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Induzione indebita: la Cassazione e l’abuso di potere

Un giornalista è stato assolto dall’accusa di induzione indebita per aver chiesto denaro a un professionista delle pubbliche relazioni. La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione, chiarendo che, sebbene i giudici di merito avessero errato nell’interpretazione della legge, la richiesta era avvenuta in un contesto di amicizia e difficoltà personale, priva dell’abuso di potere necessario a configurare il reato.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Induzione indebita: Amicizia o Abuso di Potere? La Cassazione Chiarisce

Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, disciplinato dall’art. 319-quater del codice penale, si colloca in una zona grigia tra la corruzione e la concussione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sui confini di questa fattispecie, sottolineando come il contesto personale e la natura del rapporto tra i soggetti possano essere decisivi per escludere il reato, anche a fronte di una richiesta di denaro da parte di un incaricato di pubblico servizio.

I Fatti del Processo

La vicenda vedeva coinvolti un giornalista di una nota emittente televisiva nazionale e un professionista operante nel settore delle pubbliche relazioni. Il giornalista era accusato di aver indotto il professionista a corrispondergli la somma di 1.000 euro in occasione di un importante evento fieristico a Milano. Secondo l’accusa, il pagamento era finalizzato a garantire la messa in onda di un servizio televisivo favorevole a un cliente del consulente.

La richiesta di denaro era stata motivata dal giornalista con una scusa personale: sosteneva di essere stato derubato del bancomat e di aver bisogno di contanti per il viaggio. Il professionista, dopo essersi consultato con un’amica comune (anch’essa giornalista), la quale aveva definito il richiedente come un “amico in difficoltà economiche”, decideva di consegnargli la somma.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano assolto entrambi gli imputati, ritenendo non provato il nesso di causalità tra l’abuso delle funzioni del giornalista, la richiesta di denaro e il successivo beneficio televisivo.

La Decisione della Corte sull’Induzione Indebita

La società televisiva, costituitasi parte civile, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero commesso un errore di diritto. L’errore sarebbe consistito nel valutare il caso come se fosse un’ipotesi di corruzione, cercando un nesso diretto tra il pagamento e uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, anziché applicare correttamente i criteri dell’induzione indebita.

La Suprema Corte, pur riconoscendo la correttezza delle premesse giuridiche del ricorrente e l’errore di prospettiva dei giudici di merito, ha rigettato il ricorso, confermando l’assoluzione.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra la qualificazione giuridica del reato e la valutazione concreta dei fatti. La Cassazione chiarisce che il reato di induzione indebita si differenzia dalla corruzione perché non richiede un accordo paritario, ma si fonda su uno squilibrio di potere. Il pubblico ufficiale sfrutta la sua posizione per suggestionare, persuadere o ingannare il privato, il quale acconsente alla richiesta illecita nella speranza di ottenere un vantaggio.

I giudici di merito avevano erroneamente cercato la prova di un potere effettivo del giornalista di influenzare il palinsesto, un elemento tipico della corruzione. Tuttavia, secondo la Cassazione, questo errore non è stato decisivo. Analizzando i fatti come emersi nel processo, la Corte ha concluso che la richiesta di denaro non era scaturita da un “abuso induttivo” della funzione pubblica, ma da un rapporto di natura puramente personale.

La qualifica della richiesta come quella di un “comune amico con difficoltà economiche” è stata fondamentale. Ha trasformato l’episodio da un potenziale abuso di potere a una richiesta di aiuto personale. In questo contesto, mancava l’elemento essenziale del reato: la pressione morale o la persuasione derivante dalla posizione pubblica del giornalista. La dazione di denaro, quindi, non era motivata dalla prospettiva di un tornaconto, ma da un sentimento di amicizia.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: per configurare il reato di induzione indebita, non è sufficiente una mera richiesta di denaro da parte di un incaricato di pubblico servizio. È necessario che tale richiesta sia accompagnata da una condotta di persuasione o suggestione che faccia leva sulla sua posizione pubblica, creando uno squilibrio nel rapporto con il privato. Se la dinamica dei fatti dimostra che la richiesta si inserisce in un contesto esclusivamente personale e amicale, l’abuso di potere viene meno e, con esso, il reato stesso, anche se l’interpretazione giuridica iniziale dei giudici di grado inferiore fosse errata.

Qual è la differenza tra corruzione e induzione indebita?
La corruzione implica un accordo paritario tra un pubblico ufficiale e un privato per compiere o omettere un atto d’ufficio. L’induzione indebita, invece, si basa su uno squilibrio di potere, dove il pubblico ufficiale sfrutta la sua posizione per persuadere o suggestionare il privato a dargli un’utilità non dovuta.

Perché il giornalista è stato assolto nonostante avesse ricevuto del denaro?
È stato assolto perché la Corte ha ritenuto che la richiesta di denaro fosse avvenuta all’interno di un contesto di amicizia e a causa di presunte difficoltà economiche personali. Mancava quindi l’elemento dell’abuso della funzione pubblica per esercitare pressione o persuasione sul privato, elemento necessario per configurare il reato di induzione indebita.

Un errore nell’interpretazione della legge da parte di un giudice porta sempre all’annullamento della sentenza?
No. In questo caso, la Cassazione ha riconosciuto l’errore interpretativo dei giudici di merito, i quali avevano analizzato il caso con i parametri della corruzione. Tuttavia, ha concluso che l’errore non era decisivo, poiché anche applicando la norma corretta sull’induzione indebita, i fatti concreti non erano sufficienti per dimostrare il reato. Di conseguenza, l’assoluzione è stata confermata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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