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Indennità di esclusività: quando è truffa?

La Corte di Cassazione interviene sul caso di un medico che percepiva l’indennità di esclusività pur svolgendo attività privata. La sentenza annulla la condanna al risarcimento danni, chiarendo la fondamentale differenza tra truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) e indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). Per la truffa, non basta il mero silenzio, ma occorre un comportamento fraudolento aggiuntivo che induca in errore la Pubblica Amministrazione. Il caso è stato rinviato al giudice civile per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Indennità di esclusività: la linea sottile tra truffa e indebita percezione

La percezione dell’indennità di esclusività da parte di un medico del Servizio Sanitario Nazionale che, al contempo, svolge attività libero-professionale, è una questione complessa che si pone al confine tra illecito penale e amministrativo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali per distinguere tra il grave reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.) e la meno grave fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). La Corte ha stabilito che il semplice silenzio o l’omissione di una comunicazione non sono sufficienti, da soli, a configurare una truffa, per la quale è necessario un ‘qualcosa in più’ di natura fraudolenta.

Il caso: due medici e l’indennità non dovuta

Il caso esaminato riguardava due medici dipendenti di un’azienda sanitaria pubblica. Entrambi erano accusati di aver percepito indebitamente l’indennità di esclusività, omettendo di comunicare all’ente di appartenenza lo svolgimento di attività lavorativa privata, incompatibile con tale beneficio economico. Inizialmente, il reato era stato qualificato come truffa aggravata. Tuttavia, a seguito dell’estinzione del reato per prescrizione, la questione è proseguita in sede civile per la richiesta di risarcimento danni avanzata dall’azienda sanitaria.

La distinzione cruciale: Truffa Aggravata vs. Indebita Percezione

Il cuore della controversia legale, e il punto focale della decisione della Cassazione, risiede nella corretta qualificazione giuridica del fatto. La difesa di uno dei medici ha sostenuto che la condotta dovesse essere inquadrata non come truffa, ma come indebita percezione di erogazioni pubbliche.

* Art. 640-bis c.p. (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche): Richiede la presenza di ‘artifizi o raggiri’, ovvero un comportamento attivo e ingannevole volto a indurre in errore la Pubblica Amministrazione, la quale, a causa di tale inganno, eroga un contributo non dovuto.
* Art. 316-ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato): È una norma a carattere residuale. Si applica quando l’erogazione avviene senza che vi sia stata una vera e propria induzione in errore dell’ente, ma piuttosto a seguito della semplice presentazione di dichiarazioni false o dell’omissione di informazioni dovute, in contesti dove l’amministrazione non svolge controlli preventivi complessi ma si limita a prendere atto di quanto dichiarato (o non dichiarato).

La decisione della Corte di Cassazione sull’indennità di esclusività

La Suprema Corte ha accolto il ricorso di uno dei medici, annullando la sentenza di condanna al risarcimento e rinviando la causa al giudice civile per un nuovo esame. Per quanto riguarda il secondo medico, il cui ricorso si basava su motivi procedurali, la Corte lo ha dichiarato inammissibile.

Le motivazioni

La Cassazione ha ribadito che per integrare il reato di truffa non è sufficiente un ‘mero silenzio antidoveroso’. Serve un ‘quid pluris’, un comportamento fraudolento aggiuntivo che vada oltre la semplice omissione della comunicazione dovuta. Nel caso di specie, il sistema di erogazione dell’indennità di esclusività è automatico; spetta al medico comunicare la rinuncia per svolgere attività privata. Se l’amministrazione eroga il beneficio basandosi unicamente sull’assenza di tale comunicazione, senza essere stata oggetto di ulteriori macchinazioni ingannevoli, la condotta ricade nell’ipotesi meno grave dell’art. 316-ter c.p.

Le conclusioni

La decisione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, stabilisce che la responsabilità penale deve essere valutata caso per caso, verificando se l’agente abbia posto in essere condotte attivamente decettive. In secondo luogo, la riqualificazione del fatto come indebita percezione (art. 316-ter c.p.) apre la porta a un’ulteriore valutazione: tale norma prevede una soglia di punibilità (pari a euro 3.999,96). Se l’importo indebitamente percepito è inferiore a tale soglia, il fatto non costituisce reato ma solo un illecito amministrativo. Il giudice del rinvio dovrà quindi non solo stabilire se vi fu un ‘quid pluris’ fraudolento, ma anche, in caso negativo, verificare se la somma percepita superi la soglia di rilevanza penale. Questa sentenza riafferma un principio di proporzionalità, distinguendo la maliziosa omissione da una vera e propria macchinazione fraudolenta.

Qual è la differenza tra truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) e indebita percezione (art. 316-ter c.p.) riguardo all’indennità di esclusività?
La truffa aggravata richiede un comportamento fraudolento attivo (artifizi o raggiri) che induca in errore la pubblica amministrazione. L’indebita percezione, invece, è una fattispecie residuale che punisce il mero silenzio o la presentazione di dichiarazioni false in contesti dove l’ente erogatore non è indotto in errore ma si limita a prendere atto della situazione formale.

Il semplice silenzio di un medico che svolge attività privata è sufficiente per configurare il reato di truffa per la percezione dell’indennità di esclusività?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il ‘mero silenzio antidoveroso’ non è sufficiente per configurare la truffa. È necessario un ‘quid pluris’, ovvero un comportamento fraudolento aggiuntivo che vada oltre la semplice omissione della comunicazione dovuta.

Cosa succede se l’importo dell’indennità di esclusività percepita indebitamente è inferiore a una certa soglia?
Se la condotta viene qualificata come indebita percezione ai sensi dell’art. 316-ter c.p. e l’importo totale ricevuto è inferiore alla soglia di 3.999,96 euro, il fatto perde la sua rilevanza penale e viene considerato unicamente un illecito amministrativo, sanzionabile con una multa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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