Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35918 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 02/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
XXXXXXXXXXXXXXXXX, XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
avverso la sentenza del 31/03/2025 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO;
udite le conclusioni del AVV_NOTAIO Ministero, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito, per l’imputato, l’AVV_NOTAIO del Foro di Milano, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza n. 1217 del 2 ottobre 2024, dep. 2025, la Corte di cassazione annullava senza rinvio (disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello territoriale per l’ulteriore corso) la sentenza del 15 gennaio 2024 con cui la Corte di appello di Milano aveva confermato la sentenza del 22 maggio 2022, con cui il GUP del Tribunale di Milano, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato XXXXXXXXXXXXXXXXX, per i delitti a lui contestati, alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione ed euro 24.000,00 di ammenda, oltre alle pene accessorie come per legge.
In dettaglio questa Corte accoglieva il secondo motivo di ricorso, con efficacia assorbente sui restanti motivi, in cui l’imputato si doleva della circostanza secondo cui la sentenza fosse stata deliberata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 23bis commi 2 e 3 del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito con legge n. 176 del 2020, nonostante l’espressa istanza di trattazione in presenza da parte del difensore, così minandosi in radice la legittimità sia della sentenza impugnata che del procedimento che ha portato alla sua adozione.
Con sentenza del 31/03/2025, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Milano del 22 maggio 2023, dianzi menzionata.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso.
3.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 600quater , commi primo e secondo, cod. pen..
La difesa ritiene che la Corte di secondo grado non si sia confrontata con le doglianze proposte in sede di appello relative la sussistenza dell’aggravante di ‘ingente quantità’, ma
abbia riproposto acriticamente quanto affermato dal GUP con la sentenza del 22.05.2023. Nello specifico, il ricorrente afferma che la Corte di appello di Milano non ha motivato circa l’effettiva sussistenza dell’aggravante.
I profili che, nella prospettazione del ricorrente, non sarebbero stati valutati attengono a tre aspetti.
Il primo riguarda l’esiguità dei supporti informatici rinvenuti (CD/DVD) rispetto al numero di documenti (video e immagini) a carattere pornografico. Questo rapporto Ł utilizzato anche per determinare le ‘quantità ingenti’ in materi di sostanze stupefacenti ex art. 80, comma 2, d.p.r. 309/1990.
In secondo luogo, la valutazione deve essere compiuta tenendo conto del rapporto tra numero di immagini e video a contenuto pornografico e i file e video di altra e varia natura ritrovati in possesso del ricorrente.
Infine, si deve considerare l’effettiva diffusione degli stessi file che, nel caso di specie risulta essere limitata, in quanto sono stati trasmessi a persona terza solamente nei giorni del 7 e 8 luglio 2022, limitando in questo modo la intrinseca gravità oggettiva della condotta.
3.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 600ter , primo comma, e 602ter , commi quinto e sesto, in relazione alla consulenza quale prova a carico.
Non vi Ł prova che il materiale pedopornografico prodotto fosse destinato alla divulgazione, come nel caso di custodia dei file in siti di file-sharing .
Viceversa, nel caso in esame, le foto erano conservata in un account Telegram, nella sezione ‘elementi salvati’, assieme a tante altre foto non pornografiche, nØ nelle chat sequestrate si Ł mai fatto riferimento alle foto in questione.
Per quanto riguarda il vizio di violazione di legge, il ricorrente ritiene che non sussista l’elemento soggettivo del reato, in quanto la norma presuppone una detenzione c.d. ‘qualificata’ del materiale, che deve essere preordinata al perseguimento di una finalità ulteriore rispetto al soddisfacimento delle pulsioni sessuali dell’agente.
In ordine al vizio di motivazione, la difesa ritiene assolutamente contraddittorio il metodo con cui Ł stata individuata la persona che ha realizzato le foto dei figli dell’odierno ricorrente.
Il giudice, nell’aderire alla ricostruzione operata dalla Polizia scientifica, Ł giunto ad una conclusione che si pone come ipotetica, in quanto sarebbe prospettabile che anche l’ipotesi opposta, ovvero che la moglie del ricorrente abbia scattato le foto posizionando le braccia ad un’altezza superiore alla propria.
3.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 600ter , quarto comma, e 602ter , comma quinto, in relazione alla omessa valutazione dei motivi di appello sul terzo capo di imputazione.
XXXXXXXX Ł imputato dei reati di cui agli articoli 600quater , commi 1 e 2, cod. pen. (Capo a), 600ter , comma 1, 602ter , comma 4, cod. pen. (Capo b) e 600ter , comma 4, 602ter , comma 5, cod. pen. (Capo c)
La Corte territoriale, dopo avere respinto le doglianze relative ai primi due capi, passa direttamente alla dosimetria della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
Il primo motivo Ł inammissibile.
In ordine alla circostanza aggravante di cui all’articolo 600quater , secondo comma,
cod. pen., questa Corte (Sez. 3, n. 39543 del 27/06/2017, R., Rv. 271461 – 01) ritiene che «la configurabilità della circostanza aggravante della ‘ingente quantità’ nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (previsto dall’art. 600-quater, comma secondo, cod. pen.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sØ indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene» (in motivazione, la Corte ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche; conformi: Sez. 3, n. 35876 del 21/06/2016, B., Rv. 268008 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17211 del 31/03/2011, R., Rv. 250152 – 01).
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il Collegio ritiene che il dato quantitativo debba essere inteso in senso «assoluto», ossia riferito al numero oggettivo di supporti e file detenuti, e non anche «relativo», ossia posto in rapporto con file di altra natura la cui detenzione non costituisce illecito (in ipotesi: file pornografici).
Tale principio Ł stato espresso da questa Corte anche in riferimento ad altre ipotesi delittuose, quale il delitto di «attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti», in relazione al cui elemento costitutivo rappresentato dagli «ingenti quantitativi» si Ł affermato (Sez. 6, n. 30373 del 18/03/2004, Ostuni, Rv. 229946 – 01) che «nel testo della norma non si rinviene alcun dato che autorizzi a relativizzare il concetto, riportandone la determinazione al rapporto tra il quan›titativo di rifiuti illecitamente gestiti e l’intero quantitativo di rifiuti trattati nella discarica, per cui l’ingente quantità dev’essere accertata e valutata con riferimento al dato oggettivo della mole dei rifiuti non autorizzati abusivamente gestiti»,con la conseguenza che il rapporto tra i rifiuti lecitamente smaltiti e quelli trattati illecita›mente nella discarica può essere valido semmai «(…) per stabilire se l’autorizzazione alla discarica sia un paravento predeterminato per un’attività ontologicamente diversa da quella autorizzata».
Ciò premesso, va ribadito che la motivazione della sentenza, la quale cita anche la recente sentenza Sez. 3, n. 10690 del 09/01/2024, D., Rv. 286042 – 01, secondo cui la detenzione di un quantitativo di immagini e video espresso nell’ordine delle centinaia Ł senz’altro «ingente» ed integra dunque con certezza l’ipotesi prevista dal secondo comma della norma incriminatrice (così anche Sez. 3, n. 39543 del 27/06/2017, R., Rv. 271461), nel ritenere la detenzione 340 video e 108 immagini pedopornografiche (oltre alle 103 rinvenute in una pendrive) integri l’aggravante in parola, non appare illogica, ma anzi fa buon governo dei principi espressi da questa Corte di legittimità.
Ciò premesso, il Collegio evidenzia che – in ogni caso – la valutazione circa la sussistenza del requisito in parola costituisce un apprezzamento in fatto che Ł rimesso al giudice del merito ed insindacabile in sede di legit›timità se sorretto da motivazione esente da vizi logici o giuridici.
La censura, che con tale sedimentato orientamento non si confronta, limitandosi ad una generica doglianza, Ł pertanto inammissibile.
Manifestamente infondata Ł poi la deduzione secondo cui non vi sarebbe prova della diffusione del materiale sequestrato, posto che, per sedimento orientamento di legittimità, ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600ter , comma 1, cod. pen., non Ł richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087 – 01; Sez. 3, n. 20303 del 07/06/2006, Rv. 234699 – 01; Sez. 3, n. 43246 del 11/11/2010, Rv. 248761 – 01; Sez. 3, n. 2011 del 22/10/2014, dep. 2015, Rv. 261597 – 01).
3. La seconda doglianza, relativa all’assenza di divulgazione delle fotografie scattate ai figli minori, Ł manifestamente infondata.
Come affermato anche dalla sentenza impugnata (pag. 7), questa Corte nella sua massima composizione ha affermato – peraltro in epoca antecedente ai fatti per cui si procede – che «ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-ter, comma 1, cod. pen., non Ł richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale» (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087 01).
La recente giurisprudenza di questa Corte ha poi (Sez. 3, n. 8889 del 22/01/2025, n.m.) ricostruito in modo analitico la anzidetta pronuncia delle Sezioni Unite, evidenziando come, in ragione del progredito stadio dello sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione e della loro diffusione, non fosse stato piø ritenuto piø necessario, ai fini della integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, accertare la sussistenza del concreto pericolo di una sua divulgazione, così superando l’orientamento in precedenza espresso da Sez. U, 31/05/2000, n. 13, Bove, Rv. 216337.
Quest’ultima sentenza, emessa nell’ambito di una realtà in cui la captazione dell’immagine non implicava necessariamente la successiva diffusione, riteneva che l’espressione «produce materiale pornografico» stesse ad indicare che, per l’integrazione del reato, il materiale doveva essere necessariamente destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia, con la conseguenza che rimanevano escluse dall’ambito applicativo dell’art. 600ter , comma 1, cod. pen. le ipotesi nelle quali mancava li pericolo concreto di circolazione del materiale stesso.
Con la richiamata sentenza n. 51815 del 2018, la fattispecie Ł stata, invece, costruita dalle Sezioni Unite in termini di reato di danno, muovendo dalla diversa premessa che l’attualità impone di considerare la «pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smart-phone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata e ha reso normali il collegamento ad internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione di reti sociali».
Per evitare che anche condotte costituenti espressione dell’autonomia privata della sfera sessuale potessero ritenersi tuttavia criminalizzate, la stessa sentenza n. 51815 del 2018 ha elaborato la nozione della c.d. «pedopornografia domestica», collocandola nell’area del penalmente irrilevante: il riferimento Ł alla produzione di materiali audiovisivi pornografici in cui fossero comparsi minori ultraquattordicenni, in grado di acconsentire validamente agli atti sessuali, purchØ prodotti e detenuti con il loro consenso e destinati a loro esclusivo uso personale.
Tuttavia, la successiva sentenza delle S.U. n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, D., Rv. 282718, nel richiamare le convenzioni internazionali (in particolare, l’art. 3, par. 2 della Convenzione GAI/2003/68 che consentiva agli Stati di prevedere la non punibilità della condotta di produzione del materiale pornografico «nel caso di produzione e possesso di immagini di bambini che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale prodotte e detenute con il loro consenso e unicamente a uso privato», precisando tuttavia «che, anche nel caso in cui sia stabilita l’esistenza del consenso, questo non può essere considerato valido se, ad esempio, l’autore del reato l’ha ottenuto avvalendosi della sua superiorità in termini di età, maturità, stato sociale, posizione, esperienza, ovvero abusando dello stato di dipendenza della vittima dall’autore»), hanno ribadito che la interpretazione dell’art. 600ter , primo comma, cod. pen. operata dalla sentenza n. 51815 del 2018 non determina, in realtà, sul piano sostanziale effetti diversi da quelli perseguiti dalle Convenzioni internazionali, in quanto le condizioni per escludere la validità del consenso del minore rilevano comunque sul piano interno per la verifica dell’elemento della «utilizzazione del minore» e hanno
conseguentemente rimarcato che, dalla sfera applicativa della previsione del primo comma dell’art. 600ter , cod. pen. fuoriesce soltanto la produzione di materiale pornografico realizzato senza la ‘utilizzazione’ del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l’età per manifestarlo.
Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente non ha contestato l’assenza di «utilizzazione» del minore, ma esclusivamente l’assenza del pericolo di divulgazione, con conseguente inammissibilità della doglianza.
Inammissibile Ł poi la censura (relativa alla consulenza tecnica in atti) concernente l’altezza di scatto delle foto, trattandosi di questione di mero fatto insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.
La terza doglianza Ł poi inammissibile in quanto non risulta dedotta con i motivi di appello, come ricapitolati a pag. 4 della sentenza gravata (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello vedi, ex multis , Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066), per cui su tale capo di imputazione deve ritenersi calata una preclusione processuale.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 02/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.