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Infedeltà patrimoniale: dolo specifico e danno

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per infedeltà patrimoniale e bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore che aveva rinunciato a un credito della sua società. La Corte ha chiarito che, per configurare il reato, non basta un danno patrimoniale, ma è necessario provare il dolo specifico, ovvero la volontà intenzionale di danneggiare la società per procurare un ingiusto profitto a sé o ad altri. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione dell’elemento psicologico.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Infedeltà patrimoniale: non basta il danno, serve il dolo specifico

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 7354 del 2024, offre un’importante lezione sul reato di infedeltà patrimoniale. Il caso riguardava un amministratore condannato per aver rinunciato a un ingente credito della società da lui gestita, a vantaggio di un’altra società in cui deteneva interessi. La Suprema Corte, annullando la condanna, ha ribadito un principio fondamentale: per configurare tale reato, non è sufficiente provare un danno alla società, ma è cruciale dimostrare l’esistenza del dolo specifico, ossia l’intenzione mirata di danneggiare la società per ottenere un vantaggio indebito.

I Fatti del Caso

Un amministratore di una società a responsabilità limitata, successivamente fallita, veniva accusato di bancarotta fraudolenta impropria. Il fatto contestato era la rinuncia a un credito di oltre 774.000 euro che la sua società vantava nei confronti di un’altra impresa. L’aspetto cruciale era che l’amministratore era anche socio e co-amministratore della società debitrice, trovandosi quindi in una chiara situazione di conflitto di interessi.
La Corte d’Appello lo aveva condannato, riformando la sentenza di assoluzione di primo grado. Secondo i giudici di merito, la rinuncia al credito, pur essendo quest’ultimo soggetto a postergazione, aveva causato un danno patrimoniale certo alla società creditrice.

L’analisi della Cassazione e l’Infedeltà Patrimoniale

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali: l’assenza di un danno effettivo e la mancanza dell’elemento psicologico del reato. La Corte ha analizzato distintamente le due questioni.

La Questione del Danno Patrimoniale

La difesa sosteneva che la rinuncia al credito fosse un “atto neutro”. Poiché la società debitrice era in gravi difficoltà finanziarie e il credito era postergato (cioè sarebbe stato pagato solo dopo tutti gli altri creditori), esso non sarebbe mai stato incassato. Di conseguenza, la rinuncia non avrebbe causato un danno reale.
La Cassazione ha respinto questa tesi. La rinuncia a un credito è un atto abdicativo che estingue definitivamente la pretesa, causando un pregiudizio superiore a quello derivante dalla semplice postergazione. Inoltre, la capacità di una società di pagare i propri debiti non va valutata solo in base al suo patrimonio statico in un dato momento, ma anche dinamicamente, considerando la sua potenziale capacità di generare profitti futuri. Pertanto, la Corte ha concluso che la rinuncia aveva effettivamente causato un danno patrimoniale.

Il Ruolo Cruciale del Dolo Specifico nell’Infedeltà Patrimoniale

Il secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava l’elemento psicologico. Per integrare il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.), la legge richiede che l’amministratore agisca “intenzionalmente” per cagionare un danno alla società, con il fine specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
La Corte di Cassazione ha sottolineato che l’avverbio “intenzionalmente” qualifica la condotta in termini di dolo specifico. Non è sufficiente che l’amministratore si rappresenti il danno come una possibile conseguenza della sua azione (dolo eventuale) o anche come una conseguenza certa (dolo diretto), ma è necessario che il danno patrimoniale sia l’obiettivo diretto e voluto della sua condotta, orientata al conseguimento di un profitto ingiusto.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una rigorosa interpretazione letterale e sistematica dell’art. 2634 del codice civile. La giurisprudenza consolidata, richiamata nella sentenza, elenca i presupposti necessari per la configurabilità del reato:
1. Un conflitto di interessi tra amministratore e società.
2. Un atto di disposizione di beni sociali.
3. Un evento di danno patrimoniale intenzionalmente cagionato alla società.
4. Il fine specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o vantaggio.

La Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse “disallineata” con questo orientamento, poiché aveva sottovalutato la necessità che il danno costituisse il fine dell’atto dispositivo. Annullando la sentenza, ha quindi disposto un nuovo giudizio per riesaminare i fatti alla luce del corretto principio di diritto, verificando se, nel caso concreto, l’amministratore avesse agito con la precisa volontà di danneggiare la propria società.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza la tutela del patrimonio sociale, ma al contempo traccia un confine netto per la responsabilità penale degli amministratori. La condanna per infedeltà patrimoniale non può scaturire automaticamente dalla presenza di un conflitto di interessi e di un danno. È onere dell’accusa provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’amministratore abbia agito non solo con la consapevolezza di danneggiare la società, ma con il preciso e diretto intento di farlo per conseguire un fine illecito. Si tratta di una garanzia fondamentale per evitare che scelte gestionali, sebbene errate o inopportune, vengano troppo facilmente qualificate come reati.

La rinuncia a un credito postergato costituisce sempre un danno per la società?
Sì, secondo la Corte di Cassazione. La rinuncia è un atto che estingue definitivamente il diritto di credito, rappresentando un pregiudizio maggiore rispetto alla semplice postergazione, che subordina soltanto il pagamento ad altri creditori. La valutazione del danno non può basarsi solo sulla situazione patrimoniale statica della società debitrice.

Quale tipo di dolo è necessario per il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.)?
È necessario il dolo specifico. Ciò significa che non basta la consapevolezza che il proprio atto possa causare un danno (dolo eventuale o diretto), ma occorre che l’amministratore agisca con la volontà diretta e intenzionale di cagionare un danno patrimoniale alla società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna?
La Corte ha annullato la condanna perché la sentenza di appello non aveva adeguatamente valutato la sussistenza del dolo specifico. I giudici di merito si erano concentrati sul danno patrimoniale, ma non avevano provato che l’amministratore avesse agito con la specifica e diretta intenzione di danneggiare la società. Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione di questo elemento psicologico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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