Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 39267 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 39267 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a OLBIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/02/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, SNOME COGNOME, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, la Corte di appello di Cagliari, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento del 9 ottobre 2023, con il quale è stato applicato l’indulto, nella misura di anni tre d reclusione, nell’interesse di NOME COGNOME ed è stato sospeso l’ordine di esecuzione, reso il 30 settembre 2023, in relazione alla pena irrogata con sentenza della Corte di appello in data 22 giugno 2022, di anni sei, mesi cinque e giorni dieci di reclusione.
Propone tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Cagliari, affidando le censure proposte a tre motivi, di seguito riassunti nei limiti di cui all’ad. 173 disp. att. cod. p pen.
2.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione di legge penale in ordine alla composizione del Collegio che ha deciso l’opposizione rispetto alla precedente ordinanza del 9 ottobre 2023, con la quale è stato applicato l’indulto, per violazione dell’ad 34, comma 1, cod. proc. pen., come interpretato dalla Corte cost n. 183 del 19 giugno 2013.
La composizione del Collegio che ha deciso in ordine alla proposta opposizione è, in parte, (Presidente e Consigliere) corrispondente, come persone fisiche dei magistrati, a quella che ha deliberato l’incidente di esecuzione all’esito del quale, in data 9 ottobre 2023, è stato concesso l’indulto.
Si tratta di decisione emessa in violazione dell’ad. 34 citato come è stato affermato in sede di legittimità (si richiama Rv. 284428), con conseguente illegittimità formale della ordinanza del 30 gennaio 2024.
2.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge penale in relazione all’ad. 1, comma 2, lett. b), legge n. 241 del 31 luglio 2006.
Il beneficio dell’indulto è stato riconosciuto per un delitto per il quale vi esclusione oggettiva. COGNOME è stato condannato quale partecipe di un’associazione costituita per gestire traffico di sostanze stupefacenti, aggravata ai sensi dell’ad. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, come, del resto, già riconosciuto in sede di cognizione, con la sentenza emessa dalla Corte territoriale n. 630 del 2022, divenuta definitiva.
Sicché, rispetto a tale qualificazione, si è formato il giudicato.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione di legge penale e processuale, in relazione agli artt. 672 e 666 cod. proc. pen., nonché 1, comma 2, lett. b) legge n. 241 del 2006.
Nell’applicare l’indulto, i due provvedimenti della Corte territoriale in funzione di giudice dell’esecuzione hanno violato l’intangibilità del giudicato su
questione che la stessa Corte d’appello, in sede di cognizione, ha valutato e rigettato.
Si richiama giurisprudenza in tema di preclusione del cd. giudicato esecutivo il quale opera solo rispetto alle questioni dedotte ed effettivamente decise e non per quelle proponibili, ma non dedotte né valutate nemmeno implicitamente.
Il giudicato, nella specie, non può essere travolto in sede esecutiva riconsiderando, ex post, l’assenza di prova in ordine all’effettiva disponibilità di armi in relazione a capi e promotori o partecipi dell’associazione criminale di cui all’art. 74 TU Stup.
3.11 Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso con requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire memoria, a mezzo p. e. c. del 14 maggio 2024, con la quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.
1.1.11 primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Le Sezioni Unite di questa Corte avevano affermato che l’eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio comportante la nullità del giudizio (Sez. U, n. 23 del 24/11/1999, dep. il 2000, Rv. 215097 in una fattispecie relativa a pretesa situazione di incompatibilità del componente di un organo giudicante collegiale).
Nel solco di tali pronunce, la giurisprudenza di legittimità ha continuato univocamente ad affermare che l’esistenza di cause di incompatibilità, ex art. 34 cod. proc. pen., non incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di astensione e di ricusazione, che deve essere fatto valere, tempestivamente, attraverso la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 6, n. 3042 del 4/11/2015, dep. il 2016, Bove, Rv. 266326 – 01; Sez. 1, n. 10075 del 25/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263179 01).
Si è ribadito che, allorché tale causa di incompatibilità non venga rilevata dal giudice con dichiarazione di astensione, né tempestivamente dedotta con istanza di ricusazione, non incide sulla capacità dello stesso e, conseguentemente, non è causa di nullità, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. (così Sez. 6, n. 12550 del 1/03/2016, K. Rv. 267419 in relazione ad una fattispecie relativa a magistrato che, dopo aver deciso in primo grado in ordine alle istanze
in materia cautelare formulate dall’imputato e averne disposto il rinvio a giudizio, previo rigetto di richiesta di giudizio abbreviato, aveva poi concorso a comporre il collegio di appello nel medesimo procedimento; conf. Sez. 6, n. 39174 del 9/9/2015, COGNOME, Rv. 264637; Sez. 1, n. 10075 del 25/6/2014, COGNOME, Rv. cit., in relazione ad un magistrato di sorveglianza che, dopo aver rigettato l’istanza di rinvio dell’esecuzione della pena e di ammissione alla detenzione domiciliare in via di urgenza, aveva poi concorso a comporre il tribunale collegiale competente a decidere sulla medesima domanda in via ordinaria; Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, COGNOME, Rv. 262302; Sez. 6, n. 25013 del 4/6/2013, COGNOME, Rv. 257033).
Peraltro, non risulta nemmeno dedotto, nel caso al vaglio, che vi sia stata ricusazione del Collegio procedente.
1.2. Il secondo e il terzo motivo sono fondati nei limiti di seguito indicati.
La motivazione dell’ordinanza impugnata rende conto della contestazione della circostanza aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 TU Stup. e della mancata esclusione di questa circostanza, in sede di cognizione.
Tale dato relativo alla contestazione formale della circostanza aggravante in parola, peraltro, non è contestato dalla difesa come si evince, da ultimo, dal contenuto della memoria fatta pervenire a questa Corte in data 14 maggio 2024.
Ciò posto, in via generale, si osserva che è noto a questo Collegio l’indirizzo di legittimità secondo il quale, una volta che la sentenza di merito è divenuta irrevocabile, il giudicato in sede esecutiva va interpretato, onde verificare la sussistenza delle condizioni di legge per l’accoglimento o meno della richiesta di applicazione del beneficio dell’indulto (Sez. 1, n. 14984 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 275063 – 01; Sez. 1, n. 132 del 05/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 253860 – 01; Sez. 1, n. 36 del 09/01/1996, COGNOME, Rv. 203816 – 01).
Invero, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice dell’esecuzione penale ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando pur sempre dal tenore della sentenza irrevocabile, tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per finalità esecutive e, in particolare, per l’applicazione di cause estintive e per la revoca dei benefici condizionati.
Ciò premesso si osserva che, nel caso al vaglio, il ragionamento del Giudice dell’esecuzione è inficiato dalla considerazione che la circostanza aggravante di cui all’art. 4 dell’art. 74 TU Stup., pur formalmente contestata, non è stata riconosciuta, in sede di cognizione.
Invece, la circostanza aggravante in parola, quanto alla formale indicazione dell’articolo di legge che si assume violato, risulta espressamente indicata nella rubrica e non è stata esclusa con il dispositivo dei provvedimenti di merito.
La sentenza di condanna e quella di conferma, dunque, riconoscono la
responsabilità di COGNOME per il reato circostanziato come contestato, ivi compresa la citata circostanza aggravante, ostativa, perché non espressamente esclusa nel dispositivo.
La circostanza aggravante, secondo la difesa, non è stata ritenuta ai fini del calcolo per la determinazione della pena irrogata.
Si tale ultimo punto, il Collegio osserva, in ossequio all’indirizzo di questa Corte di legittimità (Sez. 1, n. 20796 del 12/04/2019, Bozzaotre, Rv. 276312 01) che la condanna per delitto aggravato (nel caso esaminato nel precedente citato, per circostanza costituente reato ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione, a norma dell’art. 4-bis ord. pen.), impedisce la concessione di tale beneficio anche quando la sentenza di condanna abbia ritenuto l’equivalenza o la prevalenza delle circostanze attenuanti su quelle aggravanti contestate, atteso che il giudizio di comparazione rileva solo quoad poenam e non incide sugli elementi circostanziali tipizzanti la condotta (cfr. anche Sez. 1, n. 36318 del 19/09/2012, COGNOME, Rv. 253784; Sez. 2, n. 3731 del 28/06%2000, COGNOME, Rv. 217096).
A tale indirizzo si richiama, in sostanza, il ricorrente in relazione al caso al vaglio in cui la mancata menzione della pur ritenuta circostanza aggravante, ai fini del calcolo della pena non può avere rilievo perché verrebbe ad incidere su una scelta del legislatore, cioè quella di considerare il reato contestato così come circostanziato e ritenuto in sede di cognizione, di particolare allarme sociale e, perciò, meritevole di un trattamento più rigoroso anche sede esecutiva.
Inoltre, si osserva che l’assunto del ricorrente è fondato e trae forza dimostrativa, non soltanto dai provvedimenti di cognizione richiamati, ma anche dalla sentenza resa da questa Corte, Sez. 3, n. 42491 – 23 del 28 settembre 2023, che ha pronunciato in sede di legittimità nel medesimo procedimento di cognizione, la quale rende conto che, in tale sede, non è stata oggetto di impugnazione né la mancata esclusione della contestazione di cui al comma 4 dell’art. 74 cit., né il diniego della concessione del beneficio dell’indulto che, de pari, risulta inserito nel provvedimento di secondo grado oggetto di ricorso per cassazione (cfr. p. 6 e ss. della sentenza di questa Corte).
Nel caso al vaglio, poi, vi è l’ulteriore dato, neppure contestato dalla difesa, dell’espressa esclusione da parte del giudice di cognizione, dell’applicabilità dell’indulto proprio per la sussistenza di circostanze ostative, tanto a dimostrazione che i giudici della cognizione avevano reputato sussistenti elementi ostativi alla concessione dell’indulto.
Comunque, si deve rilevare che, sulla non applicabilità dell’indulto, con riferimento all’odierno ricorrente, si è formato il giudicato, non rivedibile in sede di esecuzione. In effetti, è irrilevante la circostanza che l’appellante avesse o meno chiesto l’applicazione del beneficio, atteso che l’indulto è istituto
applicabile anche di ufficio.
Peraltro, ai fini di interpretare il giudicato, si osserva che la mancata concessione dell’indulto non deve essere menzionata nel dispositivo della sentenza di cognizione (come, al contrario, avrebbe dovuto essere in caso di avvenuta concessione del beneficio).
3.Deriva da quanto sin qui esposto, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio nel punto in cui ha respinto l’opposizione avverso il provvedimento del 9 ottobre 2023, con il quale è stato applicato l’indulto, nella misura di anni tre di reclusione, nell’interesse di NOME COGNOME ed è stato sospeso l’ordine di esecuzione, reso il 30 settembre 2023, in relazione alla pena irrogata con sentenza della Corte di appello.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Si comunichi al Procuratore generale presso la Corte di appello di Cagliari.
Così deciso, il 20 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente