Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2864 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2864 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a VIAREGGIO il 05/03/1959 COGNOME NOME nato a MASSA il 24/06/1964
avverso la sentenza del 24/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha confermato sentenza del Tribunale di Lucca del 10 giugno 2020, con cui NOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati rispettivamente alla pena di anni due, cinque di reclusione ed euro milletrecento di multa e alla pena di anni due, m quattro di reclusione ed euro milleduecento di multa in ordine ai reati di cui ai c imputazione a), b), c) e d) (quest’ultimo relativo unicamente a NOME NOME)
Gli imputati, a mezzo del comune difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla prova de commissione dei reati di cui ai capi a), b) e c).
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla manca valutazione da parte della Corte territoriale dell’insussistenza di valida condizi procedibilità per il reato di cui al capo b).
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’individuazione fotografica rappresen una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e, come tale, costituisce specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazio confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 5, n. 23090 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, COGNOME, Rv 271041; Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, COGNOME, Rv. 263302); pertanto l’individuazione, quale prova atipica, ben può essere valorizzata dal giudi nell’ambito del suo libero convincimento, ai fini della dimostrazione dei fatti, ov accertata la credibilità della persona che, in sede di individuazione, si sia dett dell’identificazione operata (Sez. F., n. 43285 del 08/08/2019, COGNOME, Rv. 277471 potendo rilevare le modalità dell’individuazione non quanto alla legalità della pr ma nella valutazione del valore probatorio, alla luce dell’apprezzamento in sede scrutinio di legittimità della congruenza del percorso argomentativo utilizzato giudice di merito a fondamento dell’affidabilità del riconoscimento e, quindi, giudizio di colpevolezza (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv 267562).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, il pro dell’individuazione fotografica è stato correttamente analizzato nella sente impugnata: la Corte di appello ha puntualmente esposto i criteri di valutazio
adottati e la loro pregnanza, con motivazione esente da vizi logici e coerente coi rappresentati.
L’attribuzione di responsabilità per i fatti in contestazione in capo agli od imputati poteva dirsi certa, muovendo in tale direzione plurimi e convergenti element acquisiti in sede di istruttoria dibattimentale e resi espliciti all’interno della impugnata. L’individuazione fotografica è solo uno degli elementi valorizzati al fine giungere al riconoscimento degli imputati con conseguente affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
A fronte di tale solido impianto motivazionale la difesa si limita a reitera doglianza circa la validità dell’individuazione fotografica.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, invece, è possibile rilevare presenza di valide querele in atti allegate al fascicolo, presentate dai responsabi supermercati (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01; Sez. 5 n. 3736 del 04/12/2018, Lafleur, Rv. 275342).
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile c conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e – no ricorrendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila ciascun in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila ciascuno alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024.