Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13321 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13321 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
n pR. 2025
IL
NOME
Oggi,
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Crotone il 6 gennaio 1949;
avverso la ordinanza n. 125/23 RID della Corte di appello di Catanzaro del 27 maggio 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.sa NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Dopo che, con sentenza n. 48077 del 9 novembre 2023, i cui motivi sono stati pubblicati il successivo 4 dicembre 2023, la IV Sezione penale della Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la precedente ordinanza con la quale, in data 27 giugno 2022, la Corte di appello di Catanzaro aveva rigettato la richiesta di indennizzo per la ingiusta detenzione, in ipotesi, patit da COGNOME NOME, in regime di custodia carceraria una prima volta dal 28 aprile 2008 ai 12 aprile 2011 ed una seconda volta dal 5 luglio 2011 al 4 novembre 2012 ed in regime di detenzione domiciliare dal 14 novembre 2012 al 14 luglio 2015, data in cui la misura era stata convertita dalla Corte d assise di appello di Catanzaro in quella dell’obbligo di presentazione periodico di fronte alla polizia giudiziaria, la Corte di appello di Catanzaro, decidendo quale giudice del rinvio, ha, con ordinanza del 27 maggio 2024 nuovamente respinto la richiesta di indennizzo formulata dal COGNOME, avendo osservato che – essendo stato questo originariamente indagato, unitamente ad altri soggetti, sia in relazione alla violazione dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990 che in relazione alla violazione dell’art. 74 del medesimo testo normativo, lo stesso già con la sentenza di primo grado, emessa in data 10 marzo 2010, era stato assolto dal Gup del Tribunale di Catanzaro dalle imputazioni aventi ad oggetto la violazione dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, mentre era stato condannato per il reato associativo, imputazione dalla quale era stato, tuttavia, assolto con sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro emessa in data 14 gennaio 2016, divenuta irrevocabile il successivo 18 dicembre 2018 – a carico del COGNOME era ravvisabile un comportamento improntato alla colpa grave, tale da avere determinato l’applicazione ed il mantenimento della misura cautelare a suo danno, idoneo a giustificare, a prescindere dall’esito favorevole del procedimento penale svolto nei suoi confronti, il rigetto della istanza indennitaria da lui avanzata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A tale proposito la Corte catanzarese ha ricordato le dichiarazioni rilasciate da un collaboratore di giustizia, tale NOME COGNOME il quale ha indicat il COGNOME come facente parte di una “cosca” affiliata alla criminalità organizzata calabrese; tali dichiarazioni erano riscontrate da quanto riferito da altro collaboratore, tale NOME COGNOME il quale aveva indicato il COGNOME come uno dei partecipanti ad una riunione in cui era stato deliberato di porre in essere, nell’interesse della predetta “cosca”, della condotte sostanzialmente intimidatorie in danno di tale COGNOME NOME.
Ha aggiunto la Corte di Catanzaro che il COGNOME aveva riferito, nel corso di una deposizione da lui resa nell’ambito di altro processo, che un parente del COGNOME aveva acquistato droga dalla detta cosca e che lo stesso COGNOME gli aveva manifestato l’intenzione – poi non realizzatasi per la volontà contraria del COGNOME derivante dai cattivi rapporti fra la sua famiglia ed un altro gruppo criminale al quale era vicino il COGNOME – di legarsi a lui; ha, infine, aggiunto che, col tempo, i dissapori fra i due gruppi erano stati superati anche per l’intervento di COGNOME Vittorio, congiunto di COGNOME Antonio.
La Corte di Catanzaro ha ancora fatto riferimento ad altre dichiarazioni del COGNOME, secondo le quali il gruppo COGNOMERAGIONE_SOCIALE acquistava droga da soggetti albanesi e pugliesi ed a quelle ditale NOME COGNOME anch’egli collaboratore di giustizia, il quale ha riferito che il COGNOME, ancora nel 2008 era dedito alla agevolazione del traffico delle sostanze stupefacenti.
Sulla base di tali elementi – dimostrativi, ad avviso della Corte di appello di Catanzaro, della contiguità fra il COGNOME NOME ed ambienti criminali ed in particolare con soggetti implicati nel traffico degli stupefacenti (soggetti, s precisa, in relazione ai quali era intervenuta sentenza dì condanna irrevocabile per la loro partecipazione ad associazioni dedite al traffico di stupefacenti) ed essendo tali fattori integrativi della condotta gravemente colposa tenuta dall’istante idonea a dare causa alla adozione ed alla emissione della misura cautelare a suo carico – la Corte territoriale catanzarese anche in sede di giudizio di rinvio ha rigettato la istanza indennitaria presentata dal COGNOME.
Avverso la ordinanza illustrata ha interposto nuovo ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, COGNOME NOME, affidando le proprie doglianze ad un unico motivo di impugnazione, con il quale egli ha censurato la predetta ordinanza, sotto il profilo della violazione di legge in quanto, osserva il ricorrente, la Corte catanzarese si sarebbe limitata, attribuendo alle dichiarazioni rese dai citati collaboratori di giustizia un diverso significato rispetto a quello che era stata ad esse attribuito in sede di merito ad affermare l’esistenza di elementi gravemente indizianti a carico del ricorrente, senza fare riferimento a comportamenti da lui effettivamente tenuti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è risultato fondato e, pertanto, lo stesso è meritevole di accoglimento.
Ritiene il Collegio, trattandosi di impugnazione avente ad oggetto un provvedimento giudiziario emesso a seguito di una precedente annullamento con rinvio disposto da questa Corte di cassazione, che sia opportuno prendere le mosse – onde valutare, alla stregua della impugnazione nuovamente proposta dal COGNOME, la legittimità della ordinanza emessa in esito al giudizio rescissorio – dall’esame di quali siano state le ragioni che hanno condotto alla adozione del provvedimento rescindente ed in quale misura l’ordinanza ora censurata sia in rapporto di corretta continuità decisoria con la precedente sentenza di questa Corte.
Ora, come detto, la IV Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 48077 del 2023, ebbe ad annullare, con rinvio, la precedente decisione emessa dalla Corte di appello di Catanzaro in merito alla istanza presentata da COGNOME NOME e volta a conseguire l’indennizzo per la custodia cautelare, ritenuta ingiusta, da lui patita in regime intramurario per la durata di poco meno di 1500 giorni ed in regine di arresti domiciliari per circa ulteriori 1000 giorni; in tale occasione questa Corte rilevò che, nel rigettare la originaria istanza, la Corte territoriale era incorsa nel vizio di travisamento della prova allorché la stessa aveva sostenuto che il COGNOME era stato già giudicato, in relazione a fatti relativi agli anni 2001/2002 per la violazione dell’art. 74 de dPR n. 309 del 1990 con sentenza della stessa Corte catanzarese del 19 ottobre 2010 divenuta definitiva, senza tuttavia considerare che con siffatto provvedimento il COGNOME era stato assolto dalla imputazione a lui allora contestata; circostanza questa ritenuta, pertanto, non idonea ad integrare elementi utilizzabili ai fini della individuazione di condotte dolose o gravemente colpose attribuibili al ricorrente atte a determinare la successiva adozione ed il mantenimento delle misure cautelari delle quali adesso si discute. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ha aggiunto questa Corte che nella precedente ordinanza non erano state specificamente indicate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sulla base delle quali era stata inferita la vicinanza del COGNOME in epoca successiva al 2002 al sodalizio criminoso di cui alla imputazione a lui contestata né erano state indicate le fonti dichiarative alla cui stregua era stato sostenuto in su “inserimento in contesti criminali” sì da far concludere nel senso che le ambigue frequentazioni che avevano caratterizzato il suo vissuto, sintomatiche di una condotta gravemente colposa, avevano favorito l’adozione delle misure cautelari già ricordate.
Fatta questa premessa, rileva ora il Collegio che, nell’emendare i vizi dai quali era stata riscontrata affetta la primigenia ordinanza emessa dalla Corte territoriale calabrese, questa ha bensì chiarito quali siano state le font dichiarative in funzione delle quali era stata, in sede cautelare, ritenuta la prossimità del COGNOME ad ambienti criminosi – nella ordinanza della Corte distrettuale, infatti, si richiamano le dichiarazioni di tale NOME AntonioCOGNOME il qual ha indicato, ancora nel 2006, il COGNOME come facente parte di un gruppo criminale di elevato spessore; quelle di tale COGNOME COGNOME il quale, a sua volta, ha segnalato sia che nel 2004 il COGNOME NOME avrebbe partecipato ad una riunione finalizzata alla tutela della posizione del predetto sodalizio sia che lo stesso gli aveva manifestato la sua intenzione di legarsi a lui nella conduzione di affari criminali; quelle di tale NOME COGNOME il quale ha riferito che, sino al 2008, il COGNOME era dedito alla agevolazione del traffico di droga – ma, ritiene il Collegio, pur avendo apparentemente corrisposto al contenuto della sentenza rescindente, la ordinanza emessa dalla Corte di Catanzaro presenta, tuttavia, vizi tali da giustificare, alla stregua della nuova impugnazione presentata dalla difesa del COGNOME, un nuovo annullamento con rinvio.
Invero, premesso che le dichiarazioni richiamate nella citata ordinanza non sono state ritenute dai giudici del merito tali da giustificare l’affermazione della penale responsabilità del COGNOME – che, infatti, con sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Catanzaro del 14 gennaio 2026, divenuta irrevocabile il 18 dicembre 2018, è stato assolto, come già era avvenuto in relazione alla sua appartenenza ad un gruppo criminale riferita agli anni 2001/2002, dalla medesima imputazione, riguardante, tuttavia un successivo periodo temporale, in funzione della quale lo stesso era stato attinto dalla misura cautelare in relazione alla quale ora egli chiede di essere indennizzato – va segnalato il fatto che, esclusa la immediata rilevanza delle dichiarazioni di cui sopra, considerato che le stesse appaiono non essere state ritenute veritiere in sede di merito, la Corte di Catanzaro non ha allegato alcun comportamento, gravemente colposo o doloso, direttamente riferibile al COGNOME che possa avere dato causa all’applicazione a suo carico della misura cautelare in questione.
Deve, al riguardo, segnalarsi che – sebbene vada rimarcato il dato secondo il quale il diritto all’indennizzo derivante dalla ingiusta applicazione a carico di una determinata persona della misura cautelare privativa della libertà personale non è suscettibile di scaturire automaticamente per effetto della sua assoluzione in esito al giudizio di merito dalle imputazioni che aveva
determinato l’applicazione della misura, posto che, come più volte rimarcato anche da questa Corte, la diversità del criterio di giudizio che sovrintende alla adozione della misura cautelare custodiale (sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari non altrimenti presidiabili) ed alla affermazione della responsabilità penale (accertamento degli elementi costitutivi della stessa al di là di ogni ragionevole dubbio) rende fisiologicamente possibile il ricontrarsi delle condizioni ostative (legate al comportamento doloso o gravemente colposo dell’istante) all’accoglimento della istanza di liquidazione dell’indennizzo pur in presenza di una sentenza di carattere assolutorio al termine del giudizio di merito (per tutte: Corte di Cassazione, Sezione IV penale, 19 gennaio 2021, n. 2145, rv 280246) tuttavia, onde rilevare la sussistenza delle predetto condizioni ostative è pur sempre necessario che il giudice dell’indennizzo evidenzi l’esistenza di condotte materiali tenute dal soggetto interessato che, sebbene non decisive sul piano della responsabilità penale, abbiano, come detto, integrato, essendo caratterizzate dal dolo o dalla colpa grave, gli elementi che hanno legittimato l’esistenza a suo carico dei gravi indizi di colpevolezza o che abbiano fatto ritenere rilevanti le esigenze cautelari.
Infatti, come questa Corte ha precisato, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, rappresentata dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta detenzione, deve concretarsi in comportamenti del soggetto colpito da misura cautelare, che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 15 aprile 2010, n. 14581, rv 247130).
Un tale ordine di idee è stato recentissimamente ribadito da questa Corte, proprio in tema di reati associativi, allorché essa ha ulteriormente puntualizzato che integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, in tale genere di illeciti penali, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale, mantenendo con gli appartenenti all’associazione frequentazioni ambigue, tali da far sospettare il diretto coinvolgimento nelle attività illecite (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 8 gennaio 2025, n. 574, rv 287332).
Nel caso che ora interessa la Corte catanzarese non ha individuato, o quanto meno non ha riportato, alcun comportamento positivamente attribuibile al COGNOME, essendosi essa limitata a richiamare una serie di dichiarazioni rese da terzi – peraltro non ritenute sufficienti per condurre alla affermazione della responsabilità penale dell’attuale ricorrente – senza nulla
precisare, salva la oramai indiscussa irrilevanza penale di tali condotte, in ordine alla effettività di tali condotte.
In tale senso la motivazione della ordinanza impugnata si presenta gravemente difettiva posto che solo in quanto fosse emersa, al di là della rilevanza penale della condotta tenuta dal soggetto, la riferibilità allo stesso di comportamenti materiali sarebbe stato possibile formulare un giudizio sulla natura dolosa o gravemente colposa di quelli, essendo inadeguata al riguardo qualsivoglia affermazione che si basi esclusivamente su informazioni riportate da soggetti terzi rispetto all’interessato, che non siano state riscontrate come effettivamente veritiere.
Si vuole, in altre parole, ribadire che, ai fini dell’accertamento della integrazione o meno delle condizioni ostative all’indennizzo per la ingiusta detenzione cautelare patita da un soggetto, sebbene non sia sufficiente onde escluderlo il solo fatto che questi sia stato assolto in sede penale, è tuttavi necessario, affinché ne risulti con sufficiente certezza la sussistenza, che siano emerse condotte materiali a lui direttamente riferibili – e non indimostratamente riportate da terzi, connotate dall’essere state, per il dolo o per la grave colpa che le ha caratterizzate, la causa o la concausa della adozione della misura cautelare privativa della libertà personale dell’interessato.
Nulla avendo la Corte di Catanzaro riportato al riguardo, non avendo cioè la stessa chiarito se ed in quale misura le condotte attribuite dai ricordati collaboratori di giustizia al COGNOME – tali, ove effettivamente tenute, da integrare le condizioni ostative all’accoglimento della domanda di indennizzo da quello formulata – siano state da questo effettivamente realizzate, la ordinanza impugnata deve essere nuovamente annullata con rinvio ad altra Sezione di tale Corte di appello affinché, in esito a nuovo giudizio, colmi le lacune argomentative riscontate nella ordinanza censurata.
PQM
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2025
GLYPH