Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1643 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1643 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Palermo il 28/05/1970
avverso la sentenza del 01/02/2024 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il delitto di tentata induzione indebita a dare o promettere utilità (artt. 56 e 319 -quater, cod. pen.), che egli avrebbe commesso in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME ed ai danni di NOME COGNOME.
Secondo i giudici di merito, COGNOME e COGNOME rispettivamente, l’uno, responsabile dell’area tecnica ed amministrativa dell – Istituto autonomo case popolari” (I.a.c.p.) di Palermo” nonché responsabile unico del procedimento relativo ad alcuni lavori manutenzione di alcuni immobili di proprietà di quell’ente,
e l’altro, architetto, impiegato presso lo stesso ente e direttore del cantiere riguardante quei lavori, avevano prospettato ad NOME, amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE, aggiudicataria del relativo appalto, di non eseguire alcune opere oggetto del contratto, così da lucrare un risparmio di costi di circa settantamila euro, da spartirsi tra loro tre. Tale proposta era avvenuta nel corso di un incontro tra costoro ed alla presenza di NOME, geometra e tecnico di fiducia di Palumbo, indicato da quest’ultimo ad NOME come colui che avrebbe dovuto curare la contabilità tecnica dei lavori per conto dell’impresa, in modo da garantirne la formale regolarità, dietro corresponsione di un onorario pari al 3% del valore della commessa. NOME, tuttavia, non aveva accettato ed il patto, perciò, non si era concluso.
NOME impugna tale decisione con atto del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione nella parte in cui ne è stato ravvisato il concorso nel reato.
Egli sostiene che i giudici di merito siano incorsi in un travisamento, per omissione o per fraintendimento, delle conversazioni oggetto d’intercettazione, sia di quelle intrattenute da lui, che di quelle intercorse tra i suoi ipotetici correi quali, invece, correttamente intese, dimostrerebbero che egli non si è mai reso disponibile ad una manipolazione fraudolenta della contabilità di cantiere e che era ignaro della proposta illecita formulata ad NOME nonché del ruolo che costoro avrebbero voluto assegnare a lui.
Il ricorso, dunque, riporta ampi stralci testuali di quei dialoghi, rilevando che: a) non emerge alcuna alterazione o distorsione delle misurazioni di cantiere operata dall’imputato, che peraltro non sarebbe stata neppure necessaria, essendo sufficiente dare per fatti “sulla carta” lavori in realtà mai eseguiti; b) egli, piuttosto, ha costantemente contestato i dati comunicati dall’impresa esecutrice dei lavori, facendone emergere l’erroneità; c) ha eseguito tale gravoso lavoro gratuitamente, rappresentando a COGNOME il proprio disagio per il compito affidatogli e, con ciò, mostrando di essere all’oscuro delle vere ragioni di costui, mai dallo stesso manifestategli; d) in nessuna delle conversazioni intercettate tra loro si rinviene un riferimento all’incontro in cui era stata formulata ad NOME la proposta illecita, a differenza di quanto accaduto in quelle tra COGNOME e COGNOME, nelle quali, tuttavia, non viene fatto alcun cenno a NOME; e) questi, inoltre, ha assunto complessivamente un atteggiamento critico verso l’impresa esecutrice, a fronte delle preoccupazioni manifestategli da COGNOME per la possibile modestia del margine di profitto della stessa («non è che gli ha detto nessuno di partecipare», commenterà in uno dei loro dialoghi intercettati); f) dai tabulati del traffico telefonico, nel periodo tra l’inizio dei lavori e la formulazione della propost
illecita, sono emersi continui contatti tra COGNOME e COGNOME, non anche tra costoro ed esso ricorrente; g) NOME non lo ha mai indicato tra i fautori di quella proposta; h) NOME ha agito esclusivamente perché interessato alla proposta lavorativa, e solo per questa ragione è stato presente all’incontro con NOME, come si evince dal fatto che, successivamente alla mancata realizzazione del patto illecito, egli non ha tenuto alcun comportamento astioso o ritorsivo verso l’impresa di costui; i) in ogni caso, la sua presenza a quell’incontro non dimostra che egli fosse già a conoscenza della proposta che COGNOME avrebbe rivolto ad NOME; I) si deve, dunque, concludere che COGNOME, a seguito del rifiuto oppostogli da NOME e preoccupato di possibili denunce, abbia agito con l’esclusivo intento di concludere al più presto la commessa, agevolando l’impresa esecutrice e chiedendo, a tal fine, la collaborazione tecnica del NOMECOGNOME il quale si è prestato nel timore che, diversamente, non avrebbe ottenuto in futuro altri incarichi professionali dall’ente.
Con il ricorso, la difesa ha chiesto la sospensione, a norma dell’art. 612, cod. proc. pen., dell’esecuzione della condanna al risarcimento dei danni in favore dell’NOME, costituitosi nel processo quale parte civile, deducendo l’esistenza del pericolo di un grave ed irreparabile danno nel caso in cui la condanna venisse annullata e le somme corrisposte a quel titolo dovessero essergli restituite. Evidenzia, in proposito, con allegazione di documentazione, le precarie condizioni economiche sia della “Tek RAGIONE_SOCIALE che del ricorrente.
Ha depositato memoria scritta la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso, poiché non sarebbe ravvisabile il denunciato travisamento probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è manifestamente destituita di fondamento nella parte in cui denuncia un travisamento probatorio.
1.1. Per tale deve intendersi, infatti, la totale preternnissione di un elemento di prova o la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco dello stesso ed il significato dimostrativo invece attribuitogli dal giudice, non rilevando presunti errori da questi commessi nella relativa valutazione. Tale vizio, peraltro, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia decisivo, sia, cioè, idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, in quanto rende illogica la motivazione per l’essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, gravando sul ricorrente l’onere di indicare le ragioni per cui l’omissione od il
fraintendimento introducano profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (in questo senso, tra moltissime altre: Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702).
Il ricorrente chiede, invece, alla Corte di cassazione essenzialmente di sovrapporre la propria valutazione del compendio probatorio a quella compiuta dai giudici di merito, attraverso una diversa lettura, benché anch’essa logica, dei dati processuali od una diversa ricostruzione storica dei fatti o, ancora, un diverso giudizio di rilevanza o di attendibilità delle fonti di prova.
Questo, però, non è il compito del giudice di legittimità, al quale spetta esclusivamente di stabilire se quei giudici abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, per tutte, Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428). Peraltro, l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, senza possibilità, per la Corte di cassazione, di verificare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
1.2. Così definito il perimetro del sindacato consentito a questa Corte, deve concludersi per l’esclusione non solo di un travisamento probatorio, ma anche di qualsiasi illogicità manifesta della motivazione della sentenza impugnata.
In questa, infatti, si dà rilievo: alla presenza di NOME all’incontro in cui avvenuta la proposta illecita; al suo indispensabile apporto tecnico per la fattibilità del relativo patto; al carattere gratuito dell’opera, pur gravosa, da lui prestata su richiesta del COGNOME, non giustificabile se non con la promessa, da parte di quest’ultimo, di maggiori guadagni futuri; all’eccessività del compenso per lui previsto rispetto alle ordinarie tariffe professionali; nonché, ancora, al rifiuto d lui opposto all’incarico poi effettivamente propostogli da NOME alle tariffe d’uso, a riprova del fatto che egli non avesse un reale interesse a lavorare per quell’imprenditore (pag. 10 s.).
Si tratta, invero, di dati di fatto indiscussi, che, valutati in coordinazione t loro, rendono del tutto ragionevole, e quindi logicamente plausibile, la conclusione della consapevole partecipazione anche del Federico a quel progetto criminoso, alla quale sono concordemente pervenuti entrambi i giudici di merito.
La sentenza impugnata non persuade, invece, nella parte relativa alla qualificazione giuridica del fatto, sì come accertato, quale tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità, anziché come istigazione alla corruzione per iniziativa dell’agente pubblico, a norma dell’art. 322, quarto comma, cod. pen..
2.1. Anche l’induzione indebita, come la concussione, si distingue dalle fattispecie corruttive, per essere connotata da una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere – nell’ipotesi della concussione – o ad indurre alla dazione o alla promessa indebita l’extraneus, il quale, per effetto di tale condotta abusiva, si viene comunque a trovare in posizione di soggezione (così, per tutte, Sez. U, n. 1228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258474).
L’elemento differenziale che orienta verso la fattispecie induttiva – o verso la concussione, nei casi di maggiore compressione dell’autodeterminazione altrui va, dunque, individuato nella posizione di preminenza in concreto dell’agente pubblico e nell’abuso della stessa, da parte del medesimo, nella relazione con il privato interlocutore, che, di conseguenza, viene a trovarsi in una condizione soggezione psicologica, per effetto della quale si determina alla dazione o alla promessa non dovute (secondo quello che è stato efficacemente indicato come un duplice nesso causale: Sez. 6, n. 50081 del 08/02/2018, COGNOME, Rv. 274810; in senso conforme, fra le altre: Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016, COGNOME, Rv. 268520; Sez. 6, n. 50065 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265750).
Ne deriva che, affinché possa ravvisarsi un tentativo d’induzione, è necessario che la condotta dell’agente pubblico si presenti non soltanto idonea, ma altresì univocamente diretta a condizionare la libertà di autodeterminazione del privato, attraverso un uso strumentale della posizione di forza che gli deriva dal suo ruolo istituzionale.
2.2. Una tale situazione di fatto non emerge nella ricostruzione degli accadimenti offerta in sentenza, quanto meno con la nitidezza necessaria per escludere che, in realtà, i funzionari pubblici e, con loro, il ricorrente si possano essere limitati a sollecitare all’Anselmo la dazione o la promessa di una prestazione economica in cambio di uso distorto ed a lui favorevole dei poteri inerenti al loro ufficio, senza tuttavia rappresentargli la possibile verificazione, in alternativa, d una situazione per lui pregiudizievole.
Invero, la prospettazíone dell’ipotesi di lucrare sulla commessa non è stata accompagnata da alcuna pressione di costoro verso quell’imprenditore, nemmeno implicita o per allusioni. Quando la relativa proposta è stata avanzata, infatti, non solo NOME non ha mostrato alcuna titubanza, ma COGNOME e COGNOME, a seguito del rifiuto da lui opposto, si sono allontanati pressoché all’istante; e, anche in
occasione del suo successivo incontro con COGNOME, NOME è tornato sull’argomento, chiedendogli se avesse qualcosa da temere ma ricevendo dall’altro ampie rassicurazioni.
Vero è che la sentenza dà conto di atteggiamenti rigidi assunti da Zumnno e di controlli particolarmente puntuali poi effettuati sulla regolare esecuzione dell’appalto: ma gli uni sono stati tenuti soltanto successivamente al rifiuto della proposta e non possono reputarsi inequivocamente sintomatici di una volontà prevaricatrice già presente in quei funzionari al momento della loro iniziativa illegale, ben potendo essere anche il frutto di una determinazione successiva e di carattere ritorsivo, scaturita proprio dal fallimento del loro originario progett illecito; e gli altri non risultano aver assunto forme particolarmente rigorose e zelanti, tali da farli apparire sostanzialmente pretestuosi e dettati da intenti emulativi.
2.3. Considerando, dunque, il labile e non lineare confine tra le due fattispecie incriminatrici quivi in discussione, sovente legato anche a mere sfumature del comportamento dell’agente, tale aspetto merita di essere meglio descritto e, se necessario, approfondito dai giudici di merito: ai quali, pertanto, il processo dev’essere rimesso, previo annullamento della sentenza.
2.4. Da tale decisione, infine, consegue il superamento della richiesta di sospensione dell’esecutività delle statuizioni civili, a prescindere dal relativo fondamento o meno (si legge, infatti, in sentenza che l’immediata esecutività della stessa per questa parte è stata esclusa: pag. 12).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Così deciso, il 15 ottobre 2024.