Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30209 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30209 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Torino il 31/07/1975
avverso l’ordinanza del 13/02/2025 del Tribunale di Catania Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catania, con provvedimento del 13 febbraio 2025, in funzione di riesame, ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catania, in data 7 gennaio 2025, con la quale è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME in quanto gravemente indiziata del reato di cui all’art. 416 bis, comma 1, cod. pen.
Ricostruita sulla base di precedenti sentenze revocabili l’operatività nel territorio di Siracusa dell’associazione mafiosa, clan COGNOME ed COGNOME, avente il controllo sulla zona centrale della città compresa l’isola di Ortigia, il Tribunale, sulla base delle risultanze investigative acquisite, riteneva emersa la perdurante operatività dell’associazione mafiosa suddetta e la sua riorganizzazione ad opera di COGNOME Giuseppe, tornato in libertà dopo oltre vent’anni nel giugno del 2023;
dalle dichiarazione di plurimi collaboranti era, inoltre, emerso che il suddetto era stato indicato come reggente della consorteria mafiosa da parte di NOMECOGNOME in un breve periodo in cui lo stesso era ritornato in libertà; la suddetta indicazione era stata, altresì, confermata anche dal tenore di plurime conversazioni oggetto di attività captativa venendo dato particolare risalto ad una conversazione (n.1243 del 27/12/2023) nella quale lo stesso COGNOME Giuseppe rivolgendosi a NOME NOME affermava che tutti dovevano riconoscerlo nel ruolo di reggente del clan essendo questa la volontà di NOME COGNOME Da tali conversazioni emergeva altresì la figura di COGNOME NOME, compagna di NOME COGNOME, presso la cui rivendita di frutta e verdura si recavano i vari indagati, tra i quali anche il COGNOME NOME.
Il Tribunale evidenziava che, dal tenore delle intercettazioni effettuate, erano emersi, rispetto alla ricorrente, indizi di un rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il sodalizio, stante i rapporti della medesima con soggetti aventi un ruolo apicale e la condivisione degli scopi associativi, oltre che un suo attivo impegno per il conseguimento dei profitti illeciti del gruppo al di là dell’essere portavoce e rappresentante degli interessi del marito detenuto.
Ha proposto ricorso COGNOME NOMECOGNOME per il tramite il proprio difensore, avv. NOME COGNOME
2.1. Con un unico motivo deduce violazione di legge, in relazione all’art. 273, commi 1 e 1 bis, cod.proc.pen., nonché vizio di motivazione.
Deduce che: la motivazione del provvedimento impugnato aveva riguardato, in realtà, altra persona e in tal modo si era voluto distogliere l’attenzione dal fatto che la ricorrente non risultava avere compiuta alcuna attività illecita; nessuno dei collaboratori sentiti aveva mai accusato la ricorrente di essere appartenente al gruppo criminale; non vi sarebbe prova che la ‘ NOME ‘ citata, alcune volte, nelle conversazioni si identifichi nell’odierna ricorrente; mancherebbe la prova di un contributo idoneo a rafforzare l’associazione criminale in quanto l’indagata non avrebbe mai partecipato ad alcuna riunione e soltanto alcune volte alcuni degli indagati si erano recati nell’esercizio commerciale della medesima; gli stralci richiamati nella ordinanza di custodia cautelare erano stati estrapolati da conversazioni svolte fra altri indagati; la ricorrente non era mai stata intercettata al di fuori della propria attività commerciale e tale circostanza dimostrerebbe la sua estraneità al sodalizio; quando COGNOME diceva alla ricorrente di riferire al fratello di pagare il difensore, in realtà, non si riferiva al COGNOME e nella conversazione del 4 gennaio 2024, gli interlocutori non facevano riferimento ad una bisca clandestina bensì ad una sala gioco per bambini; la medesima conversazione del 4 gennaio 2024 era stata erroneamente interpretata in quanto, in essa, la ricorrente aveva fatto riferimento a ‘ pezzi dell’autovettura ‘ già pagati
in quanto ricompresi nel prezzo dell’automobile; era stato erroneamente interpretato anche il riferimento fatto dalla ricorrente al titolare della pizzeria Regina Margherita, ed ai mancati pagamenti da parte di quest’ultimo, in quanto non si era considerato che con tale soggetto intercorrevano rapporti di lavoro; era stata strumentalizzata anche la frase di ‘ buonsenso ‘ (‘ devi stare calmo ‘ ) rivolta dalla ricorrente a COGNOME NOME; era arbitraria anche la conclusione di ritenere che da tale conversazione dovesse desumersi la pretesa della ricorrente di un contributo economico da parte di NOME COGNOME soggetto peraltro non incluso tra gli indagati, non essendo stato mai elargito alcun contributo, meno che mai di provenienza e illecita; non vi era stato alcun regalo da parte del COGNOME per l’acquisto delle porte d ell’abitazione della COGNOME e l’intercettazione citata nel provvedimento impugnato, in realtà, era riferibile ad altre persone; altre conversazioni, come quella relativa a COGNOME NOME e a tale COGNOME o quella dell’11 dicembre 2023 erano state erroneamente interpretate; le conversazioni del 20 gennaio 2024 n. 2501, e del 31 gennaio 2024 n. 3374, non sarebbero riferibili alla ricorrente.
3.Il Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1. . È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame in tema di libertà personale. Secondo l’orientamento di legittimità, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità, essendo necessari l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, COGNOME, Rv. 201840; Sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti ” prima facie ” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 255460; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
Sotto altro profilo, deve essere ricordato che l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv.239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). E’ possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994). Tale orientamento interpretativo è stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni,
l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (principio ripreso e confermato da Sez. 3, n. 35593 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 267650, sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389, e da Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01).
Ciò premesso, le censure difensive sollecitano una lettura alternativa delle conversazioni intercettate, procedendo attraverso una lettura parcellizzata del loro contenuto e senza una visione d’insieme. Il Tribunale ha interpretato il materiale captativo ritenendo raggiunta la soglia della gravità indiziaria a carico della ricorrente in relazione al fatto di avere la medesima partecipato a riunioni con altri soggetti intranei all’associazione mafiosa, discutendo con gli stessi di problematiche inerenti la vita associativa, in particolare inerenti la gestione della bisca clandestina del clan, ovvero le modalità di recupero crediti per conto dell’associazione nonché ponendosi quale portavoce e tramite di collegamento tra i sodali liberi ed il marito NOME COGNOME ristretto in carcere, raggiunto parimenti da ordinanza di custodia cautelare in relazione all’accusa di avere, quale soggetto apicale, conferito a NOME COGNOME l’incarico di reggenza del clan. In tale scenario è stato dato risalto alla conversazione intrattenuta tra la ricorrente, COGNOME Giuseppe e COGNOME NOME, in data 4 gennaio 2024, nella quale la ricorrente, parlando con gli altri interlocutori di somma di denaro che tale RAGIONE_SOCIALE doveva all’associazione quale debito di gioco, ha mostrato di condividere gli interessi del gruppo (‘ io non lo sapevo sennò glielo dicevo ‘) . Nell’ambito di tale conversazione la ricorrente riferiva agli altri sodali di avere, a sua volta, un debito nei confronti del Cassia per l’acquisto di alcuni pezzi di ricambio e concludeva nel senso che tale debito doveva intendersi ‘ già pagato ‘, ovvero compensato con il debito che lo stesso Cassia aveva nei confronti del sodalizio. La diversa interpretazione prospettata al riguardo della difesa, secondo cui l’espressione utilizzata dalla ricorrente dovesse in realtà fare riferimento al fatto che il prezzo pagato per l’autovettura già includeva anche il prezzo per i pezzi di ricambio, viene proposta come lettura alternativa senza alcun elemento di supporto e a prescindere dalla evidenziazione delle ragioni per cui ritenere manifestamente illogica l’interpretazione fatta propria dal Tribunale. Nel corso della medesima conversazione, ancora, la ricorrente comunicava ai suoi interlocutori che il titolare della pizzeria Regina Margherita ‘ non aveva ancora pagato ‘ ed anche rispetto a tale affermazione, del tutto ragionevolmente assunta dai giudici della cautela come indicativa di una militanza della ricorrente nel
consesso mafioso, il tentativo della difesa di proporre una lettura alternativa (secondo la quale la suddetta affermazione troverebbe giustificazione nella esistenza di rapporti di lavoro intercorsi tra la ricorrente e il titolare della suindicata pizzeria) appare non sostenuto da alcun elemento ulteriore letterale, oltre che non supportato da documentazione. Ancora, nel prosieguo della conversazione, la ricorrente si intratteneva con il COGNOME ed il COGNOME a discorrere delle problematiche relative ad una bisca clandestina, gestita dal clan mafioso, e al recupero dei soldi: rispetto alle interlocuzioni della ricorrente, il Tribunale, del tutto ragionevolmente, ha sottolineato come la frase pronunziata dalla medesima (‘ se non hai i soldi ti vendi il motore e ti do i soldi ‘ ) non debba essere interpretata come un semplice invito al buon senso essendo stato al contrario considerato, in maniera logica e razionale, come la stessa possibilità per la ricorrente di interloquire con i responsabili del clan su questioni associative costituisca un indizio di appartenenza al gruppo. Analogamente, dal contenuto delle conversazioni svolte il 29 gennaio 2024 tra la ricorrente ed Aggraziato NOME (padre di Aggraziato NOME, responsabile di una zona di spaccio di stupefacenti sotto il controllo della cosca), nonché con NOME NOME, è stato tratto ragionevolmente un ulteriore indizio di partecipazione della ricorrente al sodalizio, venendo dato risalto al potere della medesima di convocare presso di sé altri sodali per sollecitare un contributo economico, evidentemente dovuto nei confronti del suo compagno.
3.1.Non appare in grado di disarticolare la tenuta logica della motivazione del provvedimento impugnato neppure la chiave di lettura alternativa proposta dalla difesa, sempre in chiave parcellizzante e al di fuori di qualsiasi elemento di sostegno, rispetto al contenuto di altre conversazioni ( la n. 1900 del 14 gennaio, n. 2501 del 20 gennaio e n. 3374 del 31 gennaio 2024) intercorse fra COGNOME Giuseppe e COGNOME Corrado aventi ad oggetto la consegna di somme di denaro alla ricorrente, prive di loro autonoma causa petendi e riconducibili a ratio mafiosa.
Il Tribunale ha interpretato gli elementi desumibili dal contenuto delle conversazioni acquisite, rendendo motivazione esente da profili di profili di contraddittorietà, in termini di conducente rilevanza indiziaria evidenziando che: nella conversazione del 14 gennaio 2024 COGNOME NOME parlava con altro sodale ( Piazzese ) dei ‘soldi’ che avrebbero dovuto mandare a ‘NOME‘ in v ista della sua ‘partenza’ ; nella conversazione del 20 gennaio 2024 (n. 2501) gli interlocutori, citavano espressamente, quale destinataria di contributi dalla ‘cassa’ comune, ‘ NOME ‘, identificata dagli inquirenti nella compagna dell ‘ COGNOME; la conversazione del 31 gennaio 2024 n. 3374 confermava
inequivocabilmente la dazione di denaro ad NOME, compagno della ricorrente da parte del Guarino (‘ alla fine 1.000 euro glieli ho dati io … ad NOME ‘) .
3.2.Le deduzioni difensive, secondo cui non sussisterebbe prova che i soggetti ai quali gli interlocutori fanno riferimento, indicati come NOME e NOME, siano identificabili con certezza nell’odierno ricorrente e nella sua compagna, sono frutto di un’interpretazione parcellizzata delle medesime conversazioni e non si confrontano con la motivazione resa dal Tribunale che, a fronte di analoga doglianza, ha ritenuto ragionevole tale identificazione essendo l’odierna ricorrente l’unica in contatto con il COGNOME il quale almeno una volta a settimana andava a trovarla presso la sua rivendita di frutta e verdura, e non avendo le indagini evidenziato la sussistenza di altra ‘NOME‘ .
Anche le altre censure risultano innervate sul significato di altri dialoghi intercettati attraverso la riproposizione di argomentazioni ripetitive, già oggetto di valutazione da parte del Tribunale, con motivazione esaustiva, rispetto alla quale non risultano evidenziati profili di illogicità valutabili in questa sede (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, cit., non potendo tale apprezzamento essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, cit.).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, conseguono la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di euro 3000 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 24/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME