Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21943 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21943 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano il 15/09/2023;
visti gli atti ed esaminato il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’indagato, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano, in sede di appello cautelare, ha confermato l’ordinanza con cui è stata disposta la misura cautelare della sospensione dal pubblico ufficio di ispettore della RAGIONE_SOCIALE di Stato per la durata di dodici mesi nei confronti di NOME COGNOME ritenuto gravemente indiziato del reato di tentata induzione indebita a dare o premettere di cui all’art. 319 quater cod. pen.
All’indagato, ispettore della RAGIONE_SOCIALE di Stato, si contesta di avere tentato di indu l’assistente capo COGNOME NOME, gerarchicamente da lui dipendente, a dare o promettere
utilità a terzi, cioè a non contestare o a contestare solo parzialmente o in modo più lieve, violazioni al codice della Strada riscontrare a NOME COGNOME, conoscente dello stesso COGNOME.
In particolare, mentre COGNOME e altri poliziotti stavano elevando GLYPH alcune contravvenzioni a COGNOME, COGNOME, che era al telefono con lo stesso COGNOME – che lo aveva contattato- si sarebbe fatto passare al telefono COGNOME al quale diceva frasi del tipo “è mio amico”, tentando in tal modo di indurlo a non fare la contravvenzione (così l’imputazione provvisoria).
Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato articolando due motivi, che possono essere descritti congiuntamente, con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria.
La condotta tenuta dal ricorrente non sarebbe induttiva.
Si richiamano i principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza “COGNOME” e ulteriori pronunce secondo cui per aversi induzione sarebbe necessario che l’indotto venga posto in soggezione con una richiesta perentoria, insistente, ripetuta.
Detti principi dovrebbero inoltre essere posti in connessione con la peculiarità della fattispecie in esame in cui la richiesta sarebbe stata rivolta da un pubblico ufficiale n riguardi di altro pubblico ufficiale; in detti casi la Corte di cassazione avrebbe in passa chiarito che l’effetto induttivo deve essere valutato anche in considerazione del grado di resistenza che dal pubblico ufficiale indotto si deve attendere.
Dunque, si afferma, una richiesta perentoria e capace di vincere la resistenza del pubblici ufficiale a cui è rivolta.
Il Tribunale non avrebbe fatto applicazione corretta di detti principi.
COGNOME non sarebbe inserito stabilmente nell’organico della RAGIONE_SOCIALE di Stato di RAGIONE_SOCIALE, a cui appartiene COGNOME, essendovi stato assegnato per un breve periodo, e non sarebbe stato condizionato nella percezione della condotta dell’indagato da quanto riferitogli dai colleghi – secondo cui il ricorrente sarebbe stato solito a simili sollecitazioni – ten conto, peraltro, che lo stesso indotto non avrebbe riferito nulla a proposito di allusio da parte di COGNOME su possibili penalizzazioni nell’assegnazione di servizi o in alt modo.
Non assumerebbe dunque valenza nemmeno la parte di motivazione dell’ordinanza secondo cui COGNOME in passato avesse fatto valere la sua superiorità gerarchica nei riguardi degli altri colleghi per ottenere la soddisfazione delle sue richieste di bu trattamento verso i suoi conoscenti.
Eliminato tale riferimento al contesto ambientale, l’ordinanza sarebbe viziata anche con riguardo alla condotta tenuta dall’indagato in concreto e direttamente verso COGNOME che, secondo il Tribunale, assumerebbe rilievo anche in ragione della messaggio whatsapp inviato prima del fatto per cui si procede allo stesso COGNOME – e relativo ad
altra vicenda relativa alla contravvenzione già elevata nei confronti di tale COGNOME quello stesso giorno – in cui COGNOME sarebbe stato “rimproverato” dall’indagato per aver deluso le aspettative di questi per non avere “trattato bene” l’amico del ricorrente.
COGNOME, quanto al fatto per cui si procede, non avrebbe rivolto nessuna richiesta e si sarebbe limitato a rispondere ad una domanda di COGNOME: in particolare, COGNOME, che era al telefono con COGNOME, avrebbe passato il telefono a COGNOME che avrebbe chiesto chiarimenti sul messaggio precedente e poi avrebbe chiesto all’indagato “e questo?” (riferendosi a COGNOME), ricevendo la risposta “è un mio amico”.
Né sarebbe stata individuata con precisione l’utilità che il terzo, cioè COGNOME, avrebbe dovuto conseguire, in concreto, sanzionato dal COGNOME per l’importo di 130-140 euro.
E’ pervenuta una memoria nell’interesse del ricorrente con cui si riprendono e si sviluppano ulteriormente gli argomenti posti a fondamento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il Tribunale ha sostanzialmente ricostruito i fatti in modo conforme a quando già indicato, aggiungendo che: a) l’episodio per cui si procede non era occasionale, avendo già in passato COGNOME assunto iniziative e contattato colleghi durante i controlli persone da lui conosciute, pronunciando frasi del tipo “trattalo bene, è un amico mio, vedi che puoi fare”; b) nessuno avrebbe mai riferito, quanto al fatto contestato, che l’indagato avesse detto di non elevare contravvenzioni, ma che comunque le frasi erano funzionali ad indurre COGNOME ad omettere la contestazione, tenuto conto anche del suo ruolo apicale all’interno della RAGIONE_SOCIALE; c) COGNOME aveva in passato mostrato ostilità nei riguardi di chi aveva elevato contravvenzioni ai suoi conoscenti e aveva reagito in modo scomposto quando aveva appreso ciò che era accaduto.
Dunque, una ingerenza, quella del ricorrente, finalizzata a favorire COGNOME e, in particolare, a fare in modo che a questi fosse riservato un trattamento di favore, in quanto suo “amico”.
3. Si tratta di un ragionamento viziato
È noto come con l’introduzione dell’art. 319 -quater cod. pen., si sia cercato di riordinare una delle aree più controverse della disciplina in materia di delitti contro pubblica amministrazione, quale quella che si colloca al confine tra concussione e corruzione.
3 GLYPH
In particolare, con la legge n. 190 del 2012 la “vecchia” fattispecie di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. – fattispecie mista alternativa che ruotava sulle due condott del “costringere” e dell’indurre” – è stata sdoppiata, cosicché la concussione stricto sensu ruota oggi esclusivamente sulla condotta di costrizione, mentre la condotta di induzione, espunta dall’art. 317, ricade nella fattispecie del ‘nuovo reato’ di cui all’ 319-quater.
In tale contesto, il concusso continua ad essere una vittima – non punibile – della concussione costrittiva, mentre, invece, è considerato espressamente corresponsabile della nuova fattispecie di cui all’art. 319 quater, sia pur con pena inferiore rispetto a quella prevista per il pubblico agente induttore.
Lo scopo dell’intervento legislativo del 2012 è tradizionalmente individuato nella esigenza di porre ordine e distinguere i contorni delle interazioni collusive tra pubblic e privato, i confini tra costrizione e convenienza, tra vittima e approfittatore.
Il riferimento è ai casi, assai frequenti, in cui il rapporto tra pubblico agente e pri è tale che, da un lato, non si può certamente dire che i due siano in una situazione di parità (poiché è comunque il primo a tenere le fila della scambio, facendo valere, più o meno esplicitamente, il peso della propria posizione), ma, dall’altro lato, non si può neanche dire che il privato vi partecipi nel ruolo della mera vittima sopraffatta.
In particolare, il riferimento è alle situazioni di frontiera nelle quali, ment condotte di entrambi i soggetti appaiono meritevoli di pena, poiché entrambi traggono dalla vicenda benefici che non avrebbero diritto di trarre, delle due, nondimeno, è quella del pubblico agente ad esser comparativamente più grave, poiché questi non si limita ad ottenere l’indebito beneficio ma induce il privato a darglielo o a prometterglielo, e l fa abusando dei propri poteri (così, in dottrina).
In questo contesto si collocano i principi affermati dalle Sezioni unite con l sentenza “COGNOME“.
Nell’occasione si è chiarito che:
la condotta di “costrizione”, ex art. 317 cod. pen., “evoca una condotta di violenza e di minaccia e che la minaccia, quale modalità dell’abuso costrittivo, presuppone sempre un autore e una vittima, il che spiega il ruolo di vittima che assume il concusso”;
il delitto di induzione indebita ex art. 319-quater è invece connotato, negativamente, dall’assenza di violenza-minaccia da parte dell’intraneus e, in positivo, dalla esistenza di un vantaggio indebito in capo all’extraneus;
al termine di “induzione” deve attribuirsi il preciso significato di alterazione d processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non
concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi di importanza primaria, quali l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione
le modalità della condotta induttiva, pertanto, si concretizzano nella persuasione, nella suggestione, nell’allusione, nel silenzio, nell’inganno anche variamente e opportunamente collegati e combinati tra di loro, purché tali atteggiamenti non si risolvano nella minaccia implicita, da parte del pubblico agente, di un danno antigiuridico, senza alcun vantaggio indebito per l’extraneus;
nella induzione il soggetto privato cede alla richiesta del pubblico agente non perché coartato e vittima del metus nella sua espressione più forte, ma nell’ottica di trarre un indebito vantaggio;
quanto alla differenza tra la condotta di induzione e quella di sollecitazione di cui all’art. 322, commi terzo e quarto, cod. pen., il concetto di “induzione” presuppone un quid pluris rispetto al concetto di “sollecitazione” e deve essere colto nel carattere perentorio ed ultimativo della richiesta e nella natura reiterata ed insistente dell medesima;
-in particolare, il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utili presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione;
l’induzione indebita è un reato plurisoggettivo proprio o normativamente plurisoggettivo in cui la prevista punibilità dell’indotto non investe direttamente l struttura tipica del reato, ma interviene, per così dire, solo “al suo esterno” (così Sez U., n. 12228, del 24/10/2013, COGNOME).
Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Dall’ordinanza impugnata non è affatto chiaro:
quale sarebbe stato, nella specie, il rapporto comunicativo non paritario, quale lo stato di soggezione dell’indotto atteso che, se è vero che COGNOME poteva sapere che l’indagato fosse solito ingerirsi per favorire soggetti a lui vicini, è altrettanto vero nella specie questi si limitò a sostanzialmente a “raccomandare” invano il soggetto nei cui confronti si stava procedendo;
quale sarebbe stata la condotta induttiva, quale la richiesta, suggestiva, allusiva, ma, al tempo stesso, reiterata e insistente, essendosi il tutto limitato ad uno solo brevissimo scambio di parole, senza nessun seguito, senza peculiari premesse, senza suggestioni;
quale sarebbe stato il vantaggio indebito che COGNOME avrebbe conseguito se avesse ceduto alla condotta induttiva in favore del conoscente dell’indagato;
se e come COGNOME e i suoi colleghi potessero cedere a quella frase proferita dal ricorrente.
Dunque non una condotta induttiva, non uno stato di soggezione, non un rapporto non paritario, ma, semmai, una condotta del ricorrente volta a determinare, istigare, il pubblico ufficiale e violare i propri doveri di ufficio al fine di favorire un terzo condotta non di induzione ma al più riconducibile al contributo morale finalizzato all’altru illecito agire.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio e, di conseguenza, deve essere dichiarata la cessazione della disposta misura interdittiva.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Dichiara la cessazione della misura interdittiva e manda alla Cancelleria GLYPH per l’immediata comunicazione al Procuratore Generale in Sede per quanto di competenza, ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2024.