Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3342 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3342 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Bellante (TE) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/02/2023 della Corte di appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, difensori del ricorrente, che hanno concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di L’Aquila riformava parzialmente la pronuncia di primo grado – riconoscendo all’imputato la
circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. e rideterminando la pena finale – e confermava nel resto la medesima pronuncia del 10 ottobre 2018 con la quale il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE aveva condannato NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 56 e 319-quater cod. pen. (così riqualificato il fatto contestato ai sensi dell’art. 317 cod. pen.), per avere, in Martinsicuro il 27 giugno 2016, in qualità di capo cantoniere sorvegliante dell’RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, abusando della sue qualità, compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a indurre NOME COGNOME – che aveva presentato all’RAGIONE_SOCIALE una domanda per l’autorizzazione alla realizzazione di accessi carrabili e di una recinzione di un terreno sito lungo la INDIRIZZO – a consegnargli indebitamente la somma di 500 euro.
Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il COGNOME, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per carenza, illogicità, contraddittorietà, travisamento del fatto e della prova, per avere la Corte territoriale confermato l’affermazione di responsabilità in relazione al reato sopra richiamato sulla base di mere congetture, benché le emergenze processuali:
non avessero affatto dimostrato che il COGNOME fosse stato autore di un’attività induttiva o di una qualsivoglia richiesta di denaro, ovvero fosse stato parte di una qualche “intesa” raggiunta con il COGNOME; non essendo, in ogni caso, configurabile il reato di tentata induzione indebita sulla base di una richiesta rivolta alla persona offesa per iniziativa di altri soggetti (quali, nel caso di speci il COGNOME o il COGNOME), dunque in forma indiretta o in via mediata, e neppure sulla base di una richiesta rivolta ad un soggetto diverso dalla stessa persona offesa;
avessero comprovato che le asserite “difficoltà amministrative” nella gestione della pratica di rilascio dell’autorizzazione richiesta dal COGNOME, e perciò i rita nella relativa definizione, erano stati causati esclusivamente dagli errori commessi dal COGNOME, tecnico incaricato dal COGNOME, nella redazione di quella richiesta presentata all’RAGIONE_SOCIALE; COGNOME che, invece che giustificarsi della propria imperizia, aveva poi “raccontato la favola” della richiesta di denaro che era stata formulata dal COGNOME;
avessero escluso che l’imputato era un mero sorvegliante e manutentore delle strade, con incarichi di semplice manovalanza, dunque non era un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, non avendo alcuno specifico ruolo istruttorio o decisionale, ovvero alcuna capacità di influire sugli esiti de procedimento amministrativo attivato dalla istanza del COGNOME;
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non avessero offerto alcuna certezza sulla presenza delle banconote nella busta che il COGNOME aveva consegnato al COGNOME (busta che l’imputato era convinto contenesse esclusivamente la documentazione che il COGNOME doveva allegare alla sua domanda di autorizzazione alla apertura dei passi carrabili), di talché la condotta accertata, riguardante un oggetto inesistente, doveva considerarsi non punibile per la inidoneità della condotta.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 62-bis cod. pen., per avere la Corte distrettuale immotivatamente disatteso la richiesta difensiva di concessione delle attenuanti generiche, senza tenere conto del comportamento processuale e della personalità dell’imputato, nonché dell’esiguità del presunto prezzo del reato.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come introdotto dall’art. 5-duodecies del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME vada rigettato.
Il primo motivo del ricorso è infondato perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
2.1. La difesa del ricorrente aveva posto la questione in diritto – da esaminarsi, in questa sede, in via logicamente prioritaria – della qualifica soggettiva del prevenuto che, “capo cantiere sorvegliante” alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE, si era sostenuto non potesse essere considerato un incaricato di pubblico servizio a norma dell’art. 358 cod. pen., in ragione delle mansioni affidategli e per l’assenza di titolarità di funzion istruttorie o decisionali nel contesto del procedimento amministrativo instaurato con la istanza presentata dalla persona offesa, il COGNOME, che all’RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto di essere autorizzato ad aprire accessi carrabili e a recintare il terreno di sua proprietà confinante con una strada statale.
Premesso che l’accertamento in ordine alla sussistenza della indicata qualifica soggettiva va effettuato sia in generale tenendo conto delle funzioni e dei compiti
affidati all’agente dalla normativa di settore, sia in dettaglio considerando le funzioni in concreto esercitate dall’interessato nella fattispecie concreta, va detto che quelle censure risultano prive di pregio. Esse sono, per un verso, indeterminate, in quanto non “dialogano” con le considerazioni esposte dai giudici di merito, i quali hanno chiarito come il COGNOME avesse redatto un verbale di contestazione di violazioni delle disposizioni dell’art. 21 del d.lgs. 30 april 1992, n. 285 (codice della strada) per avere riscontrato l’esecuzione da parte del COGNOME, senza la prescritta autorizzazione, di opere su pertinenze stradali (v. pag. 13 sent. primo grado). Per altro verso sono infondate, essendo stato verificato che il capo cantiere dell’RAGIONE_SOCIALE, lungi dall’essere assegnatario di semplici mansioni d’ordine o prestatore di opere meramente materiali, è titolare di numerosi compiti afferenti all’esercizio di attività disciplinate nella stessa forma dell pubblica funzione. A norma degli artt. 7 e 8 d.P.R. 11 dicembre 1981, n. 1126 (contenente il Regolamento del servizio di manutenzione delle strade ed autostrade statali dell’RAGIONE_SOCIALE), al capo cantoniere sono affidati compiti “di guida, vigilanza e sorveglianza” sull’operato dei componenti delle squadre e dei nuclei di manutenzione delle strade, di acquisizione della “provvista dei materiali occorrenti per la esecuzione dei lavori” e di “misurazione del materiale di rifornimento”; di sottoscrizione dei “verbali di accertamento” e di stesura di “rendiconto dei materiali impiegati”; di redazione di “un rapporto settimanale dei lavori eseguiti e di un apposito “giornale” degli interventi eseguiti; d segnalazione delle “situazioni che possono comportare direttamente o indirettamente danno o pregiudizio al patrimonio stradale” e delle “opere eseguite da terzi nelle zone vincolate adiacenti alle strade, senza le prescritte autorizzazioni od in possibile difformità da vincoli esistenti, richiedendo a chi esegue l’opera l’esibizione degli atti relativi”; ed ancora, “compiti tecnici ed amministrativi riguardanti concessioni e licenze affidatigli dagli uffic compartimentali”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce delle valutazioni innanzi esposte, è circostanza ininfluente che il COGNOME non fosse titolare di alcuno specifico compito preparatorio, istruttorio o decisionale in relazione al particolare procedimento amministrativo cui era interessato il COGNOME, in quanto la responsabilità dell’imputato è stata affermata per avere abusato non dei suoi poteri, bensì della sua qualità di incaricato di pubblico servizio.
La decisione gravata si pone, dunque, in linea con l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’induzione indebita a dare o promettere utilità può essere alternativamente esercitata dal pubblico agente mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti, ovvero con l’abuso
della qualità, consistente nella strumentalizzazione della posizione rivestita all’interno della pubblica amministrazione, anche indipendentemente dalla sfera di competenza specifica (così, tra le altre, Sez. 6, n. 7971 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 278353; e Sez. 3, n. 29321 del 14/07/2020, P., Rv. 280439).
2.2. Le ulteriori doglianze difensive formulate nel primo motivo del ricorso pongono mere questioni di fatto, come tali non esaminabili nel giudizio di legittimità.
Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivi della sua impugnazione, una serie di vizi di motivazione della decisione gravata, senza però prospettare alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni.
La difesa si è limitata a criticare il significato che la Corte di appello di L’Aqui (richiamando anche il contenuto della conforme pronuncia di primo grado) aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l’istruttoria dibattimentale. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un effettivo ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere – come peraltro esplicitato nella intestazione del primo motivo – una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato i proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra l
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nelle due conformi sentenze di merito possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità: avendo la Corte aquilana analiticamente spiegato che la consegna al COGNOME, da parte del COGNOME, della busta con i 500 euro – contenuto attestato, nella sua natura ed entità, da un ufficiale di polizia giudiziaria – er stata dapprima preceduta dal “consiglio” che un amico, il COGNOME, aveva dato al COGNOME di consegnare la somma a quell’incaricato di pubblico servizio “per accelerare la procedura amministrativa di autorizzazione, rallentatasi a causa di alcune problematiche insorte”; e poi da una conversazione con il tecnico COGNOME – registrata e così portata a conoscenza degli inquirenti, significativamente neppure citata nell’atto di impugnazione – il quale aveva riferito al COGNOME di aver incontrato il COGNOME che, a fronte delle “difficoltà di definizione della pratica”, aveva chiesto “un contributo economico per superare la lentezza della procedura”. Elementi di conoscenza dai quali i giudici di merito avevano ragionevolmente desunto come la sollecitazione alla dazione del denaro fosse venuta proprio dall’imputato, considerato che, in occasione dell’incontro del 27 giugno 2016, questi non aveva mostrato alcuna sorpresa nel momento in cui aveva ricevuto busta dal COGNOME che, nel consegnargliela, gli aveva detto che “conteneva il denaro richiesto” e che aveva bisogno “di una rapida soluzione della questione”. Quadro probatorio in cui la versione del COGNOME era risultata riscontrata da vari dati oggettivi, tra i quali anche il contenuto dell conversazioni telefoniche intercettate nei giorni immediatamente successivi a quello dell’incontro con il denunciante, che aveva permesso di accertare come il COGNOME si fosse subito “attivato” per contattare il funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE che stava curando l’istruttoria della pratica del COGNOME per poi informare il COGNOME degli esit di quella sua iniziativa (v. pagg. 5-7 sent. impugn.; pagg. 10-12 sent. primo grado). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In tale ottica risulta irrilevante che le ragioni del “rallentamento” del procedura amministrativa instaurata dal COGNOME con la propria istanza fossero dovute ad uno o più “errori” commessi – secondo quanto prospettato con il ricorso oggi in esame – dal tecnico incaricato dal privato, in quanto tale circostanza è compatibile con la configurabilità del delitto de quo che, nella ipotesi in cui l’illecito fosse risultato consumato, avrebbe comportato la sanzionabilità anche del soggetto indotto, perché determinatosi a dare o promettere indebitamente al pubblico agente denaro o altra utilità in quanto intenzionato a trarre un ingiusto vantaggio personale.
Infondato è il secondo motivo del ricorso.
Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordin all’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito aveva ritenuto ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche l’assenza di ulteriori particolari fattori favorevoli all’imputato, essendo stata già riconosciuta in ragione degli elementi segnalati dalla difesa – l’esigua entità della somma consegnata e l’atteggiamento soggettivo dell’imputato – l’attenuante della particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 323-bis cod. pen. (v. pagg. 4 e sent. impugn.).
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/12/2023