Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37447 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37447 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 09/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME nato a Maddaloni il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 9 giugno 2023 dalla Corte di appello di Napoli visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udite le richieste del difensore, AVV_NOTAIO, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli che, per quanto rileva in questa Sede, ha confermato la sentenza
emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che lo ha condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per i reati di cui agli artt. 56 e 319-quater cod. pen. (capi KK, come riqualificato dalla sentenza di primo grado, ed LL), applicando le pene accessorie dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici e della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, ed al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, Comune di San NOME a Cancello e COGNOME NOME.
Deduce quattro motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
1.1.Con i primi due motivi, tra loro logicamente connessi, censura il capo LL), deducendo vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del tentativo di induzione indebita.
Deduce il ricorrente che nella fattispecie in esame difettava il requisito di idoneità degli atti atteso che l’unico atto individuato, ovvero l’adozione del c.d. Pian industriale, rappresentava un documento programmatico che, valutato alla luce delle condizioni in cui versava la società di COGNOME nel maggio 2015, desumibili dalla conversazione in cui COGNOME diceva che era necessaria una diversa compagine societaria per la mancanza dei requisiti previsti dal disciplinare per la partecipazione alla gara, non consentiva di ritenere superata la soglia del tentativo punibile.
Come già dedotto nell’atto di appello, si rileva che il documento programmatico in questione, rispetto al quale è stata apoditticamente sostenuta la capacità del COGNOME di “pilotare” l’intero Consiglio AVV_NOTAIO (e ciò in contrasto con l’ipotizzata millanteria della compiacenza del Sindaco COGNOME), era inidoneo a mettere in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, essendo necessarie, oltre alla individuazione del R.U.P., anche la selezione di tre esperti del settore ambientale quali componenti della commissione.
Oltre allo stadio sostanzialmente “embrionale” della gara di appalto, l’inidoneità degli atti viene prospettata anche in relazione ad altro profilo di criticità: l’asse del potere decisionale di COGNOME il quale, come emerso nel corso della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, operava come consulente esperto in materia di rifiuti della società “RAGIONE_SOCIALE il cui proprietario era, invece, NOME COGNOME.
A conferma della inidoneità degli atti e della necessità di applicare nel caso in esame la disciplina di cui all’art. 49 cod. pen., nel secondo motivo si aggiunge un ulteriore tassello a sostegno della tesi difensiva, ovvero il sopravvenuto annullamento in autotutela del documento programmatico approvato dal Comune per difetto di
regolarità contabile, come emerso dalle s.i.t. dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha ribadito che il bando non fu mai pubblicato e che non sussistevano i requisiti di legge per procedere alla sua pubblicazione.
1.2. Con il terzo motivo si censura il capo KK), deducendo vizi di violazione di legge e di motivazione in merito alla ritenuta configurabilità del tentativo, stante, da un lato, la mancanza di alcun potere da parte del ricorrente, benché assessore AVV_NOTAIO, di adottare le determine di pagamento e, dall’altro lato, l’autonomia da tale provvedimento della richiesta del NOME, formulata in modo non insistente, di assunzione di sei lavoratori. Nel corpo del motivo, si richiama, infine, quanto già dedotto in relazione al capo LL con riferimento all’ulteriore profilo della carenza di potere decisionale di COGNOME.
1.3. Con il quarto motivo si deducono vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in relazione al punto della decisione relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche attesa l’incensuratezza del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, va rammentato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice – espressa anche a Sezioni Unite – il delitto di induzione indebita, di cui all’art. 319-quater cod. pen., è caratterizzato, sotto il profilo oggettivo, da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che lascia al destinatario un margin significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un indebito vantaggio per lo stesso, distinguendosi dal reato di concussione, il quale si configura quando la condotta del pubblico ufficiale limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo (Sez. U, n. 12228 del 2014, COGNOME, Rv. 258470; Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286376 – 05; Sez. 6, n. 37655 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 260183; Sez. 6, n. 5496 del 07/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259055).
Le Sezioni Unite, nel definire il rapporto tra il reato in esame e quello di concussione, hanno, infatti, chiarito che la condotta di “induzione” si distingue dall’abuso costrittivo che connota il reato di concussione, in quanto consiste in una condotta di persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla
richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U. n. 12228 del 2014, COGNOME, cit.).
Le Sezioni Unite hanno, inoltre, perimetrato il confine tra le due modalità di realizzazione della condotta del pubblico agente, chiarendo che: a) l’abuso della qualità – c.d. abuso soggettivo – consiste nell’uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione da parte di costui non di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva senza alcuna correlazione con atti dell’ufficio o del servizio – così da fare sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di prestazioni non dovute; b) tale abuso della qualità, per assumere rilievo come condotta costrittiva o induttiva, deve sempre concretizzarsi in un facere (non è configurabile in forma omissiva) e deve avere una efficacia psicologicamente motivante per il soggetto privato che deve comunque avvertire la possibile estrinsecazione dei poteri del pubblico agente, con conseguenze per sé pregiudizievoli o anche ingiustamente favorevoli e, proprio per scongiurare le prime o assicurarsi le seconde, decide di aderire all’indebita richiesta; c) l’abuso dei poteri – c.d. abuso oggettivo – consiste invece nella strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui conferiti, nel senso che questi sono esercitati in modo distorto, vale a dire per uno scopo oggettivamente diverso da quello per cui sono stati conferiti e in violazione delle regole giuridiche di legali imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa; d) tale abuso può essere realizzato in forma sia commissiva che omissiva, potendo il pubblico funzionario deliberatamente astenersi dall’esercizio dei propri poteri, ricorrendo a sistemi defatigatori di ritardo o di ostruzionismo volti a conseguire la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità in cambio del sollecito compimento dell’atto richiesto ( veda, in tal senso, anche Sez. 6, n. 10066 del 25/02/2021, Savino, Rv. 280942). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella successiva giurisprudenza delle Sezioni semplici si è, inoltre, aggiunto che l’abuso della qualità che connota la prevaricazione abusiva del pubblico ufficiale comprende la spendita o la prospettazione, da parte dell’agente, di un efficace potere di ingerenza nel compimento di atti formalmente estranei alle proprie competenze, ma pur sempre spettanti alla pubblica amministrazione cui egli è preposto, in modo da procurare nel soggetto interessato la percezione di poter subire conseguenze sfavorevoli o, al contrario, ingiustamente favorevoli (Sez. 3, n. 29321 del 14/07/2020, Rv. 280439 – 02).
1.1. Sulla base della formulazione della norma incriminatrice può, inoltre, affermarsi che, ai fini della consumazione del delitto di induzione indebita, è
sufficiente che si perfezioni l’accordo, allorché il privato indotto formula la promessa di denaro o altra utilità al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.
Secondo un indirizzo di questa Corte, una volta concluso detto accordo, non ha alcuna rilevanza sulla consumazione del reato né la riserva mentale di non adempiere né l’intendimento di sollecitare l’intervento della polizia giudiziaria affinché la dazio avvenga sotto il suo controllo (così, da ultimo, Sez. 6, n. 27723 del 08/03/2018, COGNOME, Rv. 273393; Sez. 6, n. 16154 del 11/01/2013, COGNOME, Rv. 254541). Si è, infatti, affermato che l’indebita promessa del privato, prevista dalla norma incriminatrice in alternativa alla indebita dazione, deve essere intesa nel suo significato oggettivo come assunzione di un impegno ad eseguire una prestazione futura nei confronti del suo destinatario, non rientrando il suo effettivo adempimento fra gli elementi costitutivi del reato.
1.2 Altra isolata pronuncia ha, invece, reputato irrilevante la sola riserva mentale intervenuta successivamente alla conclusione dell’accordo, ravvisando, invece, l’ipotesi tentata nel caso in cui l’accordo sia solo apparente, in quanto il privato h simulatamente promesso la dazione (Sez. 6, n. 37509 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282178). Tale pronuncia ha richiamato i precedenti di questa Corte in tema di concussione – che ravvisano la fattispecie tentata qualora la promessa sia successiva alla predisposizione, d’accordo con la polizia giudiziaria, di un piano diretto individuare il funzionario infedele e risulti preordinata a tale scopo (Sez. 6, n. 30944 del 7/4/2018, Liverani, Rv. 273596) – e, muovendo dalla qualificazione del reato in esame come “reato plurisoggettivo proprio o normativamente plurisoggettivo” (Sez. U., COGNOME, cit., in motivazione a p. 47), ha ritenuto necessaria ai fini della su consumazione la formulazione da parte dell’indotto di «un’effettiva promessa al soggetto pubblico inducente», con conseguente perfezionamento di un reale accordo tra l’agente pubblico autore della induzione alla prestazione indebita e il privato determinatosi alla promessa per conseguire un vantaggio ingiusto. Si è, pertanto, ritenuta irrilevante ai fini della consumazione del reato la successiva determinazione del privato di non dare seguito alla promessa e, eventualmente, anche di denunciare il fatto alle forze dell’ordine o all’autorità giudiziaria.
Secondo l’indirizzo in esame, è, invece, configurabile il tentativo di induzione indebita nel caso in cui la riserva mentale sia contestuale all’accordo, rendendolo meramente apparente. Si sostiene, infatti, che, in tale ipotesi, le pressioni esercitate dal pubblico agente, pur astrattamente idonee e dirette in modo inequivoco ad indurre alla promessa o alla dazione, non determinano alcun cedimento alla proposta induttiva da parte del privato indotto, il quale, fin dal momento in cui simulatamente
promette la dazione, è determinato a resistere all’illecita richiesta, restando, dunque, estraneo al tentativo di induzione ed esente da penale responsabilità.
1.3. Sempre in tema di tentativo di induzione indebita, le Sezioni Unite hanno chiarito che tale fattispecie si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di all’art. 322, commi terzo e quarto, cod. pen., perché mentre quest’ultima fattispecie si inserisce sempre nell’ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggett coinvolti, diretto al mercimonio dei pubblici poteri, la prima presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta perentoria, ripetuta, più insistente e con più elevato grado di pressione psicologica rispetto alla mera sollecitazione, che si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258475).
Letti alla luce di tali coordinate ermeneutiche, i primi tre motivi di ricorso, esaminare congiuntamente in quanto connotati da censure relative alla idoneità degli atti compiuti dal ricorrente, appaiono infondati per le ragioni che di seguito saranno esposte.
Va, tuttavia, preliminarmente rilevato che, con riferimento al capo KK), avuto riguardo alla pena edittale prevista all’epoca dei fatti (aprile 2015), alla data del marzo 2024 è ormai decorso il termine di prescrizione, tenuto conto dei periodi di sospensione segnalati (pari ad anni uno, mesi cinque e giorni uno di sospensione per il giudizio di appello e a giorni undici per quello di primo grado). Pertanto limitatamente a detto capo KK), va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Venendo all’esame dei motivi di ricorso, va, innanzitutto, rilevato che le due sentenze di merito, hanno ritenuto pienamente attendibili le dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME, dalla cui denuncia ha avuto origine il procedimento in esame. Tale valutazione non è stata censurata dal ricorrente, che solo con il ricorso in esame ha introdotto per la prima volta una non consentita questione di merito in ordine al supposto difetto di potere decisionale di COGNOME.
Ciò premesso, la sentenza impugnata, emessa a seguito della rinnovazione dell’audizione della parte civile COGNOME, ha spiegato in modo non illogico le ragioni per cui gli atti compiuti dal ricorrente possono considerarsi idonei.
La premessa fattuale da cui muovono le argomentazioni svolte dai Giudici di merito è costituita dalla precarietà della condizione in cui versava la società “RAGIONE_SOCIALE“, la quale, benché aggiudicataria in via provvisoria del servizio di raccolta rifiuti, continuava a svolgere tale attività senza ricevere il corrispettivo dovuto, su base di una ordinanza contingibile ed urgente adottata dal Sindaco, che, dunque, poteva essere revocata in qualunque momento.
In tale contesto, secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, si inseriscono le pressioni illecite poste in essere dal ricorrente, pressioni connotate da un abuso della qualità (era Vice Sindaco, con delega all’ecologia del Comune di S. NOME a Cancello) manifestatasi attraverso richieste di danaro, oltre che di assunzione di lavoratori, correlate alla prospettazione di condizionare l’appalto del servizio d raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonché l’adozione delle determine di liquidazione dei compensi.
A fronte di tale condotta, l’interesse del privato è stato individuato nell’esigenza di continuare a mantenere un contatto con l’ente in vista del futuro affidamento in forma contrattuale del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, affidamento rispetto al quale è stato ravvisato il reato di cui al capo LL), consistito nel prospetta a COGNOME l’aggiudicazione dell’appalto per la raccolta e smaltimento di rifiuti (de valore di euro 1.600.000), tentando di indurlo a corrispondere il 10°/0 del suo valore.
Tale ricostruzione fattuale non risulta specificamente contestata dal ricorrente che, come anticipato, ha focalizzato le proprie censure sull’idoneità delle condotte tenute e, sostanzialmente, sulla configurabilità di un reato impossibile.
3.1. In particolare, quanto ai primi due motivi di ricorso, relativi al capo LL secondo il ricorrente la prospettata inidoneità delle condotte deriverebbe dallo stadio embrionale della procedura, connotata dalla sola pubblicazione del Piano industriale, poi annullato in autotutela, dalla capacità meramente asserita del COGNOME di influenzare l’intero Consiglio AVV_NOTAIO oltre che dalla carenza di potere decisionale di COGNOME.
Tali censure sono infondate e omettono di considerare la struttura del reato in esame che, come già chiarito nel precedente paragrafo 2, individua due distinte modalità di realizzazione dell’induzione nell’abuso di qualità, certamente ricorrente nel caso in esame, e nell’abuso di potere, secondo le accezioni chiarite dalle Sezioni Unite.
La norma richiede, dunque, che detto abuso delle qualità o dei poteri sia avvertito dal privato come fonte di iniziative pregiudizievoli e/o di vantaggi non dovuti, determinandolo alla promessa o alla dazione indebita in quanto mosso
dall’intenzione di trarne un proprio vantaggio ingiusto, elemento, questo, che ne giustifica, sotto il profilo della responsabilità personale ex art. 27, comma 1, Cost., la punibilità.
La sentenza impugnata, con motivazione persuasiva, ancorata alle risultanze istruttorie e immune da vizi logici o giuridici, ha rigettato le doglianze difensi sottolineando, in primo luogo, le aspettative di tornaconto personale di COGNOME, approfittando delle quali COGNOME ha insistentemente reiterato la richiesta della somma pari al 10°/0 del valore dell’appalto del servizio di raccolta rifiut prospettandone la futura aggiudicazione. In particolare, la Corte territoriale ha posto l’accento sull’avvenuta approvazione del Piano Industriale, con la delibera del 27 maggio 2015, in cui si prevedeva l’affidamento dell’incarico di raccolta e smaltimento dei rifiuti per la durata di sette anni, nonché sul tenore dei colloqui intercorsi COGNOME e COGNOME (che aveva precedentemente denunciato le pressioni subite da COGNOME e si era prestato a portare con sé il dispositivo per la registrazione dei colloqui), colloqui avvenuti presso la sede della società “RAGIONE_SOCIALE” nelle date del 25 maggio, 4 giugno, 8 giugno e 24 giugno 2015.
La sentenza rileva l’autoeloquenza e la chiarezza delle conversazioni registrate, il cui contenuto è stato riportato nella sentenza di primo grado, nel corso delle quali COGNOME insisteva affinché COGNOME partecipasse alla gara, ma con una società diversa dalla “RAGIONE_SOCIALE” che non aveva i requisiti richiesti, evidenziando i numerosi vantaggi economici che avrebbe potuto conseguire, compresa la previsione nel bando di gara di una clausola in suo favore con il blocco delle spettanze (si veda, al riguardo, il contenuto della conversazione del 25 maggio 2015, prog.1, trascritta nella sentenza di primo grado), ma rappresentando, al contempo, la necessità di corrispondergli un corrispettivo pari alla percentuale del 10% dell’importo dei lavori. La sentenza di primo grado ha, inoltre, sottolineato che, dalla conversazione del 25 maggio 2015, prog. 2 e dalle s.i.t. rese da COGNOME il successivo 27 maggio, è emerso che COGNOME, dopo avergli nuovamente chiesto l’assunzione di sei giovani, gli forniva le seguenti informazioni: a) l’avvenuta predisposizione del bando di gara da parte del R.U.P.; b) la pubblicazione del bando prevista per la settimana successiva; c) che la gara sarebbe stata gestita direttamente dal Comune attraverso una commissione di tre esperti «estremamente manovrabile».
3.2. Parimenti immune da vizi e coerente con le coordinate ermeneutiche tracciate nel par. 2 è la motivazione relativa alla idoneità delle condotte poste in essere da COGNOME in relazione al reato contestato al capo KK).
In particolare, la Corte territoriale, muovendo sempre dalla posizione di soggezione in cui versava la società “RAGIONE_SOCIALE“, interessata sia alla prosecuzione della gestione del servizio ed alla sua stabilizzazione che al pagamento dei corrispettivi non percepiti, ha correttamente considerato l’idoneità della condotta induttiva posta in essere da COGNOME, che, abusando della qualità, ha insistentemente e reiteratamente chiesto l’assunzione di sei lavoratori (circostanza, questa, riferita da quest’ultimo e confermata dalle dichiarazioni ese da COGNOME NOME) e il pagamento di una somma di denaro.
Rispetto alla condotta tenuta, appare, peraltro, privo di pregio il rilievo difensiv relativo alla carenza di un potere specifico di COGNOME di adottare le delibere di pagamento. Come già chiarito nel par. 1, ai fini della configurabilità dell’abuso di qualità, la strumentalizzazione della posizione di preminenza del pubblico agente nei confronti del privato può manifestarsi anche nella spendita o nella prospettazione di un efficace potere di ingerenza rispetto al compimento di atti formalmente estranei rispetto alle proprie competenze, ma comunque spettanti alla Pubblica Amministrazione cui è preposto, fatta valere in maniera tale da rendere credibile e idonea l’induzione all’indebita promessa o dazione di denaro o di altra utilità.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico ed espressione di un mero dissenso rispetto alla valutazione espressa dalla Corte territoriale.
Va, in primo luogo, ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice, come accaduto nel caso di specie, con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (così, da ultimo, Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489).
A fronte, dunque, del legittimo diniego del beneficio, in assenza di elementi favorevoli al ricorrente, il motivo in esame si limita ad insistere sulla illegittimità decisione sulla base del solo dato, la cui rilevanza è esplicitamente esclusa dall’art. 62-bis, comma terzo, cod. pen. dell’incensuratezza del ricorrente, senza, tuttavia, indicare alcun ulteriore elemento favorevole che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare.
Sulla base di quanto sopra esposto va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al capo KK), poiché estinto per prescrizione, con il rigetto nel resto del ricorso.
Ai sensi dell’art. 620, lett. I, cod. proc. pen. la Corte procede direttamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio nella misura di anni due e mesi
quattro di reclusione (p.b., come stabilita dai Giudici di merito per il reato capo LL), pari ad anni tre e mesi sei di reclusione, ridotta nella misura final scelta del rito), non essendovi, al riguardo, valutazioni di natura discrezio affidare ai Giudici di merito.
Alla riduzione del trattamento sanzionatorio così irrogato consegue la riduz in eguale misura delle pene accessorie già applicate dell’interdizione temporanea pubblici uffici e della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo perché estinto per intervenuta prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso e ride la pena in anni due e mesi quattro di reclusione, applicando per l’effetto l accessorie della interdizione temporanea dai pubblici uffici e della incapac contrattare con la Pubblica Amministrazione per la medesima durata. Così deciso il 9 luglio 2024
Il AVV_NOTAIO nsole
Il Presidente