Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2692 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2692 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza n. 726/24 della Corte di appello di Milano del 30/01/2024 nel procedimento nei confronti di NOME COGNOME n. Roma 02/12/1964 e COGNOME Guido, n. Villa Celiera 20/04/1961
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME sentito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito per la ricorrente il difensore avv. NOME COGNOME in sostituzione dello
avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso, depositando conclusioni scritte e nota delle spese di rappresentanza sostenute nel grado di giudizio; sentito per il resistente COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; sentito per il resistente COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato l’assoluzione, pronunciata in primo grado, di NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’accusa di induzione indebita a dare e ricevere utilità (art. 319-quater cod. pen.) attuata, il primo nella qualifica di giornalista della RAI Radiotelevisione Italiana e come tale incaricato di pubblico servizio, inducendo il secondo a corrispondergli la somma di 1.000,00 euro in vista della messa in onda di un servizio televisivo sulla testata giornalistica TG2 (consistente nell’intervista dell architetto NOME COGNOME nell’ambito degli eventi connessi alla promozione del marchio RAGIONE_SOCIALE, appartenente a società di cui il COGNOME era consulente, nell’ambito del Salone del Mobile di Milano.
Ribadendo le valutazioni del Tribunale e disattendendo gli appelli proposti tanto dalla pubblica accusa quanto dalla parte civile costituita, RAGIONE_SOCIALE, la Corte di merito ha escluso la sussistenza di prove sufficienti a dimostrare l’avvenuta instaurazione di un nesso eziologico tra abuso delle funzioni, richiesta di denaro e prospettato beneficio della promozione televisiva delle realtà imprenditoriali di cui il privato COGNOME era consulente.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile RAGIONE_SOCIALE che formula due articolati motivi di censura di seguito sinteticamente esposti.
Primo motivo. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 319-quater cod. pen.
Nel confermare la decisione del primo giudice la Corte di appello, pur nella estrema sinteticità delle sue argomentazioni, ha insistito, così come il Tribunale, sull’assenza di prova in ordine al compimento, da parte dell’imputato, di uno
specifico atto (la proposta) correlato alla realizzazione (l’idea editoriale) o all trasmissione (la messa in onda) del servizio televisivo di cui in contestazione (intervista all’arch. NOME COGNOME).
In tal modo, però, la Corte territoriale è incorsa nella medesima erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 319-quater cod. pen. in cui era incorso il Tribunale: quella secondo cui la condotta di abuso, che vale a qualificare l’induzione penalmente rilevante, richiederebbe in ogni caso il compimento, da parte dell’agente, di uno specifico atto in rapporto di correlazione con la dazione e con il prospettato beneficio per il privato, così confondendo la tipicità dell’art. 319-quater con quella contigua, ma diversa, dei reati di corruzione di cui agli artt. 318 e 319 cod. pen.
Incorrendo nel medesimo errore di prospettiva giuridica, i giudici dei gradi di merito hanno così finito per valorizzare le medesime circostanze di fatto, incentrate sulla verifica (in concreto esclusa) di un potere di ingerenza esercitato dal giornalista nei confronti dei suoi superiori nella predisposizione del palinsesto della testata giornalistica e non sulla relazione intersoggettiva con il privato, che non appaiono, però, decisive ai fini dell’accertamento dell’abuso induttivo del pubblico agente.
Secondo motivo. Assoluta mancanza ovvero mera apparenza della motivazione La Corte di appello ha seguito un percorso argomentativo estremamente semplificato, produttivo di una motivazione del tutto assente o meramente apparente, soffermandosi esclusivamente sul profilo dell’induzione attiva, peraltro liquidato in poche considerazioni, ma trascurando le specifiche censure della difesa di parte civile relative alla parte della decisione di primo grado in cu il Tribunale aveva rilevato l’assenza di prova dell’indebito vantaggio perseguito o conseguito dal soggetto privato.
E’ mancata, dunque, ad avviso della ricorrente una rinnovata valutazione del fatto alla luce di una prospettiva di osservazione radicalmente diversa e di un corretto inquadramento giuridico della fattispecie in esame.
I giudici di merito hanno, così, finito per sminuire la reale natura dei rapporti tra imputato e soggetto privato, rapporti riconducibili ad una relazione sbilanciata per natura, fisiologicamente non paritaria, dal momento che l’imprenditore (COGNOME) era portatore di un legittimo interesse – quello di ottenere, per sé e per la propria clientela, la massima visibilità in un contesto di massima autorevolezza – che il giornalista RAI (COGNOME) per l’attività svolta e il ruolo pubblicistico rivestito, più d’ogni altro avrebbe potuto assicurargli.
Da qui una serie nutrita di elementi di prova misconosciuti (tra cui la serialità delle richieste di denaro formulate dall’imputato all’indirizzo di soggetti estranei
al processo), semplicemente ignorati o apprezzati sulla base di mere formule di stile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Il Collegio osserva che la ricostruzione della vicenda offerta dalla ricorrente:
muove da premesse giuridiche corrette;
evidenzia un chiaro errore di prospettiva interpretativa da parte dei giudici di merito;
non considera, tuttavia, appieno i termini fattuali della fattispecie, quali descritti nella pronuncia impugnata, ai fini del suo corretto inquadramento giuridico.
Dalla sentenza della Corte territoriale risulta, infatti, che NOME COGNOME, giornalista RAI all’epoca addetto al TG2, nell’informare NOME COGNOME, legale rappresentante di una società operante nel settore delle pubbliche relazioni, del suo imminente impegno lavorativo presso il Salone del Mobile di Milano, lo informava che essendo stato derubato del bancomat, aveva bisogno della somma di 1.000,00 euro proprio per recarsi a Milano.
Risulta, inoltre, che COGNOME aveva subito dopo contattato un’amica giornalista, la quale lo aveva avvisato che COGNOME aveva chiesto soldi anche a lei, che non aveva dato seguito alla richiesta, avvertendolo, tuttavia, “del fatto che il comune amico aveva difficoltà economiche” (pag. 2 sent. C. App. Milano).
Nessun altro accadimento precedeva la dazione della somma di denaro che effettivamente aveva luogo mediante consegna in contanti all’arrivo in treno di Fatone a Milano.
D’ora in avanti la vicenda si arricchirà di una serie di elementi di contorno (la effettiva o meno copertura mediatica del Salone del Mobile da parte della RAI, il ruolo del COGNOME in tale processo, le modalità in cui la RAI ebbe ad assicurarla, l’interesse del COGNOME circa le modalità di tale copertura) il cui vaglio sarà finalizzato a stabilire la sussistenza o meno di un nesso tra richiesta e dazione di denaro con il comportamento successivamente tenuto dai soggetti interessati (COGNOME e COGNOME Valle).
Tanto premesso, occorre partire dal dato indiscusso che la pubblica accusa ha formulato ab origine una imputazione basata sulla violazione dell’art. 319-quater cod. pen.
Sulla scorta di tale incontestato punto di partenza, versa nel giusto la difesa della ricorrente nell’osservare che, nell’intento di assolvere gli imputati, i giudi di merito hanno trattato il caso alla stregua di un episodio di corruzione, determinandosi di conseguenza a vagliare con particolare attenzione l’ipotesi che l’imputato COGNOME potesse effettivamente incidere sul palinsesto del TG2, alla ricerca dell’atto (contrario o meno ai doveri d’ufficio) costituente corrispettiv della (indebita) percezione della somma di denaro.
Non era, infatti, questa la corretta prospettiva che avrebbe dovuto guidare i giudici di merito nell’esame della vicenda, quanto piuttosto quella, indicata dalla ricorrente, della verifica della natura dei rapporti intercorsi tra i soggetti del relazione di abuso induttivo.
Qualcosa in realtà viene argomentato sul tema, là dove i giudici di appello descrivono COGNOME come una star del settore delle pubbliche relazioni e COGNOME come un giornalista privo di effettivi poteri nel decidere quali articoli produrre e mandare in video sulla testata di riferimento (TG2).
La sentenza è, però, totalmente silente anche sull’astratta possibilità che nella richiesta di COGNOME fossero individuabili gli estremi dell’abuso induttivo e nella condotta di COGNOME quelli della consapevole accettazione di un tornaconto personale.
Ebbene tale possibilità deve essere esclusa, proprio alla luce della ricostruzione dei fatti sopra descritta.
Nel tracciare la distinzione tra l’ipotesi di concussione di cui all’art. 317 cod pen. nel testo modificato dalla I. n. 190 del 2012 e la (nuova) figura di illecito d cui all’art. 319-quater cod. pen., che proprio la legge n. 190 aveva introdotto, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione nel suo più alto consesso ha affermato il principio che il delitto di concussione è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.
Come tale, esso si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen. (…), la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale,
che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME e al., Rv. 258470).
Non è dato, perciò, prescindere, al fine di individuare i casi di abuso induttivo, dal rilevare la sussistenza di condotte di persuasione, suggestione, inganno e/o pressione morale, tutte in vario modo condizionanti la libertà di decisione del destinatario che, in esito ad una ponderazione dei fattori, sceglie di sottostare alla richiesta, per quanto ritenuta indebita, per fini di utilità personale.
Nessuna di queste situazioni emerge, tuttavia, dalla sentenza impugnata che, vale ribadirlo, qualifica quello tra COGNOME e COGNOME come un rapporto di amicizia, tanto da – come anticipato – avere indotto la giornalista NOME COGNOME, all’uopo interpellata dal COGNOME, a definire COGNOME il ‘comune amico’ alle prese con difficoltà economiche
La pronuncia è, pertanto, connotata da un’erronea prospettiva interpretativa e da una parzialmente distonica motivazione che, tuttavia, non hanno avuto influenza decisiva né sulla decisione né sul dispositivo e che, come tali, non possono indurre al suo annullamento (art. 619, comma 1, cod. proc. pen.).
Al rigetto dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, 22 ottobre 2024
SEZIONE VI PENALE
Il
consigliere estensore
Il Preidente