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Ingente quantità di stupefacenti: la condanna è valida

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per la vendita di un’ingente quantità di stupefacenti (quasi 15 kg di hashish). La sentenza chiarisce che la testimonianza del corriere, se supportata da riscontri esterni come intercettazioni e perizie foniche, è una prova valida. Inoltre, conferma che per l’aggravante dell’ingente quantità di stupefacenti, il superamento della soglia di 2.000 volte il limite tabellare è un indicatore decisivo, giustificando la condanna anche in presenza di una ‘doppia conforme’ dei giudici di merito.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ingente quantità di stupefacenti: la Cassazione consolida i principi di condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di traffico di droga, fornendo importanti chiarimenti sulla valutazione delle prove e sull’applicazione dell’aggravante per l’ingente quantità di stupefacenti. La Corte ha rigettato il ricorso di un imputato, confermando la condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione per la vendita di quasi 15 kg di hashish. La decisione sottolinea come la testimonianza di un complice, se adeguatamente riscontrata, e il superamento di specifici parametri quantitativi, siano elementi sufficienti per una condanna solida.

I fatti del caso

La vicenda ha origine con l’arresto di un corriere trovato in possesso di una valigia contenente 14,987 kg di hashish. La sostanza, con un principio attivo di 2.713,632 grammi, avrebbe permesso di ricavare oltre 108.545 dosi medie. Durante gli interrogatori, il corriere ha ammesso il suo ruolo e ha identificato il ricorrente come il venditore della droga, che avrebbe dovuto essere consegnata a un terzo soggetto.
L’identificazione del venditore è avvenuta non solo tramite riconoscimento fotografico ma anche grazie a una serie di dettagli specifici forniti dal corriere (condizioni familiari, tipo di auto, professione) e confermati dalle indagini. A questo si sono aggiunte le intercettazioni telefoniche e una perizia fonica che ha attribuito con elevata compatibilità la voce intercettata del “fornitore” proprio al ricorrente.

I motivi del ricorso e la valutazione della Cassazione

L’imputato ha basato il suo ricorso su diversi motivi, tutti respinti dalla Corte Suprema. Vediamoli nel dettaglio.

La valutazione della prova e l’attendibilità del coimputato

Il ricorrente contestava l’attendibilità della ‘chiamata in correità’ del corriere, ritenendola non supportata da sufficienti elementi esterni. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: in presenza di una ‘doppia conforme’ (condanna in primo grado e in appello), le motivazioni delle due sentenze si fondono, creando un unico corpo argomentativo. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente valutato le prove, trovando riscontri diretti, individualizzanti e univoci alle dichiarazioni del corriere. Tali riscontri includevano:

1. Le intercettazioni: i dialoghi tra le parti contenevano riferimenti chiari all’organizzazione della consegna dello stupefacente.
2. La perizia fonica: ha confermato che la voce del venditore intercettato era quella del ricorrente.
3. Elementi fattuali: il ritrovamento di SIM card ‘sicure’ durante la perquisizione, menzionate nelle conversazioni.

La Corte ha specificato che la valutazione sull’attendibilità di una perizia o di una testimonianza è compito del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente, come in questo caso.

L’applicazione dell’aggravante per ingente quantità di stupefacenti

Un punto centrale del ricorso riguardava l’aggravante dell’ingente quantità di stupefacenti. La difesa sosteneva che i giudici avessero considerato solo il dato del peso, trascurando altri fattori come la bassa qualità del narcotico. La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite. Secondo tale orientamento, l’aggravante è configurabile quando la quantità di principio attivo supera di 2.000 volte il valore-soglia massimo detenibile per uso personale. Nel caso di specie, il quantitativo era pari a circa 5.000 volte tale soglia.
La Corte ha chiarito che, sebbene il giudice possa considerare altre circostanze, un superamento così massiccio della soglia, unito all’elevatissimo numero di dosi ricavabili (oltre 108.000), è di per sé sufficiente a dimostrare l’estrema offensività della condotta e la sussistenza dell’aggravante.

La determinazione della pena e il diniego delle attenuanti

Infine, il ricorrente lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e una pena ritenuta eccessiva. La Cassazione ha ricordato che la concessione delle attenuanti è una valutazione discrezionale del giudice di merito. In questo caso, il diniego era stato motivato in modo logico, facendo riferimento alla gravità del fatto e ai precedenti penali dell’imputato. Allo stesso modo, la determinazione della pena, seppur superiore al minimo, era stata giustificata sulla base degli stessi elementi, senza violare il principio del ne bis in idem, poiché lo stesso fatto (la quantità di droga) può essere legittimamente considerato sia per applicare un’aggravante sia per commisurare la pena all’interno della cornice edittale.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte di Cassazione si basano su principi giuridici consolidati. In primo luogo, viene riaffermata l’autonomia del giudice di merito nella valutazione delle prove, il cui sindacato in sede di legittimità è limitato alla verifica della logicità e coerenza della motivazione. La Corte ha ritenuto che le sentenze di primo e secondo grado avessero costruito un quadro probatorio solido, basato sulla convergenza di più elementi (dichiarazioni, intercettazioni, perizie) che si riscontravano a vicenda.
Per quanto riguarda l’aggravante dell’ingente quantità di stupefacenti, la Corte ha seguito l’approccio delle Sezioni Unite, che privilegia un criterio oggettivo basato su un moltiplicatore del valore-soglia. Questo approccio garantisce certezza del diritto, pur lasciando al giudice un margine di valutazione sulle circostanze specifiche del caso. La pericolosità della condotta, in questo caso, è stata desunta non solo dal peso, ma anche dal numero di dosi, un indicatore diretto del potenziale danno alla salute pubblica.
Infine, sul trattamento sanzionatorio, la Corte ha ribadito che la discrezionalità del giudice deve essere esercitata entro i limiti della legge e supportata da una motivazione adeguata, anche se sintetica. La gravità del reato e la personalità dell’imputato, come delineata dai precedenti penali, sono stati ritenuti elementi sufficienti a giustificare sia il diniego delle attenuanti sia una pena superiore al minimo edittale.

Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che governano il processo penale in materia di stupefacenti. Ribadisce la validità di un impianto accusatorio basato sulla ‘chiamata in correità’ quando essa è corroborata da prove esterne e oggettive. Soprattutto, consolida l’orientamento giurisprudenziale sull’aggravante dell’ingente quantità di stupefacenti, ancorandone l’applicazione a parametri quantitativi precisi che, una volta superati, creano una forte presunzione di particolare gravità del reato, difficilmente superabile dalla difesa.

Quando si applica l’aggravante per l’ingente quantità di stupefacenti?
Secondo la sentenza, l’aggravante si applica di norma quando la quantità di principio attivo supera di 2.000 volte il valore massimo detenibile per uso personale (valore-soglia). Un superamento così significativo, insieme a un elevato numero di dosi ricavabili, è considerato un indicatore decisivo della particolare gravità della condotta.

Come viene valutata la testimonianza di un coimputato (chiamata in correità)?
La testimonianza di un coimputato è una prova valida se la sua attendibilità è confermata da elementi di riscontro esterni, diretti e individualizzanti. Nel caso specifico, le dichiarazioni del corriere sono state corroborate da intercettazioni telefoniche, una perizia fonica e altri dettagli fattuali verificati dagli investigatori.

Un giudice può usare lo stesso fatto, come la quantità di droga, per più finalità nella stessa sentenza?
Sì. La Corte ha chiarito che non viola il principio del ‘ne bis in idem’ utilizzare lo stesso dato di fatto (in questo caso, l’enorme quantitativo di droga) per differenti valutazioni giuridiche. Può essere usato sia per riconoscere una circostanza aggravante, sia come elemento per determinare la misura concreta della pena all’interno dei limiti previsti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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