Individuazione Fotografica: Prova Valida o Semplice Indizio? La Cassazione Chiarisce
L’individuazione fotografica rappresenta uno degli strumenti investigativi più comuni e, al contempo, dibattuti nel processo penale. Può un riconoscimento basato su una fotografia essere sufficiente a fondare una condanna? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna sul tema, confermando la sua natura di prova e delineandone i limiti di valutazione. Analizziamo insieme la decisione per comprendere la sua portata.
Il Caso in Analisi: Un Ricorso contro il Riconoscimento Fotografico
Il caso trae origine dal ricorso presentato da una donna, condannata dalla Corte d’Appello di Venezia. La sua difesa si basava su un unico motivo: la presunta inaffidabilità della valutazione operata dai giudici di merito in merito alla sua responsabilità penale. Il fulcro della contestazione era l’individuazione fotografica effettuata nei suoi confronti dalla persona offesa e da un altro testimone. Secondo la ricorrente, le argomentazioni della Corte territoriale erano illogiche e incongruenti, e quindi la prova del riconoscimento non avrebbe dovuto essere considerata valida.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza della ricorrente, ma si concentra sulla correttezza giuridica del ricorso stesso. La Corte ha stabilito che le censure sollevate non riguardavano vizi di legittimità (cioè violazioni di legge), ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, un’operazione che non è consentita in sede di Cassazione.
Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale per i casi di inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni: la natura dell’individuazione fotografica come prova
La parte più interessante della decisione risiede nelle motivazioni. La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di prova penale.
In primo luogo, ha chiarito che l’individuazione fotografica non è un atto formale con regole rigide, ma una ‘manifestazione riproduttiva di una percezione visiva’. In parole semplici, è assimilabile a una dichiarazione testimoniale. La sua forza probatoria non deriva dal rispetto di una specifica procedura, ma dal valore intrinseco della dichiarazione di chi effettua il riconoscimento.
Per questo motivo, viene classificata come una prova atipica. Ciò significa che il giudice può utilizzarla per fondare il suo convincimento, a patto che ne valuti attentamente l’affidabilità. Il punto cruciale non è la legalità della modalità con cui è avvenuto il riconoscimento, ma la sua credibilità sostanziale.
Il giudice di merito, secondo la Corte, deve accertare la credibilità della persona che riconosce l’imputato e la certezza manifestata durante l’identificazione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente analizzato questi profili, esponendo in modo logico e coerente i criteri che l’avevano portata a ritenere il riconoscimento attendibile.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale stabile e offre importanti spunti pratici. Insegna che, nel processo penale, la sostanza prevale sulla forma. Un’individuazione fotografica, anche se informale, può essere una prova decisiva se il giudice la ritiene, con motivazione logica e coerente, pienamente affidabile.
Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente contestare genericamente la modalità del riconoscimento, ma è necessario dimostrare elementi concreti che ne minino la credibilità o l’attendibilità del dichiarante. Per l’accusa, rafforza l’importanza di cristallizzare la certezza e la spontaneità del riconoscimento al momento della sua acquisizione. Infine, per il cittadino, è una conferma che la valutazione del giudice si basa sul principio del libero convincimento, che però deve sempre essere ancorato a una motivazione rigorosa e verificabile.
Qual è il valore legale di una individuazione fotografica in un processo penale?
Secondo la Corte di Cassazione, l’individuazione fotografica è una ‘prova atipica’ assimilabile a una dichiarazione testimoniale. La sua forza probatoria non dipende da rigide modalità formali, ma dalla valutazione del giudice circa la credibilità della persona che effettua il riconoscimento e la sua certezza nell’identificazione.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non sollevava questioni di violazione di legge (vizi di legittimità), ma contestava l’interpretazione e la valutazione delle prove fatte dal giudice di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Può un giudice basare una sentenza di condanna su una individuazione fotografica?
Sì, un giudice può valorizzare un’individuazione fotografica ai fini della dimostrazione dei fatti e quindi fondare un giudizio di colpevolezza su di essa. Tuttavia, è necessario che il giudice, nell’ambito del suo libero convincimento, accerti la credibilità di chi ha effettuato l’identificazione e motivi in modo congruo e logico l’affidabilità di tale riconoscimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23065 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23065 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DEGLI INNOCENTI NOME NOME a PRATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza dei 09/11/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. 23)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso sentenza recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato ascritto è inammissibile, perché l’unic motivo proposto attiene al merito della valutazione operata dalla Corte territoriale in punt di responsabilità, le cui argomentazioni sfuggono a rilievi di incongruenza o manifesta illogicità.
In particolare, va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’individuazione fotografica rappresenta una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e, come tale, costituisce una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, COGNOME, Rv. 271041; Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, COGNOME, Rv. 263302); pertanto, l’individuazione, quale prova atipica, ben può essere valorizzata dal giudice, nell’ambito del suo libero convincimento, ai fini della dimostrazione dei fatti, ove accertata la credibilità della persona che, in sede di individuazione, sia cer dell’identificazione operata (Sez. F., n. 43285 del 08/08/2019, COGNOME, Rv. 277471), potendo rilevare le modalità dell’individuazione non quanto alla legalità della prova, ma nell valutazione del valore probatorio, alla luce dell’apprezzamento in sede di scrutinio di legittimità della congruenza del percorso argomentativo utilizzato dal giudice di merito a fondamento dell’affidabilità del riconoscimento e, quindi, del giudizio di colpevolezza (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015 – dep. 2016, Coccia, Rv. 267562).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, il prof dell’individuazione fotografica operata dalla persona offesa e dalla Barison è stato correttamente analizzato nella sentenza impugnata; la Corte di appello ha puntualmente esposto i criteri di valutazione adottati e la loro pregnanza, con motivazione esente da vizi logici e coerente coi dati rappresentati.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 maggio 2024