Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28133 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28133 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATTIVISSIMO NOME nato a Catanzaro il 02/03/1974
avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata udito l’Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per le parti civili, che ha depositato conclusioni scritte, alle quali si è riportato, unitamente alla nota spese, insistendo per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Udito l’Avv. CONCETTO NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che si è riportato ai motivi di ricorso, insistendo per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza oggi al vaglio di questa Corte è stata deliberata il 14 novembre 2024 dalla Corte di appello di Milano, che ha riformato concedendo il beneficio della non menzione la decisione del Tribunale di Milano che aveva
condannato, anche agli effetti civili, NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 2634 cod. civ. ai danni della società RAGIONE_SOCIALE
Secondo le sentenze di merito, i fatti si inquadrano nell’ambito delle vicende che hanno riguardato la società nazionale di mutuo soccorso NOME COGNOME, un ente senza scopo di lucro che offre prestazioni assistenziali, e, per quanto interessa in questa sede, la controllata RAGIONE_SOCIALE sce, a danno delle quali sono state accertate ripetute condotte spoliative attuate, tra gli altri, da NOME COGNOME procuratore della NOME COGNOME, co-direttore generale e procuratore della società RAGIONE_SOCIALE dal 18 aprile 2019 al 27 gennaio 2020.
In questo stesso procedimento, NOME COGNOME ha concordato la pena in appello ex art. 599bis cod. proc. pen., dopo essere stato condannato in primo grado per associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione, alla distrazione e allo sviamento delle risorse della NOME COGNOME e della controllata Fondo salute RAGIONE_SOCIALE, oltre che per ripetute appropriazioni indebite ai danni delle due società, attuate anche mediante l’abusivo utilizzo delle carte di credito degli enti per spese personali.
Per quel che concerne l’odierno ricorrente, NOME è stato ritenuto responsabile, quale procuratore speciale e direttore generale di Fondo salute sce, di avere stipulato due atti di transazione in conflitto di interessi, rispettivamente con NOME COGNOMEdirettore generale del Fondo salute sce dal 2014 al dicembre 2019) il 3 settembre 2020 e con NOME COGNOME l’8 settembre 2020, transazioni con cui il Fondo rinunziava a qualsivoglia azione restitutoria e risarcitoria nei loro confronti in ordine ad eventuali spese sostenute con i fondi della società e ritenute indebite e/o ingiustificate, anche se integranti comportamenti penalmente rilevanti.
Tali condotte sono state ritenute realizzate da COGNOME in conflitto di interessi con la Fondo salute perché si è ritenuto che l’imputato conoscesse le condotte predatorie di NOME e COGNOME ai danni della società ed avesse sottoscritto le transazioni al preciso scopo di porli al riparo dalle conseguenze della propria condotta, causando così un danno alla società rappresentata.
Attivissimo ha presentato ricorso con il ministero del proprio difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta tempestività della querela presentata dai vertici societari di Fondo salute il 2 luglio 2021.
Dopo aver riepilogato le ragioni per cui la Corte di appello ha stimato tempestiva la querela, il ricorrente obietta che, al contrario, il dies a quo dal
quale computare il termine di legge non sarebbe quello individuato dai Giudici di merito, ma la data stessa delle due transazioni, cioè il 3 e l’8 settembre 2020.
Diversi dati, emersi nel corso del processo, contraddirebbero la tesi della Corte territoriale secondo cui era stato solo con la discovery conseguente all’avviso di conclusione delle indagini preliminari che i vertici della Fondo salute avevano appreso delle condotte di Roger e Matera.
In primo luogo, i vertici della società già avevano presentato querela nei confronti dei predetti il 6 dicembre 2019 ed i fatti, nella loro oggettività, erano stati in seguito oggetto di specifici approfondimenti il 30 gennaio 2020 da parte dei difensori, che avevano prodotto gli estratti conto delle carte di credito con l’indicazione specifica delle ragioni per cui gli utilizzi erano illeciti.
In secondo luogo, l’imputato aveva informato già il 9 settembre 2020 il presidente di Fondo salute, NOME COGNOME della transazione con NOME COGNOME con una mail nel cui testo c’era scritto che il contenuto della scrittura era stato concordato da COGNOME stesso e NOME; analoga informazione era stata data da NOME a Magnant il successivo 21 settembre quanto alla transazione con Matera, che era stata inviata a Magnant, su sua richiesta, il successivo 23 settembre. Le due transazioni erano state anche inviate il 14 gennaio 2021 al liquidatore NOME COGNOME uno dei firmatari della querela
A fronte di questi elementi assume il ricorrente la Corte distrettuale non chiarisce quale informazione ulteriore abbiano fornito la discovery avvenuta dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il report della società di revisione.
Citando giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente sostiene infine che, quando la persona offesa debba compiere accertamenti al fine di acquisire la consapevolezza dell’illiceità del comportamento denunziato, questi devono essere limitati al tempo strettamente necessario per compierli.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della necessaria qualifica soggettiva in capo al ricorrente. Dopo aver riepilogato, anche in quest’occasione, la posizione assunta dalla Corte territoriale sul punto, il ricorso annota che la fattispecie per cui si procede è reato proprio degli amministratori, dei direttori generali e dei liquidatori ossia categorie non riferibili alla qualifica rivestita da NOME COGNOME che era solo un direttore tecnico. Il Collegio di appello è andato di contrario avviso, adottando un’interpretazione estensiva dei poteri attribuiti al ricorrente, senza mai contestualizzare la sua posizione all’interno della gerarchia della società e senza avvedersi che, come risulta dalla testimonianza significativa della signora COGNOME egli aveva un ruolo subordinato rispetto ai vertici societari e tale ruolo gli imponeva di confrontarsi
costantemente con essi. Per sostenere che egli non fosse qualcosa di più di un mero direttore tecnico, il ricorrente assume che non si può relegare a mera indicazione formale la rubrica del quarto paragrafo del verbale del consiglio di amministrazione del 19 dicembre 2019 (in occasione del quale l’imputato era stato nominato, n.d.e.), trattandosi di una parte essenziale della deliberazione, che deve essere letta insieme ai poteri ivi indicati. La deliberazione circa la cessazione della carica di direttori generali di NOME e NOME, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, non significa che si fossero espansi i poteri di ricorrente, atteso che entrambi continuavano a rivestire un ruolo apicale nella società. Quanto ai poteri concretamente conferiti all’imputato, il ricorso rimarca che si trattava solo di quelli di ordinaria amministrazione, mentre il verbale del consiglio di amministrazione del 19 settembre 2019 evidenziava come al presidente e il vicepresidente fossero stati attribuiti i compiti di straordinaria amministrazione, tra cui veniva indicato anche quello di stipulare i contratti con impegni di spesa per importi non superiori a 50.000 €, oltre i quali era necessaria la ratifica dell’intero Consiglio di amministrazione. Ciò posto, osserva il ricorrente che se addirittura presidente e vicepresidente del Consiglio di amministrazione dovevano invocare la ratifica di quest’ultimo per gli atti con importi di spesa superiori a 50.000 €, sarebbe evidente che l’imputato non potesse impegnare la Fondo salute per importi superiori a quella cifra. All’imputato era stata solo conferita una procura speciale limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione per importi entro i 50.000 euro, mentre sarebbe pacifico che il ricorrente non avesse la possibilità di compiere atti di straordinaria amministrazione, tra cui rientrano pacificamente la transazione novativa che vi era stata e il diritto di querela. Quanto alla possibilità che NOME fosse un direttore generale ‘di fatto’, il ricorrente cita e riporta testualmente un passaggio di un contributo dottrinario e assume che la portata dell’equiparazione tra la figura dell’amministratore di fatto e il direttore generale di fatto non sarebbe sostenibile in ragione del difetto di una nozione normativa che valga a definire le mansioni della seconda figura. Anche a voler prescindere da questo primo ostacolo, il ricorso sottolinea nuovamente che NOME non aveva mai svolto funzioni di direttore generale, ossia funzioni di alta gestione e decisionali nell’amministrazione, anche prive di rilevanza esterna, con posizione di preminenza, di direzione e di vigilanza sugli uffici e sui servizi dell’impresa.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla insussistenza del paventato conflitto di interessi e del danno per la Fondo salute.
Dopo aver ripercorso anche in questo caso le argomentazioni della Corte distrettuale, il ricorrente assume che la sua invocata soggezione alle indicazioni
di Matera sarebbe espressione non di un conflitto di interessi ma della struttura gerarchica della società nonché dell’assenza di un’autonomia decisionale in capo all’imputato, in linea con il ruolo di direttore tecnico. Il ricorrente sottolinea che nell’atto di appello erano state puntualmente indicate le dinamiche che avevano condotto alla stipula dei due atti di transazione, argomentazioni che la Corte territoriale ha trascurato. Con particolare riferimento agli elementi che dimostrerebbero che Attivissimo aveva agito non in conflitto di interesse con la società ma nella convinzione che quelle transazioni fossero l’effetto di un previo accordo fra gli ex direttori generali e i vertici della società, il ricorrente ricorda il testo della mail con cui il 9 settembre 2020 aveva inoltrato a NOME COGNOME l’atto di transazione stipulato con NOME, ove si affermava espressamente: « Buongiorno NOME a seguito di quanto concordato da te con NOME » . La Corte d’appello avrebbe trascurato il tema dell’accordo che era alla base delle transazioni fra gli ex direttori generali e il presidente del Fondo salute, il quale peraltro non aveva indirizzato al ricorrente alcuna smentita una volta ricevuta la suddetta missiva. Osserva altresì il ricorrente che, se non vi fosse stato questo previo accordo di NOME e Matera con i vertici aziendali, l’imputato non avrebbe inviato la mail oppure, alla ricezione di quest’ultima, sarebbe conseguita una risposta illustrativa delle ragioni che rendevano la soluzione adottata incompatibile con l’interesse della società. D’altra parte prosegue il ricorso non era l’imputato, ma altre figure interne alla società, ad avere il compito di controllare l’utilizzo delle carte di credito aziendali, utilizzo del quale egli non era edotto.
Il ricorso affronta poi il tema della mancanza di danno per la società, sostenendo che le transazioni non ne avevano prodotti in quanto erano state sottoscritte da un soggetto come Attivissimo che non aveva il potere di siglare una transazione novativa per conto della Fondo salute. Tanto le due rinunce erano inefficaci e nulle, che non erano mai state fatte valere da NOME e NOME e la società aveva agito contro di loro sia in sede penale che in sede civile.
2.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione circa il coefficiente soggettivo, ribadendo la tesi secondo cui l’invio della mail a NOME COGNOME dopo la sottoscrizione della transazione con NOME e la mancata obiezione da parte del destinatario testimonierebbero l’assoluta buonafede dell’imputato, che era convinto di avere contribuito ad attuare le decisioni dei vertici societari. L’ulteriore dimostrazione della buona fede di Attivissimo proverrebbe dal fatto che questi aveva poi inviato i due atti ad NOME COGNOME il 14 gennaio 2021.
Il motivo si conclude con l’osservazione secondo cui gli atti di transazione avevano un contenuto talmente complesso che sicuramente erano stati
predisposti da qualcuno che aveva ricevuto indicazioni precise finalizzate a trovare un accordo che, evidentemente, in quel momento era ritenuto percorribile.
2.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego del proscioglimento per speciale tenuità del fatto. La ritenuta di gravità del reato assunta a ragione del diniego dalla Corte territoriale sarebbe smentita dal fatto che:
non è derivato alcun danno patrimoniale per la Fondo salute;
NOME era in una condizione di sudditanza psicologica legata a legami parentali:
le modalità attraverso cui erano state concluse le transazioni lo avevano privato della possibilità di riflettere sulle implicazioni possibili per Fondo salute;
la sua condotta era stata avallata dai vertici della società.
L’atto era stato al più frutto di un peccato di superficialità che aveva avuto conseguenze devastanti per l’imputato, che era stato licenziato; ciò nonostante, egli aveva comunque cercato di risarcire il danno, incontrando però un rifiuto immotivato al termine dell’istruttoria dibattimentale.
2.6. Il sesto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’erronea applicazione del principio di solidarietà con i coimputati Matera e Messineo nella condanna al risarcimento del danno, che sarebbe in contraddizione con la precisazione che la condanna è avvenuta con riferimento ai reati a ciascuno ascritti, precisazione inserita dalla Corte d’appello. In ogni caso, nella fattispecie difetta il presupposto del risarcimento del danno perché non vi era stato alcun pregiudizio per Fondo salute causalmente derivante dalle condotte contestate al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato, il che impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Non è fondato il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta tempestività della querela presentata dai vertici societari di Fondo salute il 2 luglio 2021.
1.1. A questo riguardo, l’imputato sostiene che la conoscenza, in capo ai querelanti, del fatto illecito risaliva al momento in cui i vertici della società avevano sporto querela per le appropriazioni a danno di quest’ultima, ossia il 6 dicembre 2019, o, al più, alla data delle transazioni ovvero al 9 e al 23 settembre 2020, allorché Attivissimo aveva informato il Presidente del consiglio
di amministrazione NOME COGNOME delle transazioni sottoscritte, rispettivamente, con NOME COGNOME e con NOME COGNOME
La Corte distrettuale ha respinto la doglianza formulata nell’atto di appello, affermando che la conoscenza effettiva della matrice fraudolenta delle transazioni e delle condotte addebitabili al ricorrente si era avuta solo con la discovery legata all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nel procedimento contro NOME e Matera e con il report della società di revisione.
1.2. Tanto premesso, per dare risposta alla censura sulla tardività della querela, occorre innanzitutto sgomberare il campo da un equivoco di fondo, che pare caratterizzare in parte qua il ricorso, vale a dire quello circa l’oggetto della conoscenza rilevante per individuare il dies a quo dal quale computare il termine di tre mesi per la presentazione della querela. La conoscenza, in capo alla persona offesa, a cui dare rilievo quale data iniziale del termine di legge per sporgere querela nei confronti di Attivissimo non è, infatti, quella riguardante le condotte illecite di NOME e Matera, ma quella concernente l’infedeltà patrimoniale ravvisata nella stipula delle transazioni da parte dell’imputato; infedeltà di cui i firmatari della querela avevano appreso solo dopo avere letto i risultati delle intercettazioni a seguito dell’emissione dell’avviso ex art. 415bis cod. proc. pen. nel procedimento principale ed avere maturato la convinzione circa la volontà di Attivissimo di fornire copertura alle condotte depauperative di NOME e Matera e la nocività delle transazioni per le ragioni della Fondo salute. E’ solo in quel momento, infatti, che avevano preso forma, nel patrimonio di conoscenza dell’avente diritto, i contorni della condotta illecita di Attivissimo a danno della società. Ne consegue che è irrilevante che i nuovi vertici societari avessero già denunziato le condotte appropriative di Matera e NOME nel dicembre 2019 o che sapessero delle transazioni, mentre rileva che essi avessero appreso della reale volontà di NOME solo dopo aver conosciuto l’oggetto dei colloqui monitorati e che, quindi, solo dopo tale momento e dopo la lettura della relazione della società di revisione, essi avessero maturato il convincimento che l’imputato avesse agito in conflitto di interessi con la Fondo salute a tutto vantaggio degli autori delle appropriazioni. Questa conclusione é coerente con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (Sez. 2, n. 37584 del 05/07/2019, COGNOME, Rv. 277081 – 01), conoscenza che può essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi, liberamente determinarsi (Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 261018 01).
Il riferimento alle intercettazioni impone, tuttavia, un’altra precisazione: il Collegio è consapevole che le captazioni eseguite sono state dichiarate inutilizzabili in relazione al reato di cui all’art. 2634 cod. civ. fin dal giudizio di primo grado, ma tanto non rileva con riferimento al giudizio di tempestività della querela. Valorizzare le intercettazioni quali fonti di conoscenza, per la persona offesa, della caratterizzazione illecita della condotta di Attivissimo non significa, infatti, forzare il divieto di utilizzazione delle captazioni, che non sono chiamate in causa quali componenti della piattaforma probatoria da cui sono definitivamente escluse ma quali fonti di informazione per chi, come i nuovi vertici della Fondo salute, ne aveva legittimamente preso contezza dopo la discovery ed aveva potuto trarne le conclusioni in termini di coinvolgimento di NOME.
1.3. Tanto premesso, il ricorrente pare non cogliere la ratio delle argomentazioni adoperate dalla Corte territoriale per respingere l’eccezione di improcedibilità per tardività della querela e non vi oppone confutazioni efficaci, insistendo sulla risalente conoscenza delle condotte appropriative di Matera e Roger. Si tratta di un’impostazione che tradisce un difetto di confronto con la decisione avversata e costituisce un grave limite del ricorso, tanto più che è principio acquisito, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui la prova della intempestività della querela è a carico di chi la deduce (Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272170 – 01) e l’eventuale situazione di incertezza deve essere risolta a favore del querelante (Sez. 2, n. 48027 del 18/10/2022, COGNOME, Rv. 284168 – 01).
I motivi successivi al primo affrontano dettagliatamente una serie di aspetti dell’addebito formulato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, dalla qualifica soggettiva alla sussistenza dell’interesse in conflitto, al danno per la società e, infine, al dolo della fattispecie.
Prima di esaminare partitamente le censure e fatto salvo l’approfondimento successivo di specifici, ulteriori aspetti della fattispecie, va richiamata una schematizzazione ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, per la sussistenza del reato di cui all’art. 2634 cod. civ., occorrono: a) la ricorrenza, in capo all’autore del fatto, di un interesse in conflitto con quello della società; b) la “deliberazione” di un “atto di disposizione” di beni sociali; c) un evento di danno patrimoniale intenzionalmente cagionato alla società amministrata; d) il fine specifico – in capo all’agente – di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio (Sez. 5, n. 40446 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 277430 – 01; Sez. 5, n. 37932 del 12/05/2017, COGNOME, Rv. 270613 – 01).
Ebbene, venendo al primo argomento critico in punto di responsabilità coltivato nel ricorso, è opinione del Collegio che la sentenza impugnata sfugga alle censure che riguardano il riconoscimento della qualifica soggettiva in capo al ricorrente, qualifica necessaria per ritenerlo destinatario della norma di cui all’art. 2634 cod. civ., in ragione della natura di reato proprio della fattispecie, addebitabile solo a coloro che rivestano la qualifica di amministratore, liquidatore e direttore generale (tra le altre, Sez. 1, n. 30546 del 24/06/2004, Bisignani, Rv. 229801 – 01). Più precisamente, nell’impugnativa si legge che NOME non è mai stato direttore generale della Fondo salute, ma che, nel corso del consiglio di amministrazione del 19 dicembre 2019, gli era stato conferito solo l’incarico di direttore tecnico, come sarebbe attestato dalla rubrica del quarto paragrafo del verbale del consiglio di amministrazione del 19 dicembre 2019.
L’argomento critico non coglie nel segno perché la sentenza impugnata con motivazione immune da vizi logici e con un ragionamento corretto in diritto fronteggia la corrispondente censura dell’atto di appello sia riguardando la qualifica formalmente rivestita da Attivissimo nella società, sia le funzioni di fatto svolte. A quest’ultimo riguardo, la Corte territoriale ha opportunamente fatto riferimento alla norma di cui all’art. 2639 cod. civ., secondo cui « Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione » . In altri termini, le osservazioni della Corte di appello si sono mosse in varie direzioni: esse sono valse sia a ritenere che NOME fosse stato formalmente nominato direttore generale (smentendo la nomina come mero direttore tecnico), sia a trarre anche abduttivamente, dalle funzioni attribuite e svolte, la dimostrazione che la nomina fosse stata effettivamente a direttore generale sia, infine, a sostenere che, a prescindere dalla conformazione dell’incarico ufficialmente conferitogli, le funzioni di fatto svolte ne facevano una figura che, grazie all’assimilazione di cui all’art. 2639 cod. proc. pen., rientrava comunque tra i possibili autori del reato proprio.
Più precisamente, quanto al profilo squisitamente formale, la Corte distrettuale ha svalutato l’indicazione contenuta nel solo ordine del giorno della seduta del consiglio di amministrazione del 19 dicembre 2019 ove sembrerebbe fosse scritto ‘direttore tecnico’ attribuendo rilievo, al contrario, al verbale del consiglio e alla visura camerale, ove NOME era indicato semplicemente come direttore, nonché alle testimonianze che lo indicavano come direttore amministrativo e all’avvicendamento proprio con COGNOME e NOMECOGNOME che segnava un possibile passaggio di testimone nell’investitura.
Circa le funzioni concretamente svolte sintomatiche sia della reale natura dell’incarico conferitogli, sia, comunque, della possibilità di equiparazione ex art. 2639 cod. civ. la decisione avversata ne riporta l’elencazione e ne sottolinea l’ampiezza, obiettivamente verificabile da una semplice lettura, che rende ragione della ritenuta qualifica soggettiva in capo al ricorrente, tanto più che, pur nell’assenza nel compendio normativo di riferimento di una compiuta definizione della qualifica di direttore generale, i poteri indicati nel verbale del consiglio di amministrazione appaiono certamente più che consoni ad un organo che è responsabile della gestione operativa quotidiana dell’azienda e dell’attuazione delle strategie definite dall’organo amministrativo.
Quanto al tema dei limiti di spesa rinvenienti dalla procura speciale conferita all’imputato, il ricorso insiste sul fatto che Attivissimo non potesse stipulare contratti che impegnassero la Fondo salute per oltre 50.000 euro, ma non si comprende quale sia l’obiettivo di questa notazione critica e come essa valga a smentire che egli fosse il direttore generale della società ovvero una figura che svolgeva, di fatto, tali funzioni. Tanto più che, come pure rimarcato dalla Corte di merito, proprio la sottoscrizione delle transazioni ‘incriminate’ per conto della società, senza alcuna autorizzazione preventiva o ratifica successiva del consiglio di amministrazione né alcuna reazione da parte di NOME COGNOME dopo le comunicazioni inviategli, scredita empiricamente la tesi difensiva circa i compiti meramente operativi o circoscritti di Attivissimo e costituisce la dimostrazione concreta che questi fosse legittimato a stipulare quegli atti e se ne inferisce ulteriormente che avesse un ruolo decisamente più ampio di quello di un mero direttore ‘tecnico’, con la possibilità di rappresentare e di impegnare la Fondo salute verso l’esterno.
Il terzo e il quarto motivo di ricorso vanno trattati unitariamente perché riguardanti temi strettamente connessi, segnatamente il conflitto di interessi, il danno per la società e il dolo della fattispecie.
3.1. Sul danno.
Il ricorrente sostiene che le transazioni non avrebbero cagionato alcun danno alla Fondo salute in quanto erano state sottoscritte da un soggetto che non aveva il potere di siglare una transazione novativa per conto della società; a sostegno di questo assunto, il ricorrente evidenzia che le due rinunce non erano mai state fatte valere da NOME e NOME e che la società aveva agito contro di loro sia in sede penale che in sede civile.
Quanto al primo aspetto, le considerazioni già svolte circa il ruolo formalmente e concretamente rivestito dall’imputato all’interno della Fondo salute e l’assenza di indicatori concreti che lasciassero ritenere che il ricorrente
non avesse il potere di concludere le transazioni inducono a ritenere adeguatamente strutturate le proposizioni della sentenza avversata tese ad escludere la fondatezza della tesi difensiva circa l’inefficacia delle transazioni e la conseguente mancanza di un danno per la società.
Inefficacia che, peraltro, quand’anche fosse astrattamente ipotizzabile, non darebbe luogo ad alcun automatismo in termini di caducazione degli atti e, comunque, non escluderebbe un danno per la società; al contrario, siccome legata alla pretesa riconduzione all’agire di un falsus procurator, avrebbe dovuto essere opposta dalla Fondo salute alle controparti ed avrebbe potuto comportare la necessità di un accertamento giudiziale teso a verificare innanzitutto l’effettiva carenza del potere di rappresentanza e, in caso positivo, la buona fede del terzo circa l’esistenza di tali poteri e l’assenza di un comportamento colposo della società falsamente rappresentata tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza fosse stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (Cass. civ. Sez. 1, Ordinanza n. 27349 del 26/09/2023, Rv. 669133 – 01; Cass. civ. Sez. 2, n. 2725 del 08/02/2007, Rv. 595521 – 01).
Né può convenirsi con il ricorrente sul fatto che non vi era stato alcun danno effettivo per la società benché egli avesse sottoscritto un atto con cui la RAGIONE_SOCIALE rinunziava a proprie legittime pretese perché le transazioni non erano mai state opposte da Matera e Roger alla Fondo salute. Si tratta, invero, di un fatto meramente accidentale e successivo al concretizzarsi dell’atto dannoso, derivante da una scelta delle controparti (non si sa quanto influenzata dalla conoscenza delle investigazioni in corso), ma che non neutralizza retrospettivamente il danno che dalle transazioni medesime era derivato fin dal momento della sottoscrizione, con cui la società rinunziava ad un proprio diritto di credito.
3.2. Sul conflitto di interessi e sul coefficiente soggettivo
Il ricorso coglie nel segno, invece, quando dubita della tenuta della sentenza impugnata sul tema del conflitto di interessi e del coefficiente soggettivo in capo al ricorrente.
Avuto riguardo al primo aspetto, il Collegio ricorda che, ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale, è necessario un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra chi agisce e la società, a causa del quale il primo, nell’operazione economica che deve essere deliberata, si trova in una posizione antitetica rispetto a quella dell’ente (Sez. 2, n. 55412 del 30/10/2018, Rossi, Rv. 274253 – 01). Tale conflitto deve esistere prima del compimento dell’atto e non deve concretizzarsi solo con quest’ultimo (Sez. 5, COGNOME, cit., in motivazione; Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012, dep.
2013, COGNOME, Rv. 254312 – 01; Sez. 2, n. 40921 del 26/10/2005, Francis, Rv. 232525 – 01).
Ciò premesso, nel caso oggi al vaglio del Collegio, il costrutto accusatorio validato dai Giudici di merito ravvisa il conflitto tra l’agire di Attivissimo e gli interessi della società nel fatto che l’imputato, firmando le due transazioni, aveva agito ad esclusivo favore dei terzi NOME e NOME e non già a beneficio della Fondo salute, in quanto li aveva liberati da ogni obbligo nei confronti della società, pur avendo i predetti sottratto dalle casse sociali rilevanti somme di denaro, distraendole a proprio favore, sottrazione di cui l’imputato era a conoscenza e a copertura della quale aveva volontariamente operato.
Il vaglio, in parte qua , circa la correttezza in diritto e la coerenza motivazionale della decisione avversata sul conflitto di interessi deve affrontare due temi, quello della configurabilità, in un caso come quello sub iudice , del conflitto di interessi come inteso dal legislatore e quello, nel concreto, della tenuta argomentativa del ragionamento che ha condotto la Corte di appello a confermare il giudizio di responsabilità di Attivissimo sotto questo profilo; lo scrutinio circa la solidità della motivazione dei Giudici di appello sul tema dell’interesse in conflitto si presenta strettamente connesso a quello del coefficiente soggettivo alla base della condotta del prevenuto, il che impone un esame consequenziale anche delle censure concernenti il dolo del reato.
3.1.1. Quanto alla costruzione in diritto dell’addebito, l’interrogativo cui questa Corte deve dare innanzitutto risposta benché non oggetto di una specifica doglianza del ricorrente, ma necessario per verificare la correttezza della qualificazione giuridica attiene alla possibilità di ritenere che il reato di infedeltà patrimoniale sussista anche quando l’autore dell’infedeltà persegua non già un interesse personale, ma quello di un terzo. Ebbene, il Collegio ritiene che la risposta a tale quesito debba essere affermativa perché a tanto conduce l’analisi letterale della norma, secondo la quale « Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni » . Se è vero, infatti, che l’interesse viene indicato dal legislatore come facente capo al solo soggetto agente, senza la previsione testuale della possibilità che esso si riferisca anche o solo ad un soggetto diverso, l’indicazione del coefficiente soggettivo come dolo specifico di procurare un ingiusto profitto non solo a se stesso, ma anche ad altri, induce a ritenere penalmente rilevante anche il perseguimento di un interesse non personale dell’autore del fatto. In altri termini, se il profitto ingiusto avuto di
mira dal soggetto agente può riguardare anche solo un terzo, se ne inferisce che l’interesse in conflitto egualmente può attenere anche solo a quest’ultimo, naturalmente nella misura in cui l’autore della condotta sappia della contrapposizione di interessi tra il terzo e la società rappresentata e, ciò nonostante, agisca, con la precisa volontà di favorire l’estraneo a discapito dell’aggregato in nome e per conto del quale compie l’atto.
Confortano questa esegesi gli accenni che si colgono nelle motivazioni di Sez. 2, n. 55412 del 30/10/2018, COGNOME, Rv. 274253 – 01 che, sia pur non affrontando ex professo il tema specifico oggetto dell’odierna riflessione, specificano che l’interesse in conflitto può consistere in « un vantaggio soggettivo che può essere diretto, ossia per conto proprio, ovvero indiretto per conto di terzi favoriti » (a naloghi riferimenti si leggono nelle motivazioni di Sez. F, n. 40136 del 04/08/2011, COGNOME, Rv. 251197 – 01 e di Sez. 2, Francis, cit.).
D’altronde una conferma indiretta della possibilità che l’interesse in conflitto non faccia capo all’autore del fatto, ma che esso possa riferirsi anche ad altra entità, si ricava dalla norma del terzo comma dell’art. 2634 cod. civ. sui vantaggi compensativi, secondo cui « In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo » . Ed invero la precisazione che il profitto non è ingiusto e che, quindi, il reato non è configurabile quando alla società direttamente interessata pervenga un vantaggio indiretto legato alla sua appartenenza ad un gruppo societario, presuppone, appunto, come necessario antecedente logico-giuridico, che il reato possa essere integrato anche quando il suo autore non persegua un interesse proprio, ma quello di un altro soggetto giuridico che, a prescindere dalle eventuali cointeressenze o dall’eventuale ruolo che possa rivestire l’autore dell’atto infedele nella realtà imprenditoriale favorita, costituisce comunque un’entità distinta dalla persona fisica che agisce.
In conclusione, dunque, il Collegio ritiene che l’art. 2634 cod. civ. punisca anche chi compia l’atto di infedeltà patrimoniale non nell’interesse proprio, ma nell’interesse di un terzo e che, quindi, la qualificazione giuridica del fatto sia corretta.
3.2.2 A determinazioni diverse il Collegio è giunto per quanto concerne la motivazione della decisione avversata a proposito della completezza e della tenuta logica del ragionamento probatorio circa la sussistenza, in concreto, del conflitto di interessi e del coefficiente soggettivo.
A questo riguardo è essenziale sottolineare preliminarmente che al netto della loro menzione a proposito della tempestività della querela (cfr. supra § 1) la Corte territoriale, nel vagliare la colpevolezza di NOME, non ha
potuto fare riferimento al contenuto delle intercettazioni dei colloqui intrattenuti da quest’ultimo, siccome dichiarate inutilizzabili già dal primo Giudice, in quanto non rientranti nella previsione di cui all’art. 270 cod. proc. pen. (cfr. pagg. 7 e segg. della sentenza di primo grado). Di qui la neutralità, in termini probatori, degli accenni della Corte distrettuale al contributo ideativo fornito da NOME ai brogli di Matera e Roger come emersi dalle captazioni (cfr. pag. 20 a proposito del dolo del reato), accenni che vanno quindi espunti dall’ordito argomentativo.
Si tratta, tuttavia, di enunciati marginali, perché la Corte di merito ha ragionato essenzialmente sul restante materiale probatorio a disposizione, ricavando l’esistenza di un preesistente conflitto di interessi di Attivissimo nel sottoscrivere le transazioni da una serie di dati: il rapporto di parentela con Matera, la consuetudine ad agire sempre in accordo con quest’ultimo, il compito che era stato affidato proprio al ricorrente di controllare le spese effettuate con le carte di credito della Fondo salute, il contenuto stesso delle transazioni che si riferivano proprio alle spese sostenute con i fondi della società e, infine, l’anomalia di atti in cui vi era esclusivamente una rinunzia unilaterale della società, che non ne ricavava alcuna contropartita perché nessuna pretesa era stata avanzata da NOME e Matera rispetto alla quale i medesimi avessero contestualmente abdicato.
Il tema dell’esistenza del conflitto di interessi si intreccia, poi, con quello, del coefficiente soggettivo posto nel quarto motivo di ricorso, aspetto sul quale il ricorrente insiste, evidenziando, in particolare, come la mail di invio a NOME della transazione sottoscritta con NOME facesse riferimento ad un testo concordato tra i predetti (« Buongiorno NOME, a seguito di quanto concordato da te con NOME ») e come COGNOME non avesse mai reagito alle comunicazioni di NOME, né per smentire che il testo fosse stato da lui concordato, né per disconoscere le stipule. Il che metterebbe in discussione che Attivissimo avesse agito per favorire NOME e NOME piuttosto che nella convinzione che le transazioni fossero frutto di un previo accordo tra le controparti e la nuova ‘governance’ della Fondo salute.
I giudici dell’appello hanno respinto le censure concernenti il coefficiente soggettivo neutralizzando il ruolo del nuovo presidente del consiglio di amministrazione rispetto alle transazioni, sostanzialmente assumendo che NOME COGNOME fosse inconsapevole delle appropriazioni perché la querela era stata sporta dai consiglieri amministratori, soci e dipendenti della controllante e perché la società di revisione non aveva ancora fornito i report né vi era stata la discovery conseguente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui già si è detto.
I due aspetti, come già sopra evidenziato, meritano una trattazione unitaria, posto che la rilevanza penale del perseguimento di un interesse del terzo è intimamente e imprescindibilmente connessa alla volontà dell’autore del fatto di far conseguire a quest’ultimo un ingiusto profitto, cagionando intenzionalmente un danno alla società.
Ebbene, benché le argomentazioni spese dalla Corte territoriale siano in gran parte pertinenti rispetto al tema posto nell’appello, ponendo in luce l’anomalia che caratterizzava la posizione di NOME rispetto a Matera e rispetto alle appropriazioni di cui quest’ultimo e NOME si erano macchiati, resta in ombra nella motivazione il tema del coinvolgimento dei vertici della Fondo salute e segnatamente di NOME negli accordi transattivi, argomento critico che era stato ampiamente sviluppato con l’impugnazione di merito e che riveste un ruolo nevralgico nella costruzione del dolo del reato e del conflitto di interessi. Si tratta, infatti, di comprendere la logica dell’intera operazione e di appurare quanto le transazioni siano frutto di una manovra fraudolenta attuata in autonomia da RAGIONE_SOCIALE al solo scopo di favorire Matera e Roger e di cagionare un danno alla società ovvero se e quanto questa operazione sia stata, invece, voluta dalla stessa Fondo salute, che poi se ne è doluta querelando Attivissimo e che oggi riveste la qualità di persona offesa del reato per cui si procede. Non si comprende, infatti, dalla lettura della sentenza impugnata, come si caratterizzi la posizione di COGNOME e, più in generale, dei nuovi vertici societari rispetto alla scelta di transigere con NOME e Matera; ciò in quanto il ragionamento della Corte distrettuale secondo cui COGNOME all’epoca non era in possesso delle informazioni utili per valutare l’anomalia o, comunque, l’obiettiva lesività delle rinunzie per gli interessi sociali si scontra con un dato che appare illogico svalutare riferendolo alla sola società controllante, vale a dire la già avvenuta presentazione di una querela per le appropriazioni commesse da Matera e Roger, come se non vi fosse alcun flusso informativo tra le imprese del gruppo.
Tale deficit argomentativo impedisce di comprendere se e in che termini NOME avesse voluto perseguire l’interesse di Matera e NOME con il fine di far conseguire a questi ultimi un profitto e con l’intenzione di cagionare un danno alla società ovvero se la sua decisione fosse stata il frutto di una concertazione con la nuova ‘governance’ della Fondo salute ovvero l’esecuzione di una precisa scelta già assunta dall’organo amministrativo.
Questo limite della sentenza impugnata si scontra con il dovere del giudice del merito di vagliare ogni aspetto utile a chiarire le ragioni della condotta del ricorrente, tenuto conto che la costruzione normativa della fattispecie pretende un particolare rigore nell’accertamento delle ragioni alla
base dell’atto che si ritiene infedele. Il dolo del delitto ex art. 2634 cod. civ. si configura, infatti, sotto la duplice forma di dolo specifico, riferito alla finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, anche di natura non patrimoniale, e di dolo intenzionale, riferito alla volontà e rappresentazione di un danno patrimoniale alla società quale conseguenza diretta dell’azione od omissione (Sez. 5 , n. 1160 del 28/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285880 01).
A tanto consegue la necessità di annullare con rinvio la sentenza impugnata, al fine di consentire alla Corte di appello di riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà evitare di incorrere nuovamente nel vizio rilevato, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all’ iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
L’annullamento con rinvio che si impone per le ragioni sopra esposte assorbe i motivi quinto e sesto del ricorso che riguardano, rispettivamente, il riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131bis cod. pen. e la condanna al risarcimento del danno.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Milano.
Così è deciso, 10/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME