Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25153 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25153 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Marocco il 01/01/1968
avverso la sentenza del 04/11/2024 della Corte d’appello di Ancona; udita la relazlone svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 novembre 2024 la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui il 22 febbraio 2023 il Tribunale di Ancona, in esito al giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di cui agli artt. 73 e 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, condannandolo alla pena di anni 4, mesi 4 di reclusione ed euro 40.000 di multa, nonché al pagamento delle spese processuali.
1.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato vendette a El Khait Bouabid 14,987 kg di stupefacente del tipo hashish, contenenti 2.713,632 grammi di principio attivo, dai quali era possibile ricavare 108.545 dosi medie.
Lo stupefacente, tuttavia, non fu consegnato a El Khait Bouabid in quanto il soggetto incaricato del trasporto, COGNOME fu tratto in arresto.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma disp. att. cod. proc. pera., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge penale, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione, con riguardo alla affermazione di responsabilità.
Più in particolare, si osserva che la chiamata in correità di NOME COGNOME di per sé inattendibile, non ha trovato conferma in elementi esterni, tali da collegare univocamente NOME COGNOME alla fattispecie di reato.
I giudici di merito, infatti, hanno valorizzato dei riferimenti alle condizioni di vita del ricorrente (che non collegano il ricorrente al reato), nonché l’esistenza di contatti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, ma senza considerare che l’utenza a tal fine indicata non è mai stata in uso al ricorrente, ma al “fornitore di Milano”.
Inoltre, gli esiti dell’accertamento peritale – che i giudici hanno richiamato per attribuire al ricorrente la voce del soggetto intercettato – avrebbero dovuto essere ritenuti totalmente inutilizzabili o inattendibili poiché non idonei a superare la regc),7; dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Si osserva inoltre che i giudici di merito non hanno adeguatamente illustrato i criteri di valutazione dei dialoghi intercettati, né hanno motivato circa il carattere allusivo delle espressioni contenute, il cui significato è stato individuato semplicemente rimandando alle conclusioni della polizia giudiziaria, a loro volta fondate sul parametro della semplice verosimiglianza.
Infine, la Corte di appello non ha fornito risposta alcuna alle considerazioni spese nell’atto di gravame, con le quali si sottolineava il mancato svolgimento di talune attività di indagine da parte del Pubblico Ministero.
Da ciò è derivala la nullità della sentenza per omessa motivazione, ex artt. 125 e 546 cod. proc. peri.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione in relazione all’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309: i giudici di merito hanno applicato l’aggravante ad effetto speciale valorizzando esclusivamente il dato ponderale (con il superamento di 2.000 volte il valore soglia), senza alcuna analisi delle ulteriori circostanze del caso concreto, in linea con i principi più volte affermati dalla Corte di Cassazione.
Nel caso concreto i giudici di merito avrebbero dovuto tener conto della scarsa qualità del narcotico, del tipo di sostanza detenuta e del fatto che a seguito dell’arresto vi è stato il sequestro dello stupefacente: tali indicatori depongono nel senso della scarsa potenzialità lesiva della condotta per la salute e l’ordine pubblico.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione sempre in relazione all’aggravante di cui al predetto art. 80.
Il ricorrente afferma l’irragionevolezza della interpretazione offerta dalla sentenza COGNOME, nella misura in cui individua lo stesso moltiplicatore per individuare la c.d. soglia verso l’alto, senza considerare la diversa pericolosità delle sostanze stupefacenti.
Più in particolare si osserva che, al pari di quanto accade per la individuazione della c.d. soglia verso il basso (quantità massima detenibile per uso personale), anche per la determinazione della soglia oltre la quale si deve ritenere integrata l’aggravante ad effetto speciale deve rispettarsi la medesima proporzione, che è di 1 a 3; in conseguenza, il moltiplicatore elaborato dalle Sezioni Unite, con riguardo alle c.d. droghe leggere, dovrebbe essere pari (non a 2.000 come per le pesanti ma) a 6.000.
Una diversa interpretazione sarebbe lesiva degli artt. 3, 25 e 27 Cost., e dunque al riguardo si solleva la questione di legittimità costituzionale di una simile interpretazione.
2.4. Con il quarto motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione con riguardo alla mancata applicazione delle attenuanti generiche: la Corte di appello ha valorizzato sul punto i precedenti dell’imputato, assai lontani nel tempo, e l’indimostrato collegamento con la criminalità organizzata, mentre invece non ha preso in considerazione alcuna il corretto comportamento processuale e le sue condizioni personali.
2.5. Con il quinto motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio: i giudici hanno valorizzato gli elementi utilizzati per applicare l’aggravante ad effetto speciale e per negare le generiche anche al fine di legittimare lo scostamento della pena dal minimo edittale.
Nessuna considerazione, invece, è stata riservata agli indicatori offerti dal ricorrente, tra cui “l’ottimo comportamento processuale”, la scarsa qualità del narcotico e le condizioni personali dell’imputato.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Allo Scrutinio dei motivi è utile premettere che, secondo la conforme ricostruzione dei giudici di merito, il giorno 16 febbraio 2018 NOME COGNOME fu tratto in arresto poiché trovato in possesso, all’interno di una valigia, di 14.987 kg di stupefacente del tipo hashish (da cui era possibile ricavare 108.545 dosi medie); oltre allo stupefacente furono sequestrati un telefono cellulare, tre sim card e la somma contante di euro 325.
Nel corso di diversi interrogatori NOME COGNOME ammise di aver svolto il ruolo di corriere, e di aver ricevuto una ricompensa di euro 400 per trasportare la droga da Milano – dove gli era stata consegnata da un soggetto indicato come “COGNOME” a Civitanova Marche, per consegnarla a El COGNOME Bouabid.
Fu “NOME” a consegnargli anche le sim card.
Il venditore fu successivamente identificato nel ricorrente NOME COGNOME, grazie alla descrizione offerta da NOME COGNOME (che lo riconobbe anche in foto), attraverso il riferimento ad una serie di particolari forniti dal corriere (condizioni familiari; disponibilità di una Renault Scenic; indicazione della dimora e della professione, ecc.; esistenza di precedenti specifici).
Inoltre, l’attività di intercettazione che riguardò le utenze in uso a El COGNOME, tra il 30 dicembre 2017 ed il 24 febbraio 2018 consentì di documentare: 1) i contatti tra El COGNOME e El COGNOME, funzionali a perfezionare l’operazione, con ampi e ripetuti riferimenti alla necessità di cambiare utenze per non essere attenzionati dalle forze dell’ordine; 2) i contatti tra COGNOME ed il “fornitore di Milano”, poi identificato nel ricorrente, funzionali ad organizzare la consegna dello stupefacente (con incontro effettivamente avutosi il giorno prima
dell’arresto) e delle siici card, intestate a soggetti di comodo, poi effettivamente rinvenute al momento della perquisizione (ad es., prog. 4729).
Nel corso del processo la perizia fonica ha consentito di attribuire la voce del “fornitore di Milano”, registrata nel corso delle intercettazioni, al ricorrente.
2. Venendo all’esame delle doglianze, osserva innanzitutto il Collegio che, in presenza di una doppia conforme, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confi -ontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze (Sez. ,-1, n. 26800 del 26/06/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, COGNOME, Rv. 216906 – 01; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145 – 01).
2.1. Ciò posto, il primo motivo è inammissibile, poiché aspecifico e manifestamente infondato.
Il ricorrente, infatti, riproduce profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito sia in punto di attendibilità intrinseca ed estrinseca del chiamante in correità, sia con riguardo al carattere individualizzante degli altri elementi di prova, puntualmente valutati, superando le cloglianze difensive.
Quanto alla attendibilità intrinseca del chiamante, è mancato ogni confronto con la motivazione delle conformi decisioni di merito (ad es. pp. 5 e ss. sentenza del Tribunale), in cui si sottolinea la precisione e la concordanza delle dichiarazioni, la loro specificità e l’assenza di elementi fattuali o logici di segno contrario.
D’altra parte, lo stesso chiamante ha chiarito le imprecisioni contenute nel primo interrogatorio, ed ha fornito una serie di indicazioni sulla persona del ricorrente, sulle sue condizioni di vita e familiari, e sui suoi trascorsi giudiziari, tutte ampiamente verificate dalla polizia giudiziaria, e quindi significativamente culminate nel riconoscimento fotografico.
Elementi di conferma esterna, invece, sono stati individuati nella verifica, compiuta attraverso accertamento peritale, della riconducibilità al ricorrente delle conversazioni intrattenute con NOME COGNOME
Dialoghi, questi, oggetto di analisi di parte dei giudici di merito, i quali hanno evidenziato come il loro contenuto facesse ripetuto riferimento all’imminente
consegna dello stupefacente, insieme alle sim card ritenute sicure, poi effettivamente rinvenute al momento della perquisizione.
Quanto al contenuto delle conversazioni, è sufficiente rinviare a quelle riportate a pag. 6 della sentenza del Tribunale, nonché, con riferimento alla consegna di schede telefoniche ritenute sicure, a p. 7 (prog. 4279).
Ancora, il ricorrente non si confronta neppure con il pacifico orientamento secondo cui interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice del merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; conf., Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01).
Pertanto, tali plurime evidenze processuali, trattandosi di riscontri diretti, individualizzanti e univoci rispetto ad una chiamata in correità di cui i giudici di merito, con motivazione conforme e priva di illogicità evidenti, hanno riconosciuto la precisione, la coerenza e la logicità, dopo avere correttamente misurato la credibilità intrinseca del dichiarante.
Quanto alla perizia fonica, i giudici di merito hanno evidenziato non solo un giudizio di elevata compatibilità tra il campione e la voce del ricorrente, ma anche l’assenza di dati sui quali fondare dubbi in merito all’attribuzione della voce (p. 8 sentenza di primo grado); fermo restando che nel contenuto dei dialoghi vi sono riferimenti alla persona del ricorrente, come desumibili dalla stessa chiamata (la presenza di bambini, oltre alla consegna delle sim card).
D’altra parte, nel giudizio di legittimità, l’accertamento peritale può essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del c.d. travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità” (Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011, COGNOME, Rv. 251404 – 01, proprio con riguardo alla contestazione del risultato di una perizia fonica; conf., Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, COGNOME, Rv. 274478 – 01).
Ciò che residua, quindi, è la richiesta di una valutazione di maggiore o minore attendibilità della perizia.
Ma la Corte di cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto;
deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, COGNOME, Rv. 276151 – 01).
Il superamento dei tradizionali limiti del giudizio di legittimità non può essere ottenuto neppure attraverso il richiamo alla regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio (ad es., p. 8 ricorso).
Regola la cui introduzione non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva ia duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventuaimente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello; la Corte, infatti, è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (sui rapporti tra la regola del ragionevole dubbio ed i limiti del sindacato di legittimità, Oca. 1 5511 OrI 30/11/2023, dep. 2020, 01; GLYPH 2 GLYPH 25016 dcl 06/04/2022, Pisan( – s n”,ottyniz,pne; GLYPH 180 dei 01/02/2017, Caminarata, 0v. 270510 e GLYPH ). Rv
;iltre, che l’esito peritaie è venuto a saldarsi con center-i t GLYPH versata in atti richiamata a p. 5 della sentenza ricorsa) GLYPH ce GLYPH nclibilita della voce al ricorrente sulla base di di elementi Ji 020 oi . Aettive onesto profilo non è in alcun modo analizzato coi motivi di rjCOm O. 1
Da quanto detto finora discende che non può certo parlarsi di una sentenza nulla per mancanza della motivazione, come invece sostiene il ricorrente (p. 11).
Quanto, infine, alla ipotizzata violazione di norme processuali (pp. 10 e ss.), rilevante ove stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o d decadenza, si osserva che, come affermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione, non e consentito il motivo che deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice (cfr., p. 1 ricorso per cassazione), per censurare l’omessa od erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti od acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena nullità; d’altro canto, la riconduzione dei vizi di motivazione alla categoria di cui alla lettera c) strasoincrebbe l’assetto normativo delle modalità di deduzione dei
predetti vizi, che limita la deduzione ai vizi risultanti “dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” , laddove, ove fossero deducibili quali vizi processuali ai sensi della lettera c), in relazione ad essi questa Corte di legittimità sarebbe gravata da un onere non selettivo di accesso agli atti (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, par. 16.1).
2.2. Il secondo motivo è infondato.
Quanto all’accertamento dell’aggravante della ingente quantità, come affermato a più riprese dalla Sezioni Unite, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253150 – 01); principio ribadito dalla sentenza COGNOME, la quale ha affermato che, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi, anche successivamente alla riforma operata dal dl. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo labellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, COGNOME (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005 – 01), sicché la soglia minima per ritenere integrata detta aggravante è 2 kg. di principio attivo quanto alle droghe leggere (4.000 volte il valore – soglia di 500 mg.), e 1,5 kg. di principio attivo quanto alla cocaina (2.000 volte il valore – soglia di 750 mg.).
Dalle pronunce delle Sezioni unite è dunque ricavabile il principio di diritto secondo cui l’aggravante non possa ritenersi integrata quando la quantità di principio attivo non superi quel valore; resta però ferma la possibilità per il giudice di non ritenere integrala l’aggravante anche qualora tale valore sia superato, «dovendosi in ogni caso avere riguardo alle circostanze del caso da valutarsi con riferimento alla pericolosità della condotta ed al livello di potenziale compromissione della salute e dell’ordinamento pubblico» (così, in motivazione, Sez. U, COGNOME, par. 12.3).
Nella specie, diversamente da quanto ritenuto in ricorso, la Corte territoriale non si limita a riscontrare il superamento del valore soglia, ma evidenzia che si tratta di quantitativo di droga idoneo al confezionamento di ben 108.987 singole dosi medie di hashish, poiché contenente 2,7 kg di principio attivo THC (pari a 5.000 volte il valore soglia), correttamente ritenuto oggettivamente ingente, avuto riguardo alla quantità, al grado di purezza e al notevole pericolo per la salute
pubblica derivante dell’elevatissimo numero di dosi ricavabili, idoneo a soddisfare un elevato numero di consumatori.
Del resto, la Corte di cassazione insegna che per la configurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può essere valorizzato, tra le circostanze del caso concreto, anche il dato relativo al numero di dosi estraibili dalla sostanza che, ove oggettivamente rilevante, esime il giudice dal motivare ulteriormente sull’estrema offensività della condotta (Sez. 4, n. 20943 del 30/04/2025, Zhai, non mass.; Sez. 3, n. 20017 del 20/03/2024, Chindamo, Rv. 286378 – 02, in cui si è sostenuto che più il numero di dosi supera il limite minimo al di sotto del quale la quantità non può mai essere ritenuta ingente, meno stringente è l’onere motivazionale sul punto).
2.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Gli interventi delle Sezioni unite sono fondati sulla indagine induttiva.
Quel criterio è stato condiviso anche dalla sentenza COGNOME che si è limitata a correggere il hi:erimento al quantitativo massimo di principio attivo detenibile, che la sentenza COGNOME aveva indicato in mg. 1.000, anziché in mg. 500.
Da ciò è dipesa la necessità di indicare il diverso moltiplicatore.
Tuttavia, come evidenziato nella sentenza COGNOME, nel ragionamento della Corte è venuta prima la verifica delle quantità definibili ingenti e poi quella dei numeri atti a rappresentarle, sicché l’evidente errore di lettura del D.M. quanto al valoresoglia di principio attivo del THC non può inficiare in alcun modo l’accertamento empirico delle quantità rilevanti effettuato dalle Sezioni Unite, ma impone solo una correzione dei fattori del calcolo per ricostruirlo secondo i principi espressi in sentenza; e che questa correzione riguardi il moltiplicatore normativo della dose inedia singola (20 divenuto 40 e poi tornato 20) per ottenere la dose-soglia o, in alternativa, il moltiplicatore empirico di questa (2000 o 4000) poco importa, perché il risultato aderente all’esito dell’indagine induttiva delle Sezioni Unite cristallizzato nella sentenza “COGNOME -è che la soglia minima perché si possa intendere ingente una quantità di “droga leggera” è di 2 kg. di principio attivo» (Sez. U, COGNOME, cit.), individuata tenendo conto di una “percentuale media” di principio attivo.
Il ricorso manca quindi ogni confronto con la ratio decidendi della decisione.
Quanto alla dedotta violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost., questa Corte ha già sottolineato come debba ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, deducendo una eccezione di illegittimità costituzionale, si limiti ad indicare solo le disposizioni di legge ritenute illegittime e gli articoli della Costituzione che si assumono violati, poiché, a norma dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen., i motivi di impugnazione debbono contenere l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e oegli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (Sez. 5, n.
24054 del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 267113 – 01; Sez. 5, n. 51253 del 11/11/2014, COGNOME, Rv. 262200 – 01).
D’altra parte, il moltiplicatore pone a base di calcolo i valori soglia, i quali, per espressa previsione legislativa, sono differenziati in relazione alla tipologia di sostanza, e quindi alla loro pericolosità, sulla base di scelte legislative (come del resto evidenziano le stesse Sezioni unite Polito: p. 21 motivazione).
Né si può trascurare la circostanza per cui si è in presenza di una aggravante, come tale destinata ad incidere proporzionalmente su pene editali tra loro già distinte con riguardo alle diverse sostanze stupefacenti, e quindi alla diversa pericolosità per la salute pubblica.
Il motivo, pertanto, anche per questo profilo, è manifestamente infondato. 2.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha disatteso la richiesta di concessione delle attenuanti generiche per l’assenza di elementi positivi di valutazione, facendo inoltre riferimento alla gravità del fatto oltre che alla pessima biografia penale.
La valutazione in esame, quindi, è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità che fa leva sulle condotte anteriori al delitto, valutate alla luce del comportamento successivo alla commissione del reato.
Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, deo. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 – 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevai:Ai dagli atti, ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conformi, Sez. 5, n. 13952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 – 01).
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., che attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici, gli elementi che possono condurre ad attenuare la pena, non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, AvPce, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevJnza rtenLiu ostativi alla concessione delle attenuanti.
Ne consegue che anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione può legittimamente fondare il diniego.
La decisione impugnata, quindi, si rivela aderente al consolidato orientamento secondo cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fallo rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere mativalu nei sali limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 3, n. 1226 del 18/11/2024, dep. 2025, Rizzo, non mass.; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737 – 01).
2.5. Il quinto motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen., non è consentito in sede di legittimità, in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; conf., Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 – 01).
D’altra parte, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, cosi come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..
Ciò posto il Collegio, nel ribadire il principio di diritto secondo cui l’obbligo di una motivazione rafforzata in tema di trattamento sanzionatorio sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01, anche per indicazioni sul modo in cui determinare il medio edittale; conf., Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01), osserva come i giudici di merito hanno richiamato l’attenzione sugli indicatori di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero le modalità dell’azione, nonché i precedenti penali (peraltro specifici), bilanciandoli anche in relazione alle argomentazioni difensive (n. 10 sentenza impugnata).
Lo scostamento dal minimo edittale si fonda quindi su una conunia motivazione, avendo i giudici di merito individuato indici di disvalore di tipo oggettivo (attinenti alla gravità del fatto) e di valenza soggettiva (inerenti alla capacità a delinquere).
Quanto, infine, alla dedotta violazione del bis in idem (p. 28 ricorso) il motivo è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idern” , ( Sez. 2. n. 16058 del 14/03/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 49491 del 08/11/2023, COGNOME, non mass.; conf., con specifico riferimento alla valutazione dell’ingente quantitativo anche ai fini della determinazione della pena, Sez. 3, n. 20277 del 21/02/2023, COGNOME, Rv. 284681 – 01; Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018,
dep. 2019, M Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, COGNOME, Rv.
01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche, Rv. 258011
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01).
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 4 giugno 2025
estensore GLYPH
Il Preside e