Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5095 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5095 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME, nato ad Alia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA
avverso
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo rigettarsi i il decreto della Corte di appello di Palermo del 10 marzo 2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; ricorsi;
1. Con il decreto descritto in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha parzialmente confermato la confisca di prevenzione adottata ai danni dei fratelli NOME, NOME e NOME COGNOME nonché nei confronti di NOME COGNOME, caduta su diverse utilità (imprese individuali e relativi patrimoni aziendali e diverse unità immobiliari), ritenute nella disponibilità dei proposti ma intestate a soggetti terzi e in particolare, per quel che qui immediatamente interessa, a COGNOME COGNOME ( due appartamenti ubicati a Palermo presso la INDIRIZZO) e a NOME COGNOME ( l’appartamento e il box garage siti in INDIRIZZO, sempre a Palermo).
2.Hanno interposto ricorso la difesa NOME COGNOME e, muniti di rispettive procure speciali, i difensori di NOME COGNOME e NOME
Tutte e tre i ricorsi deducono l’asserita violazione del disposto di cui agli artt. 24, comma 2, e 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, per avere la Corte territoriale depositato il decreto di conferma della confisca adottata in primo grado quando era ormai perento il termine di efficacia ivi previsto una volta correttamente computate le sospensioni correlate ai diversi differimenti disposti nel corso del procedimento di appello.
3.Venendo agli ulteriori motivi di impugnazione e muovendo dal ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, va evidenziato che (con la prima doglianza prospettata) la difesa ha anche contestato la declaratoria di inammissibilità dell’appello dallo stesso interposto, disposta dalla Corte territoriale (per l’assoluta carenza di interesse prospettata avendo il proposto contrastato l’affermata sostanziale riferibilità allo stesso dei beni oggetto di confisca), senza considerare la precipua posizione del ricorrente (detenuto sottoposto al regime di cui all’art 41 bis, comma 2, legge n. 354 del 1975) e le ricadute che il giudizio di pericolosità sotteso alla misura applicata possono assumere in sede di proroga inerente al detto regime detentivo speciale.
4.La difesa di NOME COGNOME, con il primo motivo di ricorso, ha contestato il giudizio di correlazione temporale tra le acquisizioni oggetto di confisca e le condotte sintomatiche della pericolosità sociale apprezzata a sostegno della misura; ancora, ha contrastato la tenuta motivazionale del giudizio speso nel ritenere solo formale l’intestazione delle utilità alla stessa confiscate, contraddetto dalla comprovata capacità finanziaria della ricorrente, idonea a sostenere il relativo acquisto e devalutata con argomentazioni solo apparenti.
5.La difesa di COGNOME COGNOME (con il secondo motivo di ricorso) ha contestato la motivazione spesa a sostegno della ritenuta riferibilità ai fratelli COGNOME COGNOME due appartamenti, intestati al ricorrente, sottoposti a confisca, tema rispetto al quale l’argomentare della Corte territoriale sarebbe meramente apparente rispetto ai rilievi addotti con l’appello diretti a contrastare la tenut logica della ricostruzione operata dal tribunale rispetto al portato del dato indiziario ricavabile dalle dichiarazioni dei collaboranti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, comunque contraddetto dalle allegazioni difensive.
5.1. La difesa del COGNOME ha anche trasmesso motivi aggiunti con i quali ha ulteriormente dettagliato i periodi di sospensione da valorizzare nell’ottica della sopravvenuta inefficacia della confisca di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondata l’eccezione difensiva legata alla sopravvenuta inefficacia della confisca, confermata in appello quando ormai era perento il termine ultimo previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 24, comma 2, e 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011.
Da qui l’annullamento, senza rinvio, della decisione gravata limitatamente alle sole posizioni dei terzi interessati odierni ricorrenti, atteso che la pregiudizial valutazione di inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME, decretata dalla Corte del merito e attinta dal presente ricorso in termini di manifesta infondatezza della relativa censura, non consente di estendere al proposto – malgrado l’apposito motivo prospettato sul punto-, la detta inefficacia, che presupponeva, di contro, una valida instaurazione del rapporto processuale conseguenziale al gravame di merito.
Muovendo dai rilievi prospettati dai ricorsi in relazione alla rivendicata inefficacia della confisca, giova in primo luogo ribadire come, in caso di più ricorsi in appello, il termine di un anno e sei mesi previsto dal comma 5 del citato art. 27 per la tempestiva definizione del giudizio di appello, decorre dalla data di interposizione COGNOME dell’ultimo COGNOME gravame (Sez. 1, n. 13422 del 29/01/2020, Rv. 279329;Sez. 6,n. 27913 del 23/09/2020, Rv. 279681); ancora, che sempre ai fini della relativa verifica, occorre guardare alla data di deposito del decreto e non a quella dell’udienza camerale in esito alla quale COGNOME il COGNOME giudizio COGNOME è COGNOME stato COGNOME portato COGNOME in COGNOME decisione COGNOME (Sez. 1, n. 21740 del 07/03/2019, Rv. 276315).
2.1.Non è, poi, superfluo precisare che, secondo logica comune, le proroghe di durata e le sospensioni di decorrenza del termine di efficacia della confisca assentite dai periodi successivi al primo del comma 2 dell’art. 24 del codice
antimafia-, presuppongono che le deliberazioni in tal senso assunte (per le proroghe) e le casuali atte a giustificarle (per le sospensioni) siano intervenute prima del compiuto decorso del termine ultimo entro il quale giudizio di appello deve essere definito; e ciò fermo restando che il provvedimento con il quale si sospende la decorrenza del termine di durata massima del relativo giudizio di prevenzione ha valore meramente dichiarativo sicché allo stesso non conseguono gli effetti propri della sospensione laddove, in esito ad una successiva verifica giudiziale, lo stesso risulti emesso fuori delle ipotesi espressamente previste dall’art. 24, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Sez. 5, Sentenza n. 42237 del 19/10/2021, IRv. 282094).
2.2. Sempre in linea di principio, va ancora precisato che, laddove, come nella specie, il procedimento doveva ritenersi pendente alla data di entrata in vigore delle modifiche apportate al tenore del d.lgs. n. 159 del 2011 dalla legge n. 161 del 2017, occorrerà tenere conto della relativa disciplina transitoria destinata a regolare espressamente le situazioni processuali non ancora definite in luogo del principio AVV_NOTAIO del “tempus regit actum”.
2.2.1. In ragione di tanto, nella specie, non troveranno applicazione sia la limitazione a novanta giorni della sospensione del termine di durata del giudizio di prevenzione legata al caso in cui siano stati disposti accertamenti peritali (limitazione introdotta nel comma 2 dell’art. 24 del citato decreto dall’art. 5, comma 8, della legge n. 161 del 2017 in luogo della precedente previsione che consentiva la sospensione lungo l’intero sviluppo delle operazioni peritali); sia la limitazione della possibilità di proroga della relativa durata massima, ora concedibile per un periodo non superiore a mesi sei (quando di contro la previgente disposizione assentiva due diverse proroghe per un periodo complessivo non superiore all’anno).
Conclusioni, queste, che trovano supporto nell’art. 36, comma 3, della novella, con il quale si è espressamente escluso che la stessa si applichi ai procedimenti pendenti al momento della sua entrata in vigore quanto alle innovazioni destinate ad incidere, riducendolo, sul termine di durata del giudizio a pena di inefficacia (in termini, Sez. 5, n. 52068 del 18/11/2019).
2.2.2.Di contro, sempre in tesi, nel caso a mano, in assenza di una specifica disciplina transitoria disposta in deroga al principio AVV_NOTAIO del “tempus regit actum”, si sarebbe potuto tenere conto del termine di 90 giorni- qui espressamente indicato a verbale al momento della decisione- fissato per il deposito del decreto motivato, ipotesi ora espressamente prevista dall’art 10 septies del codice antimafia grazie alle modifiche introdotte dall’art 2, comma 3, lettera f) della citata legge n. 161 del 2017, destinate a fare gioco ai fini della
sospensione in ragione del combinato disposto degli artt. 24 comma 2 del citato codice e dell’art. 304, comma 1, lettera c) cod. proc. pen.
3.Ciò premesso, nel caso di specie, l’ultimo appello depositato dai soggetti attinti dalla confisca risale al 21 giugno 2018 sicché, in linea di principio, il termin ultimo per il deposito del decreto chiamato a definire il procedimento di secondo grado cadeva il 21 dicembre 2019.
Il provvedimento gravato, di contro, all’esito di due diverse proroghe semestrali (ordinanze del 6 maggio 2019 e del 28 novembre 2022) e di numerose sospensioni decretate per rinvii disposti per le causali più varie, risulta depositato il 27 maggio 2023 per essere stato introitato in decisione sulle conclusioni delle parti definitivamente formalizzate alla udienza camerale del 10 marzo 2023.
3.1. All’evidenza, dunque, ferme le proroghe disposte (entrambe intervenute quando ancora non era perento il termine massimo previsto ex lege), assentite dalla Corte del merito nella misura massima all’epoca consentita di un anno, la verifica della tempestività della decisione di appello nel caso risulta subordinata alle sospensioni legate alle ragioni dei diversi differimenti di udienza e alla legittimità delle decisioni assunte a supporto delle stesse.
Ora, considerando complessivamente le proroghe e i diversi differimenti di udienza per il quali è stata disposta la sospensione del termine, nel caso potevano computarsi utilmente al fine 3 anni, sette mesi e 3 giorni siccome legittimamente maturati prima della data di decisione: quest’ultima, dunque, considerato il termine di decorrenza sopra indicato (21 giugno 2018) doveva intervenire al più tardi entro il 24 gennaio 2023, mentre, nel caso, il procedimento risulta posto in decisione il 10 marzo 2023, con conseguente irrilevanza dell’ulteriore sospensione correlata al termine fissato per il deposito del decreto (perché successiva alla sopraggiunta perenzione del termine di efficacia della misura).
3.2.In particolare, ad avviso del Collegio e parzialmente in linea con le indicazioni rese dalle difese di NOME COGNOME e NOME COGNOME, possono essere computati al fine il rinvio disposto alla udienza del 4 novembre 2019 ( per due mesi e 15 giorni); quello del 20 gennaio del 2020 (solo nel limite di giorni due mesi e 4 giorni imposto dalla normativa emergenziale legata al noto fenomeno pandemico, atteso che l’udienza di rinvio cadeva comunque nel torno di tempo compreso dalla relativa disciplina); il periodo (pari a mesi 12 e giorni 27) compreso tra l’udienza del 19 aprile 2021 (di conferimento dell’incarico al perito) e quella del 16 maggio 2022 (nel corso della quale l’esame del perito stesso andava completato, incombente impedito dalla dichiarata astensione dei magistrati componenti il collegio e del procuratore AVV_NOTAIO, con conseguente rinvio al 19 settembre 2019, udienza nel corso della quale la relativa acquisizione istruttoria
venne definita); il rinvio dell’udienza del 10 ottobre 2022 disposto per l’addotto legittimo impedimento dei difensori ( in misura di un mese e diciassette giorni).
3.3. Non potevano e non possono apprezzarsi, di contro, al fine che interessa, i rinvii disposti alle udienze del 20 gennaio 2020 (se non nei limiti di quanto già rimarcato in relazione alla disciplina emergenziale) e del 29 giugno 2020.
Replicando il relativo modulo decisionale, in siffatte udienze venne dapprima indicata a verbale una inziale data di rinvio, poi modificata, individuandone una successiva, precedentemente alla chiusura del relativo verbale, per l’addotto impedimento di uno dei difensori rispetto alla prima delle dette indicazioni.
In entrambe siffatte situazioni, la Corte territoriale ha sospeso i termini sino alla data dell’udienza di rinvio (in misura di tre mesi nel primo caso e di quattro mesi e undici giorni nel secondo), ritenendone ricorrenti i presupposti di legge correlati all’addotto impedimento prospettato dai difensori (per la prima delle udienze in origine indicata).
3.3.1. La decisione, tuttavia, non è condivisibile.
Perché possa operare l’ipotesi di cui al comma 1, lettera a), dell’art 304 cod. proc. pen. (nel caso richiamata dall’art 24, comma 2, del codice antimafia) occorre che, concretamente, l’udienza non sia stata trattata per il riscontrato e ritenuto legittimo impedimento del difensore.
Nel caso, di contro, ciò che è sostanzialmente avvenuto nelle due udienze è una semplice rimodulazione del rinvio, provvisoriamente indicato a verbale, venendo incontro alle prospettate -ma solo future e dunque in quel momento ipotetiche e virtuali- esigenze delle difese; rinvio decretato in coerenza con le compatibilità offerte dal calendario di udienza del Collegio decidente alla luce delle degloi addotti impedimenti difensivi.
Piuttosto, perché potesse operare la sospensione, la Corte del merito, se impossibilitata a provvedere altrimenti (rintracciando altra data precedente a quella indicata in prima battuta), avrebbe, dovuto mantenere ferma la prima indicazione; riscontrare a quella data l’opponibilità dell’impedimento addotto nella sua concreta e non solo virtuale sussistenza; disporre il successivo rinvio e computare da quella data il periodo di sospensione.
3.3.2. Non poteva computarsi, inoltre, la sospensione correlata al rinvio disposto all’udienza del 16 maggio 2022 (fissata per la prosecuzione dell’esame del perito), non tenuta per l’adesione dei magistrati componenti del collegio e del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO all’astensione proclamata dalla relativa categoria di appartenenza.
Si tratta di ipotesi all’evidenza eccentrica rispetto a quella, che in caso di adesione del difensore alla astensione collettiva di categoria, trova sponda nel primo comma, lettera b), dell’art 304 cod. proc. pen (richiamato dall’art 24,
comma 2, del codice antimafia), legittimando la sospensione del termine (qui inerente alla efficacia della confisca). Ipotesi, questa, che non può ritenersi suscettibile di letture interpretative estensive, finalizzate ad ampliare il novero dei soggetti del processo che, aderendo ad una astensione collettiva, ne impediscono la trattazione e ne impongono il differimento: una siffatta scelta interpretativa, legittimando una maggiore durata dei termini di efficacia della confisca, finirebbe, infatti, per nuocere ai soggetti (nel caso, quelli attinti dal procedimento di prevenzione, in quel frangente privi di difesa) che il dato normativo di riferimento intende tutelare, nel bilanciamento di valori che connota la materia, senza sacrificare il legittimo esercizio del diritto ad astenersi dei rispettivi difensori.
Né, infine, rileva che a tale ultima udienza fosse previsto l’esame del perito.
Se è vero che in tesi anche l’esame del perito può legittimare la sospensione sino al completamento del relativo incombente (quale momento di definitiva acquisizione delle relative risultanze di matrice tecnica), è parimenti vero che nel caso siffatto esaurimento istruttorio non ebbe a realizzarsi esclusivamente a causa del rinvio dell’udienza all’uopo fissata, per la già evidenziata causale: vale evidenziare infatti come il perito fosse regolarmente presente alla udienza del 16 maggio e che il relativo esame venne completato in occasione della udienza di differimento immediatamente successiva.
Tanto permette di escludere la possibilità di valorizzare il rinvio in questione, nell’ottica della disposta ma illegittima sospensione del termine, dando iniquamente rilievo all’attività processuale da rendere piuttosto che alla causale del differimento che ne impedì la realizzazione.
3.4. Da qui l’inefficacia della confisca, sopravvenuta in appello per non avere la Corte del merito rispettato il termine perentorio di cui all’art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011.
L’inefficacia rilevata opera esclusivamente nei confronti degli odierni ricorrenti COGNOME COGNOME e NOME COGNOME.
È eccentrica al tema della prevenzione patrimoniale l’ipotesi della estensione degli effetti dell’impugnazione prevista, per il processo penale, dall’art. 587 cod. proc. pen. fondata, a tacer d’altro, su presupposti non configurabili nel giudizio in questione.
Del resto, pur se rilevabile d’ufficio, l’inefficacia maturata nel cors dell’appello, presuppone, a monte, la puntuale instaurazione del relativo procedimento, trattandosi di vizio che resta estraneo al decreto di primo grado, divenuto definitivo se non tempestivamente e ritualmente gravato da impugnazione.
Se non rilevata d’ufficio dalla Corte del merito o se esclusa da quest’ultima malgrado sia stata oggetto di puntuale eccezione, l’inefficacia assume, poi, i contenuti propri del vizio procedurale e si trasforma, dunque, in possibile motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge, rimanendo altrimenti sanata dalla relativa inerzia processuale.
Ne consegue che l’unica ipotesi prospettabile, sul piano degli effetti indiretti, è quella della possibilità che l’inefficacia dichiarata nei confronti del proposto faccia comunque gioco in favore dei terzi interessati, anche quando gli stessi non abbiano preso parte al giudizio di appello nel quale è maturata la perenzione o abbiano omesso di impugnare il decreto reso in tale ultimo giudizio per quanto viziato per le ragioni già descritte. Il venir meno della confisca nei confronti del proposto, infatti, legittima pretese restitutorie che non potranno che essere fatte valere dai soggetti formalmente titolari dei beni ablati, atteso che la perdita di efficacia del provvedimento finisce per portare con sé anche il giudizio di disponibilità che ne sta a monte.
Non è vero, invece il contrario.
La revoca della confisca, divenuta inefficace in appello con statuizione assunta nei soli confronti dei terzi interessati, opera limitatamente alle sole posizioni di questi ultimi, rimanendo invece indifferente rispetto agli ulteriori beni, ascritti al titolarità formale o sostanziale del proposto, laddove quest’ultimo non abbia interposto ricorso per cassazione o ancora più a monte sia rimasto estraneo o non abbia ritualmente preso parte al giudizio di appello, nel quale è maturata la relativa ragione di inefficacia, per un difetto pregiudiziale del relativo gravame.
5.È questa l’ipotesi che riguarda il ricorrente NOME COGNOME.
5.1. La Corte di appello ha decretato l’inammissibilità del gravame proposto da COGNOME perché lo stesso si sarebbe dichiarato estraneo ai beni attinti da confisca, intestati a terzi ma ritenuti dal provvedimento di primo grado nella sua disponibilità sostanziale. Decisione, questa, assunta in applicazione del costante orientamento di questa Corte in forza del quale, in materia di misure di prevenzione, nel caso di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto, che si limiti a dedurre l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolar effettiva del bene in capo al terzo intestatario; è invece ammissibile il ricorso del proposto che, senza negare l’esistenza del rapporto fiduciarid, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all’ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l’applicazione del provvedimento
(Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, Rv. 281389; COGNOME Sez. COGNOME 1, COGNOME n. COGNOME 50463 COGNOME del
15/06/2017, Rv. 271822; Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Rv. 266141).
5.2. Con il ricorso non si contrasta la correttezza, in diritto, di tale lettu interpretativa, peraltro integralmente condivisa dal Collegio.
Piuttosto, si evidenzia che l’interesse del ricorrente all’impugnazione andava verificato considerando la particolare posizione del COGNOME (detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis, comma 2, legge n. 354 del 1975) e le ricadute che il giudizio di pericolosità sotteso alla conferma della misura applicata sarebbe stato in grado di assumere in sede di proroga del detto regime detentivo speciale.
5.3. In disparte l’aspetto relativo alla assoluta novità in fatto di una siffatt prospettazione, non addotta nel corso del giudizio di appello e destinata in ogni caso a dare luogo ad eventuali vizi della motivazione, non prospettabili in questa sede in materia di prevenzione, resta da dire della manifesta inconferenza che ne connota comunque il portato.
Anche a volerne, infatti, seguire pedissequamente l’assunto, è agevole evidenziare che, nel caso a mano, la conferma della confisca non avrebbe potuto incidere, implementandone il portato, sul giudizio di pericolosità del COGNOME da apprezzare in occasione della verifica sottesa alla proroga del detto regime detentivo speciale. Tanto perché il profilo constatativo della pericolosità sociale qualificata (da appartenenza mafiosa) del proposto, valorizzato a sostegno della confisca, risultava già cristallizzato alla data della decisione gravata perché fondato su una misura di prevenzione personale (si veda pag. 4 del decreto gravato), separatamente applicata al predetto e ormai definitiva.
Di fatto, dunque, la confisca in contestazione, non era comunque in grado di apportare alcun ulteriore elemento destinato a rifluire sulla proroga del regime di cui all’art. 41 bis, comma 2, citato.
5.4. L’inammissibilità della doglianza porta alla conferma della valutazione pregiudiziale resa in appello, assorbendo, per le ragioni già esposte l’ulteriore censura rassegnata dal ricorso.
Alla inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inefficace la confisca disposta nei confronti di NOME COGNOME e COGNOME COGNOME e per l’effetto annulla senza rinvio il provvedimento impugnato nei loro confronti e ordina la restituzione di quanto ancora in confisca in loro danno. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.