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Induzione indebita: la Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per induzione indebita a carico di un’imprenditrice che aveva promesso e versato denaro a un pubblico ufficiale per influenzare una verifica fiscale. La Corte ha stabilito che le dichiarazioni auto-accusatorie rese a un militare non più in servizio presso l’ufficio competente e al di fuori di un procedimento penale sono pienamente utilizzabili. Inoltre, ha chiarito che l’abuso della qualità e la pressione psicologica esercitata dal pubblico ufficiale configurano l’induzione indebita e non il meno grave reato di traffico di influenze.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Induzione indebita: quando l’abuso di potere configura reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, delineandone i confini rispetto ad altre figure di reato come il traffico di influenze illecite. La decisione analizza il caso di un’imprenditrice condannata per aver pagato una somma di denaro a un pubblico ufficiale al fine di ‘addomesticare’ una verifica fiscale a carico della sua società. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna e fornendo preziose indicazioni sull’utilizzabilità delle prove e sulla corretta qualificazione giuridica del fatto.

I Fatti del Caso: La Verifica Fiscale e l’Accordo Illecito

Il caso ha origine da una verifica fiscale avviata nei confronti di una società gestita da un’imprenditrice e da suo marito. Trovandosi in difficoltà, l’imprenditrice, tramite un intermediario, entra in contatto con un alto ufficiale della Guardia di Finanza. Quest’ultimo, prospettando il suo potere di influenza sui militari incaricati della verifica, induce la donna a promettere e a versare una cospicua somma di denaro, quantificata in 30.000 euro, per ‘chiudere un occhio’ e risolvere la situazione a suo favore. Successivamente, la vicenda emerge grazie alle dichiarazioni che la stessa imprenditrice rende in via confidenziale a un altro militare.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali.

L’Inutilizzabilità delle Dichiarazioni Confessorie

In primo luogo, si sosteneva l’inutilizzabilità delle dichiarazioni auto-accusatorie rese dall’imprenditrice durante una conversazione telefonica con un militare. Secondo la difesa, tali dichiarazioni, essendo state rese senza le garanzie previste dall’art. 63 del codice di procedura penale (che tutela chi rende dichiarazioni da cui potrebbero emergere indizi di colpevolezza a proprio carico), non potevano essere utilizzate nel processo.

L’Errata Qualificazione Giuridica del Fatto e la questione dell’induzione indebita

In secondo luogo, la difesa contestava la qualificazione del fatto come induzione indebita. Si argomentava che la condotta dovesse essere ricondotta al reato di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), sostenendo che il pubblico ufficiale non avesse un potere diretto di ingerenza nella verifica fiscale e che mancasse la prova di un’effettiva attività di pressione o di un pagamento.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto entrambi i motivi di ricorso, ritenendoli infondati e inammissibili.

La Piena Utilizzabilità delle Dichiarazioni

Riguardo al primo punto, i giudici hanno chiarito che le garanzie dell’art. 63 c.p.p. si applicano solo alle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale. Nel caso di specie, le dichiarazioni erano state rese in via confidenziale a un militare che, in quel momento, non svolgeva funzioni di polizia giudiziaria e non esisteva ancora un procedimento penale a carico della ricorrente. Pertanto, tali dichiarazioni, così come quelle rese de relato dal militare che le aveva ricevute, sono state considerate pienamente utilizzabili.

Le Motivazioni: Perché si Tratta di Induzione Indebita

La Corte ha confermato la correttezza della qualificazione giuridica del fatto come induzione indebita. I giudici hanno richiamato la giurisprudenza consolidata, anche delle Sezioni Unite, che distingue l’induzione dalla concussione. Mentre nella concussione la costrizione del pubblico ufficiale annulla quasi del tutto la libertà di scelta del privato, nell’induzione la pressione è più blanda, una sorta di persuasione che lascia al privato un margine di autodeterminazione. Il privato, infatti, acconsente alla richiesta illecita perché motivato dalla prospettiva di ottenere un vantaggio personale.

Nel caso specifico, è stato provato che il pubblico ufficiale ha abusato della sua ‘qualità’, ovvero della sua posizione e del suo prestigio all’interno del corpo militare, per prospettare alla ricorrente un potere di influenza concreto sui colleghi impegnati nella verifica. Questa condotta ha generato nella donna una condizione di soggezione psicologica, portandola a cedere alla richiesta di denaro per ottenere un illecito vantaggio. La Corte ha sottolineato che, ai fini del reato, è sufficiente che l’atto rientri nella sfera di influenza dell’ufficio di appartenenza del pubblico ufficiale, non essendo necessario un potere di competenza diretta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione. In primo luogo, conferma che le dichiarazioni confessorie rese a soggetti non qualificabili come autorità giudiziaria o polizia giudiziaria, al di fuori di un contesto procedimentale formale, sono generalmente utilizzabili come prova. In secondo luogo, traccia una linea netta tra il traffico di influenze e l’induzione indebita: si configura quest’ultimo reato, più grave, quando il pubblico ufficiale non si limita a una mera ‘millanteria’, ma esercita una concreta pressione psicologica sfruttando la propria posizione per ottenere un’utilità indebita, in cambio di un’azione contraria ai doveri d’ufficio.

Quando sono utilizzabili in un processo le dichiarazioni auto-accusatorie rese a un pubblico ufficiale?
Secondo la sentenza, tali dichiarazioni sono utilizzabili quando vengono rese al di fuori del contesto di un procedimento penale, in via confidenziale, a un soggetto che in quel momento non sta esercitando funzioni di polizia giudiziaria. Le garanzie che ne sancirebbero l’inutilizzabilità si applicano solo alle dichiarazioni raccolte dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria durante le indagini.

Qual è la differenza tra il reato di induzione indebita e quello di traffico di influenze illecite secondo la Corte?
L’induzione indebita (art. 319-quater c.p.) si verifica quando un pubblico ufficiale, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, esercita una pressione psicologica non irresistibile su un privato per farsi dare o promettere un’utilità, ottenendo un’ingerenza diretta. Il traffico di influenze (art. 346-bis c.p.), invece, si configura quando un soggetto si fa pagare per la sua mediazione illecita presso un pubblico ufficiale, sfruttando una relazione esistente o vantata, ma senza che vi sia un coinvolgimento diretto del pubblico ufficiale nell’accordo con il privato.

Per configurare l’induzione indebita, è necessario che il pubblico ufficiale abbia una competenza diretta sull’atto richiesto?
No, non è necessaria una competenza diretta. Come chiarito dalla Corte, è sufficiente che l’atto rientri nella sfera di competenza o di influenza dell’ufficio di appartenenza del pubblico ufficiale. L’abuso della ‘qualità’ (la posizione e il prestigio derivanti dal ruolo) per prospettare un potere di ingerenza è sufficiente a integrare il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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