Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14492 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14492 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 27/04/1960
COGNOME NOME nato a Napoli il 17/01/1957
avverso la sentenza del 13/05/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat generale NOME COGNOME che ha chiesto in accoglimento del terzo motivo del ricorso nell’interesse di COGNOME NOME e con effetto estensivo confronti di COGNOME NOMECOGNOME dichiararsi non doversi procedere nei confronti entrambi gli imputati per estinzione dei reati determinata da prescrizi rigettarsi il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, dich inammissibile nel resto il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME; udito l’avv. NOME COGNOME per la costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi ov per il loro rigetto; uditi i difensori, avv. NOME COGNOME – per COGNOME NOME e COGNOME NOME – e avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME, che hanno concluso p l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/05/2024 la Corte di appello di Napoli, in rifor
della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 30/11/2022 nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sull’appello della parte civile RAGIONE_SOCIALE li condannava al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, confermando nel resto la sentenza impugnata.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
messe in atto dall’amministrazione di appartenenza siano state in qualche modo aggirate; che sussiste l’interesse a ricorrere, atteso che la corretta qualificazione giuridica del fatto implica anche la valutazione della rilevanza penale dello stesso, tenuto conto che la percezione indebita di erogazioni al di sotto della soglia di euro 3.999,96 non rileva penalmente, ma costituisce illecito amministrativo; che la somma complessiva indebitamente percepita dal COGNOME, relativa ai mesi di ottobre e novembre 2014, è pari ad euro 2.131,94, dunque, inferiore alla soglia di rilevanza penale prevista dall’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento alla configurabilità del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. Rile che entrambe le sentenze di merito non indicano da quali elementi abbiano desunto che al mero silenzio serbato dal ricorrente si sia accompagnato quel quid pluris richiesto dall’art. 640-bis cod. pen., cioè quell’attività fraudolenta che si andata oltre la semplice esposizione (mediante omissione) di dati falsi, vanificando o comunque rendendo meno agevole l’attività di controllo da parte delle autorità preposte; che il mero silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere alla controparte, qualora non sia accompagnato da ulteriori malizie dirette all’induzione in errore del soggetto passivo, integra il reato di cui all’art. 316cod. pen.; che, nel caso di specie, la formazione della volontà dell’ente è preordinata ex lege in termini di erogazione dell’indennità di esclusività per i dirigenti del ruolo sanitario, di talchè la fase valutativa si limita alla verifica novembre di ciascun anno della esistenza o inesistenza della dichiarazione con cui il medico richiede il rapporto di lavoro non esclusivo, prevista dall’art. 15 quater del D.Igs. n. 502/1992; che, dunque, non vi può essere induzione in errore nel percorso decisorio, atteso che l’ente erogatore si rappresenta solo l’esistenza di una formale dichiarazione del richiedente, cioè se c’è o non c’è, senza eseguire ulteriori autonomi accertamenti in ordine alla sua corrispondenza al vero; che la truffa si configura, invece, quando l’amministrazione eroghi il contributo all’esito di preventive verifiche volte a riscontrare l’esistenza d requisiti richiesti, per cui il processo di formazione della volontà risulta infici dalla condotta tenuta dal privato all’interno del procedimento; che nel caso che qui occupa non può esservi stata induzione in errore dell’ente di appartenenza, specie se si considera che la dichiarazione in discorso interviene in epoca precedente rispetto al verificarsi delle condizioni ostative, per cui non vi può essere induzione in errore per mezzo di una dichiarazione omessa per un fatto verificatosi quasi un anno dopo; che, anzi, proprio tale sfasamento temporale Corte di Cassazione – copia non ufficiale
rende dubbia anche la configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., atteso che la dichiarazione omessa trova la sua ragione nella assenza a quel dato momento di condizioni ostative. Osserva, altresì, il difensore che l’illiceità del fatto, da un punto di vista sostanziale, si individua proprio nella indebita percezione dell’emolumento, non nella dichiarazione negoziale, che per sua natura non può definirsi né falsa né tanto meno può influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo; che, in altri termini, il disvalore risiede nell percezione dell’erogazione, che non deve essere necessariamente sine titulo ab origine, ma che lo può diventare eventualmente, proprio come nel caso che si sta esaminando, anche in un momento successivo; che anche sotto questo ulteriore profilo la motivazione del provvedimento impugnato è carente, visto che non risponde alle specifiche doglianze difensive. In ogni caso, la difesa, ritenuto che nella giurisprudenza di legittimità si rinvengono oscillazioni interpretative in relazione al criterio distintivo tra il reato di cui all’art. 640 quello di cui all’art. 316-ter cod. pen., chiede di valutare l’opportunità rimettere la questione alle Sezioni Unite.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 546 cod. proc. pen. Rileva che la sentenza impugnata non ha individuato il segmento temporale in cui deve essere sussunta la condotta criminosa; che ciò ha comportato l’impossibilità di compiere una valutazione economica relativa all’effettivo risarcimento da corrispondere alla parte civile; che alcun ragionamento logico giuridico è stato adottato dalla Corte territoriale, che ha circoscritto le proprie conclusioni unicamente alla comprovata responsabilità degli imputati per il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., peraltr utilizzando argomentazioni che non hanno formato oggetto di censura da parte della difesa del COGNOME non avendo rinunciato l’imputato alla prescrizione; che comunque la sentenza non ha tenuto conto delle doglianze difensive contenute nella memoria scritta depositata in atti.
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 576 cod. proc. pen. Osserva che la Corte di merito ha errato nel ritenere ammissibile l’appello della parte civile, innanzitutto, perché è espressamente prevista la possibilità di proporre appello per la responsabilità civile e non anche per gli interessi civili; che, invero, richiesta avrebbe dovuto essere finalizzata ad individuare la prova della responsabilità degli imputati, piuttosto che la possibilità (l’interesse) a costituir parte civile; che i motivi di appello non erano specifici, sol che si consideri che
non consentivano di collegare la responsabilità per la singola fattispecie delittuosa all’astratto diritto al risarcimento; che la giurisprudenza di legittimi ha in più occasioni affermato che la parte civile non è legittimata a proporre appello avverso la sentenza di primo grado che, avendo dichiarato estinto il reato per prescrizione, abbia omesso di pronunciare sulle pretese risarcitorie della persona offesa, dovendosi escludere che al giudice di appello possa chiedersi una statuizione che non sarebbe stata consentita al giudice di primo grado.
3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. Evidenzia come i giudici di secondo grado, dopo aver rilevato l’errato accertamento della compiuta prescrizione nel giudizio di primo grado, abbiano poi omesso di rilevare la prescrizione dei reati avvenuta comunque prima della pronuncia della sentenza di appello; come ciò sarebbe dovuto avvenire a prescindere dall’eccezione di parte; come tale omissione abbia impedito la formazione del giudicato sostanziale del provvedimento impugnato.
3.4. Con il quarto motivo si duole della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 581 cod. proc. pen. Rileva ch mancava l’interesse in capo alla parte civile a proporre appello, atteso che, trattandosi di deliberazione ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., non era stata pregiudicata in alcun modo la possibilità di esercitare utilmente l’azione civile nella sede propria di giudizio; che in ogni caso la parte civile non avrebbe potuto chiedere alla Corte territoriale di rivalutare l’effettivo decorso del termine d prescrizione, potendo impugnare per i soli interessi civili la sentenza di proscioglimento.
3.5. Con il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 591 cod. proc. pen., evidenziando che i giudici di secondo grado hanno errato nel non dichiarare inammissibile l’appello, in quanto recante una causa petendi inadeguatamente motivata.
La parte civile, con memoria pervenuta in data 20/02/2025, ha dedotto che, poiché l’appello per gli interessi civili proposto dalla RAGIONE_SOCIALE Napoli 1 aveva ad oggetto esclusivamente il calcolo dei termini massimi di prescrizione, tale aspetto è l’unico devoluto all’esame della Suprema Corte; che la costituzione di parte civile altro non è che l’esercizio dell’azione civile in sede penale, che avviene in relazione ai capi della contestazione che si assumono estinti per intervenuta prescrizione, per cui non è possibile dedurre la compromissione degli interessi civili prescindendo dalla negazione della responsabilità penale degli imputati, su cui per altro, si soffermano lungamente e diffusamente entrambe le
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sentenze di merito, nonostante l’appello fosse incentrato solo sul computo del termine di prescrizione dei reati; che, comunque, non è deducibile il vizio relativo all’omessa declaratoria della causa di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., atteso che, se ci fossero stati i presupposti, avrebbe dovuto prevalere sulla declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione; che la scelta di insistere in sede penale per il risarcimento del danno, in luogo che adire il giudice civile, non è sindacabile, rientrando nelle facoltà dell’ente; che, anche il motivo sulla qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo 3) non è ammissibile, tenuto conto che in questa sede si discute solo in merito al corretto computo del termine di prescrizione effettuato dal giudice di prime cure.
CONSIDEFtATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Colgono, invero, nel segno i due motivi cui è affidato, che – per essere entrambi relativi alla qualificazione giuridica della condotta tenuta dall’odierno ricorrente – possono essere trattati congiuntamente.
1.1. Va, innanzitutto, premesso che la fattispecie delittuosa di cui all’art. 316-ter cod. pen. è stata introdotta nell’ordinamento per coprire aree di impunità in relazione a condotte che non erano inquadrabili nel paradigma della truffa, dunque, per estendere la punibilità rispetto a condotte decettive (in danno di enti pubblici o comunitari) non incluse nell’ambito operativo dell’art. 640-bis cod. pen. Ciò comporta che l’applicazione dell’art. 316-ter cod. pen. è riservata a situazioni del tutto marginali.
Del resto, sia la giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, COGNOME, in motivazione), che quella costituzionale (Corte cost., ord. n. 95 del 2004), hanno avuto cura di precisare che detta norma ha carattere sussidiario e residuale rispetto alla previsione di cui all’art. 640-bis cod. pen., atteso che – alla luce del dato normativo e della ratio legis -assicura una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella offerta agli stessi interessi dall’art. 640-bis cod. pen., coprendo in specie gli eventuali margini di scostamento, per difetto, del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode.
Ciò posto, deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, anche nella sua più autorevole composizione, ha in più occasioni affermato che, quando si distingue tra la truffa aggravata (ex art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen. e art. 640-bis cod. pen.) ed il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., non è sufficiente il mero «silenzio omissivo antidoveroso» ad integrare gli artifici o raggiri tipici della truffa, essendo invece necessario
«comportamento fraudolento in aggiunta al mero silenzio» e che là dove la condotta dell’agente sia puramente omissiva, consista cioè in un mero «silenzio antidoveroso», può configurarsi la fattispecie meno grave di cui all’art. 316-ter cod. pen., la quale prevede, tra le condotte tipiche alternative, anche «l’omissione di informazioni dovute» (Sez. U, COGNOME, cit., in motivazione; Sez. U, COGNOME, cit., in motivazione; ex plurimis, in tema di truffa all’Inps attuata con comportamenti omissivi: Sez. 2, n. 16817 del 26/02/2019, COGNOME, Rv. 275815 – 01; Sez. 2, n. 47064 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271242 – 01; Sez. 2, n. 21000 del 08/02/2011, COGNOME, Rv. 250262 – 01; in tema di truffa sul cd. bonus cultura: Sez. 2, n. 38716 del 22/06/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 38717 del 22/06/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 30268 del 08/06/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2 n. 29563 del 08/06/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 30865 del 06/06/2023, COGNOME, n.m.).
Dunque, l’art. 316-ter cod. pen., ha carattere del tutto residuale, come peraltro dimostra anche la circostanza che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva («salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis cod. pen.»); punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa – caratterizzate, oltre che da silenzio antidoveroso, da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi nelle quali, tuttavia, l’erogazione non è conseguenza della falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente erogatore, che non viene indotto in errore, in quanto in realtà si limita a prendere atto della formale attestazione del richiedente, in tutti i casi in cui l’erogazione del contributo possa legarsi, almeno in via provvisoria, all’esistenza della formale dichiarazione dell’istante.
Dalla astratta problematicità della questione consegue che la verifica circa la distinzione tra i due reati debba avvenire in concreto, caso per caso, dovendosi in linea di massima ritenere configurata l’ipotesi di cui all’art. 316-ter cod. pen. tutte le volte in cui, da un lato, il procedimento per l’erogazione del beneficio pubblico sia assai semplice e, dall’altro, la condotta dell’agente si esaurisca nella omissione della dichiarazione o nella presentazione della dichiarazione falsa, della cui sola inesistenza-esistenza l’ente deve prendere atto.
1.2. Tanto chiarito in punto di diritto e tornando al caso oggetto di scrutinio, osserva il Collegio che dalle sentenze di merito non è dato comprendere se vi siano stati e, in caso positivo, in che modo si siano estrinsecati quei comportamenti decettivi ulteriori, rispetto al silenzio antidoveroso serbato dal COGNOME e relativo allo svolgimento di attività privata, che, inducendo in errore la ARAGIONE_SOCIALE. di appartenenza, gli avrebbero consentito di ottenere indebitamente l’indennità di esclusività.
Trattasi di un accertamento che involge circostanze di fatto, in quanto tale
precluso in sede di legittimità, che dovrà effettuare il giudice civile del rinvio, all luce del principio di diritto sopra fissato, al fine di stabilire se la condotta d ricorrente vada sussunta nella fattispecie di cui all’art. 640-bis cod. pen., ovvero in quella prevista e punita dall’art. 316-ter cod. pen.; inoltre, tenuto conto che la sentenza impugnata ha circoscritto le condotte solo al mese di novembre 2014, qualora dovesse ritenere configurato il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, il giudice civile del rinvio dovrà svolgere un ulteriore accertamento, relativo al superamento della soglia di cui all’art. 316-ter, comma 2, cod. pen., che conferisce rilevanza penale alla condotta, dovendosi altrimenti ritenere configurato l’illecito amministrativo.
D’altra parte, non può essere condiviso il percorso logico argomentativo seguito dalla parte civile nella memoria scritta, secondo il quale i motivi in punto di qualificazione giuridica del fatto sarebbero inammissibili, in quanto l’appello per gli interessi civili proposto dalla RAGIONE_SOCIALE Napoli RAGIONE_SOCIALE aveva ad oggetto esclusivamente il calcolo dei termini massimi di prescrizione, di talchè questo sarebbe l’unico profilo devoluto all’esame di questa Corte.
Osserva sul punto il Collegio che la sentenza di appello, avendo preso in esame le condotte ascritte all’odierno ricorrente, sia pure ai soli fini civili, lo per così dire rimesso in gioco, dopo la dichiarazione di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione di cui alla sentenza di primo grado, legittimandolo a far valere anche la questione relativa alla qualificazione giuridica, specie nel momento in cui occorre accertare il superamento o meno della soglia di cui all’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen., posto che in quest’ultimo caso il fatto di reato non sussiste.
1.3. L’accoglimento dei motivi in punto di qualificazione giuridica non si estende al coimputato NOME COGNOME non essendo i due imputati concorrenti nello stesso reato. Trattasi, invero, di fatti storici diversi, mentre l’effe estensivo dell’impugnazione presuppone l’identità del fatto, essendo dettato dall’esigenza di evitare disarmonie di trattamento tra soggetti in identica posizione, taluno dei quali abbia proposto impugnazione con esito favorevole.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Si osserva, invero che la sentenza di primo grado (confermata da quella di appello) ha ben collocato nel tempo le condotte criminose ascritte al ricorrente, circoscrivendole tutte al mese di novembre 2014; che i comportamenti tenuti dal COGNOME sono stati analiticamente esaminati dalla sentenza impugnata, sia pure ai soli effetti civili, dando conto delle ragioni che hanno determinato la condanna al risarcimento dei danni. Trattasi di motivazione congrua ed esente da vizi logici,
che, dunque, non è censurabile in sede di legittimità.
2.2. Anche il secondo ed il quarto motivo – che, essendo relativi all’interesse ad impugnare della parte civile, possono essere trattati congiuntamente – sono manifestamente infondati. Sul punto, premesso che spetta al danneggiato dal reato scegliere se far valere le proprie pretese risarcitorie in sede civile o mediante la costituzione di parte civile nel processo penale, è sufficiente evidenziare che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammissibile l’impugnazione della parte civile ove con la stessa si contesti l’erroneità di detta dichiarazione (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME Federico c/ COGNOME Cristina, Rv. 275953 – 01). Invero, la legittimazione della parte civile ad impugnare deriva direttamente dalla previsione dell’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., mentre l’interesse concreto deve individuarsi nella finalità di ottenere, in caso di appello, il ribaltamento della prima pronuncia e l’affermazione di responsabilità dell’imputato, sia pure ai soli fini delle statuizioni civili e, in caso di ricors cassazione, l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di appello, ex art. 622 cod. proc. pen., senza la necessità di iniziare ex novo il giudizio civile.
2.3. Manifestamente infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso. In proposito, si osserva che il giudice di appello, in assenza dell’impugnazione del pubblico ministero, che ha reso irrevocabile la pronuncia di estinzione del reato, procedeva solo agli effetti civili, con la conseguenza che non vi era ragione di pronunciarsi sulla prescrizione del reato; del resto, la condanna è intervenuta solo ed esclusivamente in relazione al risarcimento del danno.
2.4. Il quinto motivo, con il quale il ricorrente si duole della mancata dichiarazione di inammissibilità dell’appello proposto dalla parte civile per la genericità della causa petendi, è manifestamente infondato, atteso che l’appello della parte civile specifica in modo puntuale le ragioni dell’impugnazione, individuate nell’erroneo calcolo del termine di prescrizione dei reati.
2.5. All’inammissibilità del ricorso del COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
2.6. Dall’esito del giudizio discende anche la condanna del COGNOME alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile, che si liquidano in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civi
competente in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE Napoli RAGIONE_SOCIALE in
persona del leg. rappr. p.t., che liquida in complessivi euro 3.686/00, oltre accessori di legge.
14
marzo 2025.
Così deciso in Roma, il giorno