e l’illogicità della motivazione relativa alla sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità contestata al capo Gl) della rubrica, in quanto non è stata eseguita alcuna analisi qualitativa che dimostri il grado di purezza dei gr. 3840 di cocaina sequestrata;
la violazione di legge e l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione relativa all’esatta identificazione dell’imputato, in quanto nel 2003 il legislator non aveva sancito alcun obbligo di certa identificazione della persona che ricorreva ai servizi di money transfer.
Non vi sarebbe, dunque, alcuna certezza che nella specie non ricorra un caso di omonimia tra il ricorrente e l’omonimo intercettato dall’autorità giudiziaria italiana.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 14 ottobre 2024, il Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto di annullare la sentenza limitatamente alla sussistenza dell’aggravante dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 contestata al capo G1) della rubrica con rinvio alla Corte d’appello di Brescia per la sola rideterminazione della pena.
In data 18 ottobre 2024 l’avvocato COGNOME ha dichiarato di aderire all’astensione collettiva dalle udienza indetta dall’UPCI per l’udienza del 6 novembre 2024 e, a tale udienza, la trattazione del ricorso stata rinviata al 7 marzo 2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
Con il primo motivo il difensore ha censurato l’inosservanza degli artt. 175 e 438 cod. proc. pen., in quanto la Corte d’appello, dopo aver accolto l’istanza di restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, non ha riconosciuto all’imputato appellante la diminuente del rito abbreviato, pur espressamente richiesta nell’atto di appello.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Secondo le Sezioni unite di questa Corte, la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, ai sensi dell’art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della I. 28 aprile 2014, n. 67, applicabile ai procedimenti in corso a norma dell’art. 15-bis della legge citata, comporta la facoltà per l’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo al dibattimento (Sez. U, n. 52274 del 29/09/2016, COGNOME, rv. NUMERO_DOCUMENTO).
La restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado ai sensi dell’art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., tuttavia, non comporta alcuna restituzione automatica dell’imputato nel termine per richiedere uno dei riti alternativi al dibattimento (Sez. 4 n.11141 del 04/02/2015, dep. 16/03/2015, COGNOME, Rv. 262707, in motivazione la Corte ha osservato che l’imputato, per poter accedere al giudizio abbreviato, avrebbe dovuto richiedere espressamente la rimessione nel termine ai sensi dall’art. 175, comma primo, cod. proc. pen.).
La Corte di appello ha fatta corretta applicazione di questi principi, rilevando che la diminuente per il rito abbreviato non deve essere applicata al ricorrente.
Il difensore ha, infatti, prestato in dibattimento il consenso all’acquisizione degli atti di indagine ai sensi dell’art. 493, comma 3, cod. proc. pen., ma tale consenso è ben distinto dalla richiesta dell’imputato di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato, in quanto di per sé non comporta la rinuncia al diritto di difendersi provando e la richiesta di essere giudicato “allo stato degli atti”.
Con il quarto motivo il difensore ha dedotto la violazione di legge e l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione relativa all’esatta identificazio dell’imputato.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una confutazione della ricostruzione di fatto operata dalle sentenze di merito e nella sollecitazione ad una lettura alternativa delle risultanze probatorie.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrent come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
La Corte di appello ha non certo illogicamente posto a fondamento dell’identificazione dell’imputato il contenuto della conversazione intercettata n. 92 del 05.11.203 ore 16,17, unitamente alla documentazione del Money Gram, relativa alla ricevuta per il trasferimento della somma di 700 euro in favore della
propria fidanzata NOME COGNOME residente in territorio italiano (pagg. 11-13 della sentenza impugnata).
La ricevuta attesta che la destinataria della somma ha indicato lo stesso numero telefonico utilizzato per conversare con COGNOME; la Corte di appello ha, inoltre, rilevato che l’identificazione dell’autore dei reati nel ricorrent confermata anche dai numerosi riferimenti operati nelle conversazioni telefoniche captate al fratello NOME e il difensore nulla ha dedotto sul punto, rendendo il motivo proposto aspecifico.
Con il secondo motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio della motivazione circa la partecipazione del ricorrente all’associazione criminale contestata al capo A) della rubrica.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella sollecitazione, non consentita in sede di legittimità, a pervenire ad una diversa lettura degli elementi probatori acquisiti.
La Corte di appello ha, peraltro, congruamente ritenuto che il ricorrente, nel contesto associativo, ha assunto il ruolo di organizzatore delle importazioni di sostanza stupefacente dall’Olanda, Paese dal quale ha provveduto ad inviare, tramite corrieri, ingenti quantitativi di droga.
Nella sentenza impugnata i giudici di appello hanno interpretato non illogicamente le intercettazioni telefoniche che delineano i singoli ruoli, il sequestro della sostanza stupefacente, la correlazione tra i dati telefonici e quelli utilizzat per il trasferimento del denaro, i contatti tra i correi.
Più in particolare, le censure proposte nel ricorso alle statuizioni relative alla partecipazione dell’imputato ai reati contestati si basano essenzialmente sulla consecutio temporum e sull’analisi dei tempi verbali utilizzati dal giudice di merito e dagli imputati nelle conversazioni intercettate; queste censure, tuttavia, introducendo valutazioni di merito, esulano dal perimetro del sindacato concesso alla Corte di cassazione nel giudizio di legittimità.
La Corte di appello ha, inoltre, rilevato che le intercettazioni che riguardano il ricorrente sono intervenute nel lasso di tempo tra il 23 ottobre e il 5 novembre del 2003 e documentano anche pregressi accordi relativi al narcotraffico, tanto da consentire di qualificare COGNOME come uno stabile fornitore del sodalizio diretto da Ouakil (pagg. 13-14 della sentenza impugnata).
Con il terzo motivo il difensore ha eccepito la violazione dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 e l’illogicità della motivazione relativa alla sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità contestata al capo Gl) della rubrica, in
quanto non è stata eseguita alcuna analisi qualitativa che dimostri il grado di purezza dei gr. 3840 di cocaina sequestrata.
9. Il motivo è fondato.
Secondo le Sezioni unite di questa Corte, in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, non è «di norma» ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253150).
Le Sezioni unite hanno, inoltre, ribadito, anche successivamente alla riforma operata dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, che per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massim tabellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005 – 01).
La Corte di appello, tuttavia, non ha fatto corretta applicazione di questi consolidati principi di diritto.
I giudici di appello, infatti, hanno premesso che il quantitativo di cocaina sequestrato è di gr. 3480 e che «non si conosce l’esito delle analisi, atteso il mancato accertamento del principio attivo presente nel quantitativo in oggetto».
La Corte di appello ha, tuttavia, ritenuto sussistente l’aggravante dell’ingente quantità, in quanto «il quantitativo sequestrato appare già di partenza ingente e solo un principio attivo assai basso potrebbe scendere sotto il valore soglia sopra indicato , ma tale circostanza appare in contrasto con i dati emergenti dalle indagini, dovendosi valorizzare gli elementi oggettivi, quali il riferimento fatto dai conversanti alla particolare purezza della droga e la piena affidabilità dell’esportatore, circostanze che confermano la rilevante percentuale di principio attivo presente, e la correttezza della contestazione dell’aggravante» (pagg. 14-15 della sentenza impugnata).
Nella motivazione della sentenza impugnata manca, tuttavia, integralmente il riferimento al complessivo principio attivo o, almeno, sul numero delle singole dosi ricavabili dal valore ponderale globale, che consentano di superare il ragionevole dubbio che i tre chili e mezzo di cocaina sequestrati abbiano un quantitativo di sostanza stupefacente non inferiore al quantitativo indicato dalle Sezioni unite.
La Corte di appello ha, dunque, ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla base
della mera astratta compatibilità tra il dato ponderale della sostanza stupefacente e il quantitativo di principio attivo indicato dalle Sezioni unite e, dunque, si
attestata su uno standard
di prova inferiore a quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio, necessario per disporre l’aggravamento di pena.
L’applicazione di circostanze fondate sul superamento di soglie quantitative, previste dal legislatore o introdotte dall’interpretazione tassativizzante della
giurisprudenza, non è, invero, incompatibile con la prova indiziaria, ma postula pur sempre che il giudice, alla stregua degli elementi indiziari disponibili e dei
canoni di valutazione della prova, possa ritenere dimostrato ogni oltre ragionevole dubbio anche questo elemento del reato.
10. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 80, secondo comma d.P.R.
n. 309 del 1990, rinviando sul punto per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia. Il ricorso, nel resto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., deve essere dichiarato irrevocabile l’accertamento della responsabilità dell’imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 80, secondo comma d.P.R. n. 309 del 1990 e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso e, visto l’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., dichiara irrevocabile l’accertamento della responsabilità.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2025.