Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43146 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43146 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMENOME nato a MINERVINO MURGE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor NOME COGNOME, che, riportandosi alla requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile NOME COGNOME, l’AVV_NOTAIO, il quale si è associato alle richieste del Sostituto Procuratore Generale e, ritenendo il ricorso infondato, ne ha chiesto il rigetto come da conclusioni che ha depositato unitamente alla nota spese;
uditi per il ricorrente NOME COGNOME, gli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Bologna ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti del ricorrente per il delitto di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ., confermando previa revoca delle disposte provvisionali, le statuizioni civili.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, con i difensori di fiducia, AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, affidandosi a quattro motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., violazione dell’art. 336 del medesimo codice, con riferimento alla ritenuta ammissibilità della querela presentata non già dal liquidatore della società, cui è demandata in via esclusiva la conservazione del patrimonio quale bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, bensì da uno dei soci.
2.2. Mediante il secondo motivo il COGNOME denuncia vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale rispetto alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ.
Più in particolare, assume che la modifica della clausola di cui al punto 7.3. del contratto di management del 20 aprile 2014 non costituisce atto di disposizione dei beni sociali poiché non è peggiorativa delle condizioni contemplate nella clausola originaria, andando solo a puntualizzarne alcuni aspetti sul piano lessicale. Inoltre, sottolinea che, se la liquidatrice non avesse spiegato recesso dalla società prima della scadenza del termine naturale del contratto, prevista per il mese di settembre dell’anno 2015, la stessa avrebbe potuto beneficiare degli utili derivanti dagli accordi tra i cantanti del gruppo “I RAGIONE_SOCIALE” con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, poiché i relativi contratti sono stati stipulati, rispettivamente, nelle date del 6 marzo 2015 e del 10 ottobre 2014, ossia prima della scadenza del termine del contratto di management.
Deduce inoltre, quanto alla verificazione del danno a carico della società RAGIONE_SOCIALE, che questo, a differenza di quanto ritenuto, attraverso un travisamento dei fatti e comunque una motivazione manifestamente illogica, dalla Corte territoriale non era correlato alla richiamata modifica negoziale del 20 aprile
2014, ma, ancora una volta, alla scelta della liquidatrice di recedere anticipatamente dal contratto di management. Soggiunge che, del resto, tale scelta, come aveva dichiarato la stessa liquidatrice in sede di assunzione di sommarie informazioni, non era dipesa da condotte espressive di malafede da parte di esso ricorrente, bensì dall’esigenza di evitare controversie legali e richieste risarcitorie, anche a fronte dell’elevata conflittualità tra i soci de RAGIONE_SOCIALE, a fronte dell’imminente prevista partecipazione del gruppo al festival di Sanremo. Sicché il recesso non era correlato a una sua condotta decettiva e, in particolare, al non aver inviato alla liquidatrice i contratti stipulati con RAGIONE_SOCIALE, avendone comunque riassunto in maniera puntuale i contenuti alla stessa.
Lamenta, ulteriormente, che la stipula del contratto tra gli artisti del gruppo “RAGIONE_SOCIALE” e la società RAGIONE_SOCIALE, a sé riconducibile, non costituirebbe espressione del proprio conflitto di interessi che pure rappresenta altro elemento costitutivo del delitto di infedeltà patrimoniale, atteso che i nuovi accordi avrebbero avuto vigenza solo al momento della cessazione del contratto con la RAGIONE_SOCIALE, i cui interessi, pertanto, la stipula del contratto in questione non avrebbe potuto ledere.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’elemento soggettivo del reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ.
A riguardo, il COGNOME premette che la decisione della Corte territoriale si è limitata a ritenere integrato tale elemento, pur essendo necessario il dolo specifico ai fini della sussistenza del reato contestato, in virtù di una motivazione gravemente insufficiente, ossia: per l’occultamento della modifica contrattuale; per l’altrettanto occulto e concorrente contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE; in ragione di omissioni, lacune e imprecisioni correlate alle laconiche ed ermetiche risposte alla liquidatrice.
Evidenzia che, tuttavia, il dolo specifico avrebbe dovuto sussistere già al compimento dell’atto di disposizione anche rispetto al conseguimento della finalità di ottenere un profitto arrecando danno alla RAGIONE_SOCIALE. Ciò che non avrebbe potuto ipotizzarsi per i contratti stipulati con la RAGIONE_SOCIALE e con la Ethiad, atteso che non solo questi erano successivi alla modifica contrattuale del 20 aprile 2014, ma anche i contratti con tali società erano posteriori, come era emerso nel corso dell’istruttoria.
Il ricorrente sottolinea che, in realtà, la modifica del punto 7.3. del contratto di management tra la RAGIONE_SOCIALE e gli artisti del gruppo “RAGIONE_SOCIALE” si era resa necessaria per tutelare gli interessi della stessa RAGIONE_SOCIALE, evitando i rischi di risoluzione contrattuale e di richieste di risarcimento dei danni da parte dei
cantanti che, in mancanza, avrebbero potuto verificarsi, come corroborato dalle dichiarazioni del padre di uno degli stessi, dalla medesima liquidatrice NOME e dalle conclusioni alle quali era pervenuto il Consulente tecnico del Pubblico Ministero ai fini dell’archiviazione del procedimento per il delitto di appropriazione indebita.
Quanto agli elementi sintomatici del dolo specifico desunti nel giudizio di merito il COGNOME pone in rilievo che: la modifica contrattuale è stata fatta dai soggetti legittimati e comunicata appena ne è sorta la necessità; il contratto stipulato dagli artisti con la RAGIONE_SOCIALE, per come ripercorsa la vicenda, non potrebbe essere ritenuto causativo di un danno per la RAGIONE_SOCIALE; alcuna lacuna informativa si era registrata nei rapporti con la liquidatrice.
2.4. Mediante il quarto motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione degli artt. 78 e 539 cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione rispetto alla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Assume che, poiché tale risarcimento è stato liquidato per il danno all’immagine e alla reputazione, esso avrebbe dovuto essere escluso in quanto già la sentenza di primo grado non aveva riconosciuto in capo ad NOME COGNOME un danno all’immagine ritenendo erroneamente, tuttavia, che esso avrebbe potuto essere equiparato al pretium doloris cui aveva fatto riferimento la decisione di primo grado.
Lamenta di qui che, nonostante le puntuali doglianze formulate nell’atto di appello su dette questioni, la Corte territoriale si era limitata a confermare le statuizioni civili del giudice di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, alla luce del principio, ormai ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità, in forza del quale anche i soci sono persone offese del delitto in esame, tanto che la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso (essendo l’incriminazione volta alla tutela dell’integrità patrimoniale della società), ma anche – e disgiuntamente – al singolo socio. Si è sottolineato, a riguardo, che, infatti, il singolo socio è persona offesa del reato di infedeltà patrimoniale, e non solo danneggiato dallo stesso, in quanto la condotta dell’amministratore infedele è diretta a compromettere le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attività dell’amministratore subiscono il depauperamento del proprio patrimonio (ex aliis,
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Sez. 5, n. 22495 del 18/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267139 – 01; Sez. 5, n. 39506 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264919-01).
Con riguardo al secondo motivo, occorre premettere, che, ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 cod. civ., è necessario che ricorrano i seguenti presupposti: a) un interesse dell’amministratore in conflitto con quello della società; b) la “deliberazione” di un “atto di disposizione” di beni sociali; c) un evento di danno patrimoniale intenzionalmente cagionato alla società amministrata; d) il fine specifico, in capo all’agente, di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio (Sez. 5, n. 40446 del 04/06/2019, Polverino, Rv. 277430 – 01).
2.1. Orbene, le decisioni di merito, nel ricostruire la vicenda in esame, hanno logicamente e adeguatamente dato conto della sussistenza dell’elemento oggettivo del fatto contestato al COGNOME.
D’altra parte, va a riguardo considerato che, a fronte dell’intervenuta sentenza di non doversi procedere per prescrizione del delitto nel corso del giudizio di appello, la congruità della motivazione rispetto ai fatti costitutivi dell’illecito deve essere vagliata tenendo conto che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01, confermata, in parte qua, da Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 – 01, in motivazione).
2.2. In particolare, come hanno congruamente osservato le decisioni di merito, la modifica contrattuale del 1° aprile 2014 deve essere considerata peggiorativa per la società RAGIONE_SOCIALE, atteso che, rispetto alla precedente formulazione della clausola medesima, non va ad effettuare meri miglioramenti di carattere letterale.
In particolare, così come ha evidenziato, in forza di ragionamento non manifestamente illogico che si sottrae a qualsivoglia sindacato in questa sede di
legittimità, già la sentenza di primo grado, le modifiche peggiorative per la RAGIONE_SOCIALE si compendiano:
nella previsione che solo i contratti sottoscritti o interamente negoziati alla data della scadenza del contratto di management potevano essere considerati oggetto dello stesso e non già, in maniera più ampia, come prevedeva in origine la clausola 7.3., tutti i compensi che sarebbero maturati in forza di attività programmate prima della scadenza del contratto;
nell’ulteriore previsione che il diritto della società alla percezione di una quota sui compensi degli artisti sarebbe derivato solo per le somme incassate entro il periodo di vigenza del contratto.
2.3. Quanto alla sussistenza di un interesse del COGNOME in conflitto con quello della società RAGIONE_SOCIALE, esso è stato individuato nei giudizi di merito, anche sotto tale profilo con motivazione adeguata, nella circostanza che avendo egli stipulato, nello stesso periodo, un successivo contratto di management tra la società RAGIONE_SOCIALE, che gli era interamente riconducibile, e gli artisti del gruppo “RAGIONE_SOCIALE“, la stipula di tale contratto gli avrebbe comunque fatto percepire, anche nell’ipotesi in cui il contratto con la RAGIONE_SOCIALE avesse avuto termine alla scadenza del settembre 2015, le somme incassate dagli artisti anche per contratti stipulati in precedenza ove i concerti o le altre attività correlate fossero stati in concreto effettuati dopo tale data. E ciò per effetto della più volte richiamata modifica del § 7.3. dell’originario contratto di management.
Il che attesta che la stipula del contratto in favore della propria società RAGIONE_SOCIALE con gli artisti del gruppo “Il RAGIONE_SOCIALE” da parte del COGNOME abbia costituito un atto concretante un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra l’amministratore agente e la società (Sez. 2, n. 55412 del 30/10/2018, Rossi, Rv. 274253 – 01).
2.4. Dacché si apprezza agevolmente l’adeguatezza, specie in punto di non evidente estraneità della condotta del ricorrente al danno patito dalla RAGIONE_SOCIALE in forza dei principi enucleabili dalle pronunce “COGNOME” e “COGNOME“, anche della motivazione delle decisioni di merito in ordine alla sussistenza di un conseguente danno alle ragioni della RAGIONE_SOCIALE, danno che si sarebbe verificato anche se il contratto fosse venuto a scadenza al termine “naturale”, ossia in assenza del recesso della liquidatrice.
Con riferimento al terzo motivo, giova ricordare che, in tema di infedeltà patrimoniale, il dolo del delitto si configura sotto la duplice forma di
dolo specifico, riferito alla finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profit o altro vantaggio, anche di natura non patrimoniale, e di dolo intenzionale, riferito alla volontà e rappresentazione di un danno patrimoniale alla società quale conseguenza diretta dell’azione od omissione (Sez. 5, n. 1160 del 28/11/2023, dep. 2024, Marinelli, Rv. 285880 – 01).
Premesso ancora una volta che la sentenza impugnata si è limitata a vagliare che non emergessero con evidenza, stante la prescrizione del reato, i presupposti per l’assoluzione del ricorrente nel merito, le argomentazioni spese dalle decisioni rese nei precedenti gradi di giudizio per ritenere integrato anche l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 2634 cod. civ. palesano la loro assoluta congruità, con conseguente insindacabilità in questa sede di legittimità.
Più in particolare, vi è infatti che, quanto al dolo intenzionale, la Corte d’Appello ha posto in rilievo, con motivazione adeguata, che esso deriva dalla circostanza che il COGNOME è un soggetto molto esperto nel settore e, quindi, comprendeva pienamente la portata delle nuove clausole negoziali e il danno che l’atto dispositivo, costituito dalla modifica negoziale avrebbe arrecato alla società.
Con riferimento al dolo specifico, di poi, a pag. 9, la decisione impugnata ha posto in rilievo che la valutazione complessiva delle condotte del ricorrente ne ha palesato l’intenzione di danneggiare la RAGIONE_SOCIALE (e la parte civile, quale altro socio della stessa) per poter beneficiare integralmente degli utili del nuovo contratto con la società RAGIONE_SOCIALE, essendo peraltro inverosimile, rispetto alle condotte decettive nei confronti della liquidatrice, che il COGNOME non conoscesse in dettaglio i termini degli accordi programmati con RAGIONE_SOCIALE ed Ethiad e non potesse così riferirne in dettaglio alla liquidatrice.
4. Il quinto motivo di ricorso è fondato.
In effetti, la richiesta di costituzione di parte civile di NOME COGNOME sia per il danno patrimoniale che per quello non patrimoniale è stata accolta limitatamente al danno all’immagine dall’ordinanza resa dal giudice di primo grado in data 22 ottobre 2020.
E se è vero che la medesima decisione del Tribunale, pur escludendo un danno all’immagine del COGNOME, ha ritenuto di poter liquidare allo stesso, a titolo di danno non patrimoniale per il pretium doloris derivante dalla compromissione di quello che per la parte civile era un importante progetto professionale ed economico, una somma non inferiore ad euro 20.000, con il sesto motivo di appello il COGNOME aveva contestato in maniera specifica tale decisione, ritenendo illegittima, in sostanza, la liquidazione di detto pregiudizio, non riconducibile a quello all’immagine per il quale era stata ammessa la parte civile.
Sennonché la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su tale specifica doglianza.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente a tale aspetto e, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., la decisione sul punto va rimessa al giudice competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al danno e rinvia al giudice competente per valore in grado di appello. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2024
Il Consigliere Estensore
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