Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36118 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36118 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Caltanissetta il DATA_NASCITA, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Carmagnola il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nata ad Avellino il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO generale AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME, COGNOME e COGNOME e per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza gravata relativamente agli altri ricorrenti, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di applicazione di misure personali e reali avanzata nei confronti di 21 persone indagate a vario titolo dei reati di associazione a delinquere, di truffa aggravata e del reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015. Il G.I.P., in particolare, escludeva la gravità indiziaria rispetto al reato associati riteneva configurabile, quanto ai capi 3, 5, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 22, 24 e 26, i reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015, per il quale non era stata avanzata alcuna richiesta cautelare, trattandosi di fattispecie contravvenzionali, mentre, quanto ai capi 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 21, 23 e 25, il G.I.P. ritene configurabile non il contestato delitto di truffa aggravata, ma quello di indebita compensazione, da considerarsi speciale, e rigettava la richiesta cautelare, in base al rilievo secondo cui le risultanze RAGIONE_SOCIALE verifiche fiscali eseguite in capo al imprese appaltatrici avevano già formato oggetto di denuncia presso le rispettive sedi giudiziarie, integrando ciò un ne bis in idem cautelare.
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., disponeva, in relazione al capo 23 della provvisoria imputazione, il sequestro preventivo diretto, fino alla concorrenza dell’importo di 75.025,61 euro, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapport bancari intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE; il sequestro preventivo diretto e per equivalente, fino alla concorrenz dell’importo di 75.025,61 euro, di beni mobili e immobili, somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità del RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, o, in via subordinat in caso di incapienza parziale o totale dei beni riconducibili alla società, il sequestr per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo di 75.025,61 euro, di beni mobili e immobili, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, riconducibi comunque nella disponibilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso l’ordinanza del Tribunale nisseno, hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
3.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, tramite l’avvocato AVV_NOTAIO, hanno proposto due ricorsi, distinti ma sovrapponibili, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa censura l’erronea riqualificazione del fatto, osservando che, nel ritenere configurabile il delitto di indebita compensazione in luogo di quello di truffa aggravata, il Tribunale del Riesame sarebbe incorso in un errore di diritto, avendo enucleato un fatto diverso, rispetto al quale difettava l’iniziativa del P.M., il quale, invero, nella richiesta cautelare, aveva precisato che per il reato ex art 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000 si procedeva separatamente.
E del resto il delitto di indebita compensazione, proprio perché speciale rispetto al reato di truffa, come correttamente precisato nell’ordinanza impugnata, presenta rispetto a quest’ultima fattispecie elementi distinti e ulteriori, in ordine ai quali vi è stata contestazione, con conseguente difetto di contraddittorid.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione del ne bis in idem cautelare, rilevandosi che è stato documentato dalle difese che, in relazione a tutte le operazioni di compensazione, pende dinanzi all’Autorità giudiziaria di Torino il procedimento penale n. 24781/2019 R.G.N.R., nel quale il P.M. ha già esercitato l’azione penale e nel quale è stato anche disposto il sequestro per equivalente RAGIONE_SOCIALE somme che si ritengono evase, per cui il fatto che il P.M. torinese non abbia ravvisato la presenza di concorrenti/beneficiari nel reato di indebita compensazione ascritto ai ricorrenti non comporta che costoro debbano rispondere al Tribunale di Caltanissetta, in ordine alle stesse operazioni, di un reato diverso.
3.2. NOME COGNOME, tramite l’avvocato COGNOME, ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione del principio del bis in idem cautelare, osservando che, per i medesimi reati, il G.I.P. del Tribunale di Torino ha già disposto il sequestro preventivo per gli stessi fatti, non avendo il Tribunale del Riesame considerato che le contestazioni elevate dalla Procura della Repubblica di Torino contengono tutti i crediti compensati dal RAGIONE_SOCIALE negli anni 2018 e 2019, e dunque anche i debiti originati dal mancato pagamento di contributi previdenziali e assistenziali derivanti dai contratti di appalto di servizi con società nissene RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, avendo l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Torino preso in considerazione tutte le compensazioni effettuate dal RAGIONE_SOCIALE nei predetti anni.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 18, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, per avere il Tribunale individuato la competenza per territorio utilizzando il criterio sussidiario del luogo di accertamento del reat anziché il luogo di commissione del reato, che è quello del luogo di presentazione dei modelli F24 con i quali sono state operate le compensazioni; stante l’incertezza sull’individuazione di tale luogo, la competenza andava radicata quindi presso il Tribunale di Torino, atteso che ivi c’è stata la prima iscrizione della notizia di reat
3.2.1. Con memoria trasmessa il 12 giugno 2024, il difensore di fiducia della ricorrente COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
3.3. NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, tramite l’avvocato COGNOME, ha sollevato tre motivi.
Con il primo, è stata eccepita la violazione dell’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, rimarcandosi il difetto della soglia di punibilità del reato contestato atteso che dal raffronto tra il capo di imputazione 23 e la motivazione del provvedimento impugnato emerge l’errore compiuto dal Tribunale, che ha sommato gli importi indicati nel capo di imputazione, sebbene gli stessi si riferiscano a due annualità distinte, ossia il 2018 e il 2019, senza considerare che il presunto profitto ammontava, per l’anno 2018, a 42.442,30 euro e, per l’anno 2019, a 32.582,88 euro, per cui l’importo totale di 75.025,61 euro non rileverebbe ai fini del superamento della soglia di punibilità, che va riferita a ogni singol annualità fiscale.
Con il secondo motivo, la difesa censura la valutazione del fumus commisi delicti e RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, osservando che il Tribunale ha omesso di considerare che, come era stato sottolineato nella memoria difensiva, la società amministrata dall’odierno ricorrente non ha tratto alcun vantaggio dall’operazione fiscale contestata, avendo pagato regolarmente l’importo pattuito e l’Iva, per cui il reato contestato è insussistente dal punto di vista non solo oggettivo, ma anche soggettivo, atteso che l’operazione sottostante ai fatti di causa era regolare.
Anche sotto il profilo RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari l’ordinanza impugnata sarebbe carente, non essendo stata argomentata la configurabilità del pericolo concreto di recidiva, a fronte dell’occasionalità della condotta e della sua risalenza nel tempo.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è la violazione degli art. 10 quater e 12 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, 143 della legge n. 244 del 2007, 321, comma 2, cod. proc. pen. e 322 ter cod. pen., rilevandosi che il Tribunale ha commesso un macroscopico errore nel computo dell’imposta evasa, sommando gli importi indicati nel capo di imputazione, sebbene gli stessi si riferiscano a due annualità distinte, ossia il 2018 e il 2019, senza considerare che il presunto profitto ammontava, per l’anno 2018, a 42.442,30 euro e, per l’anno 2019, a 32.582,88 euro, mentre l’importo totale di 75.025,61 euro non rileva ai fini del superamento della soglia di punibilità, che va riferita a ogni singola annualità, incidendo ciò s sulla valutazione indiziaria, sia sul giudizio relativo al periculum in mora.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato il primo motivo dei ricorsi di COGNOME e della COGNOME, mentre i ricorsi della COGNOME, di RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE sono inammissibili.
Iniziando dai ricorsi di COGNOME e della COGNOME, tra loro del tutto sovrapponibili, e partendo per ragioni di priorità logica dal secondo motivo, .,
occorre osservare che sono manifestamente infondate le censure che contestano la violazione del divieto di bis in idem, sul rilievo che i fatti oggetto del presente procedimento sono gli stessi che costituiscono oggetto del procedimento penale pendente a Torino.
Sul punto deve evidenziarsi che il divieto di bis in idem non derivante da giudicato, come afferma ripetutamente la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente (così Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800 – 01, nonché Sez. 6, n. 41380 del 19/09/2023, COGNOME, Rv. 285354 – 01, e Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269422 – 01). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno precisato che: «il riferimento alle regole sui conflitti risulta indubbiamente corretto nei casi duplicazione del processo dinanzi a sedi giudiziarie diverse, dato che la contemporanea cognizione dell’identica regiudicanda ad opera di giudici differenti, uno dei quali è certamente incompetente, integra un “conflitto positivo proprio” risolubile mediante l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni degli art. 28 e segg. In simil casi, il criterio di risoluzione della litispendenza deve essere costitui dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni del codice che regolano la competenza, che devono sempre prevalere sui parametri empirici della progressione o della maggiore ampiezza della regiudicanda, il cui impiego può considerarsi consentito a condizione che la concentrazione dei procedimenti si realizzi dinanzi al giudice “precostituito per legge” in base alle norme sulla competenza» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 3.2). Ed hanno aggiunto: «l’operatività del principio generale del ne bis in idem presuppone proprio la pluralità di procedimenti ed è subordinata alle sole condizioni della perfetta coincidenza della regiudicanda (stesso imputato e medesimo fatto), dell’identità dell’ufficio del pubblico ministero che ha esercitato l’azione penale e dell’identità dell’ufficio de giudice chiamato a pronunciare una decisione rispetto alla quale, avendo già provveduto sul medesimo oggetto, ha definitivamente esaurito il suo compito» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 5.2). Sembra utile rappresentare, inoltre, che, nel caso di procedimenti pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, l’applicazione del principio del ne bis in idem e non RAGIONE_SOCIALE disposizioni sui conflitti positivi di competenza finirebbe per infrangere il complesso sistema procedurale apprestato dal legislatore per la salvaguardia degli ambiti di giurisdizione riconosciuti a ciascun giudice, sostituendolo arbitrariamente con quello della priorità della procedura (cfr. Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In applicazione del principio precedentemente indicato, risulta evidente che, nel caso di specie, non è in alcun modo ipotizzabile l’applicazione del divieto di bis in idem, atteso che il procedimento asseritamente relativo ai medesimi fatti e nei confronti della stata persona è pendente in una sede giudiziaria, Torino, ben distinta da quella in cui è radicato il presente procedimento, Caltanissetta.
Per nessuno di essi, inoltre, si è pervenuti a una sentenza irrevocabile.
Di conseguenza, allo stato, in considerazione di quanto esposto in precedenza, i ricorrenti, per contestare l’asserita indebita duplicazione dei procedimenti, sono ammessi a fruire dei rimedi previsti per i conflitti di competenza, ma non possono certo invocare una pronuncia di non luogo a procedere per violazione del principio del ne bis in idem. Di qui l’infondatezza manifesta della doglianza difensiva.
1.1. Una diversa conclusione si impone invece rispetto al primo motivo.
Circa la riqualificazione del fatto operata dal Tribunale del Riesame rispetto al delitto di truffa ai danni dello Stato, sussunto nella diversa fattispecie di indeb compensazione, se deve ribadirsi il consolidato principio (cfr. Sez. 2, n. 9948 del 23/01/2020, Rv. 279211 – 02 e Sez. 5, n. 7468 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258983), secondo cui i giudici del riesame, al pari del giudice della cautela, ben possono attribuire alla condotta una differente definizione giuridica, e ciò anche in ragione dell’inevitabile fluidità che connota le provvisorie imputazioni della fase cautelare, deve tuttavia richiamarsi l’altrettanto condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 16020 del 13/03/2019, Rv. 275602 e Sez. 6, n. 18767 del 18/02/2014, Rv. 259679), secondo cui, pur nel suo legittimo potere di riqualificazione giuridica del fatto, il Tribunale del Riesame non può però formulare autonome ipotesi ricostruttive sulla base di dati di fatto diversi, risultan altrimenti nulla la decisione per difetto dell’iniziativa del pubblico ministero.
Ciò posto, deve evidenziarsi che, nel caso di specie, in base alle allegazioni disponibili, risulta che, a fronte dell’originaria imputazione, calibrata sul model della truffa ai danni dello Stato, il Tribunale, al pari del G.I.P., ha rite configurabile il delitto di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, in base alla ritenuta specialità di tale fattispecie rispetto a quella ex art. 640 cod. pen.
Orbene, tale riqualificazione, di per sé legittima, avuto riguardo alla rimarcata specialità della condotta sanzionata in ambito penal-tributario, ha lasciato tuttavia aperte talune questioni non secondarie circa la sfera applicativa del reato di indebita compensazione, che presenta una sua peculiare e differente struttura.
In particolare, non risultano ben chiare le date e i luoghi di presentazione dei modelli F24, su cui si incentra il meccanismo illecito sotteso alla previsione ex art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, richiamando il precetto penale la norma di cui all’art. 17 del d. Igs. n. 241 del 1997 che disciplina appunto le modalità operative RAGIONE_SOCIALE compensazioni. A ciò deve poi aggiungersi che non risulta
adeguatamente approfondito il tema del superamento o meno della soglia di punibilità del reato, non comprendendosi se le cifre riportate nell’ordinanza impugnata siano riferite all’ammontare dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione dalle società che figuravano come appaltatrici di servizi, o piuttosto all’importo dei risparmi di spesa derivanti dall’evasione fiscale e contributiva realizzata dalle società committenti.
La questione merita invece di essere chiarita compiutamente, alla luce innanzitutto del principio elaborato da questa Corte (cfr. 3, n. 34966 del 16/10/2020, Rv. 280428 e Sez. 3, n. 14763 del 19/02/2020, Rv. 279119), secondo cui, in tema di reati tributari, la soglia di rilevanza penale di cui all’art. 10 quater, del d. Igs. n. 74 del 2000, pari a cinquantamila euro annui, va riferita all’ammontare dei crediti non spettanti utilizzati per le compensazioni indebite, e non alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non versate, con la conseguenza che, per accertare il superamento della soglia, occorre procedere alla somma algebrica degli importi dei crediti inesistenti o non spettanti portati in compensazione. Allo stesso modo, occorre richiamare l’orientamento, condiviso dal Collegio, in forza del quale il reato di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater riguarda l’omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti, sia tributari che di altra natura, per il c pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario (cfr. Sez. 3, n. 552 del 01/12/2022, dep. 2023, Rv. 283920, nonché Sez. 3, n. 23083 del 22/02/2022, Rv. 283236), per cui va ribadito che, ai fini del superamento della soglia di punibilità, rilevano non solo gli omessi versamenti dovuti a titolo d imposta, ma anche gli omessi versamenti dovuti ad oneri contributivi.
1.2. Sulla delimitazione della condotta dal punto di vista contenutistico e spazio-temporale e sulla verifica della soglia di punibilità, l’ordinanza impugnata ha mancato di fornire risposte adeguate, per cui il provvedimento oggetto di ricorso deve essere annullato con rinvio nei confronti di COGNOME e della COGNOME, dovendo il Tribunale del Riesame verificare se e in che termini, alla luce RAGIONE_SOCIALE acquisizioni investigative disponibili e già note alla difesa, nonché degli elementi essenziali desumibili dalle contestazioni provvisorie, sia configurabile il ravvisato reato di indebita compensazione, reato di cui andranno pertanto illustrate le coordinate spazio-temporali e le modalità della relativa condotta, dovendo altresì essere accertato il superamento o meno della soglia di punibilità, alla luce RAGIONE_SOCIALE premesse interpretative sopra richiamate.
Manifestamente infondato è invece il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. In ordine al primo motivo, avente ad oggetto l’asserita violazione del principio del ne bis in idem, è sufficiente richiamare le considerazioni circa la manifesta infondatezza RAGIONE_SOCIALE doglianze già esposte nel § 1, dedicato alla medesima questione sollevata in termini sovrapponibili dai ricorrenti Burdò e COGNOME.
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con il principio elaborato da questa Corte (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Rv. 260992), secondo cui il luogo dell’accertamento nei reati tributari va individuato nella sede dell’Ufficio in cui è stata compiuta un’effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e RAGIONE_SOCIALE informazioni da sottoporre a verifica. Ne consegue che la censura difensiva si palesa come manifestamente infondata.
Il ricorso della COGNOME deve pertanto essere ritenuto inammissibile.
Residuano i ricorsi di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE
3.1. Non meritevoli di accoglimento sono innanzitutto le doglianze in ordine al fumus commisi delicti e al mancato superamento della soglia di punibilità.
Sul punto, in via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
3.2. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, non sia configurabile, avuto riguardo alla posizione di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, né una violazione di legge, n un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione.
In particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, società committente, abbia concorso nelle compensazioni di crediti inesistenti materialmente effettuate dal RAGIONE_SOCIALE, composto dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di appaltatore per il pagamento degli oneri previdenziali e fisca relativi ai lavoratori formalmente assunti dal RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà in servizio presso la Sti. A fondamento di questa conclusione, il Tribunale ha richiamato gli accertamenti investigativi da cui è emersa l’esistenza di una fitta rete di ent variamente dislocati sul territorio nazionale che, assumendo la veste formale di soggetto appaltatore, simulavano contratti di appalto di servizi con i rappresentanti di alcune imprese committenti locali al fine di dissimulare una
fraudolenta somministrazione di lavoratori dalla società appaltatrice a q committente, di modo che le imprese locali, gestendo il personale senza assume la veste formale di datori di lavoro, realizzavano un ingiusto arricchim omettendo di assolvere all’obbligo di versamento dei contributi all’RAGIONE_SOCIALE e imposte relative ai rapporti di lavoro, mentre le imprese appaltatrici, quali f datori di lavoro, pur assumendo il debito fiscale, previdenziale e contrib eludevano l’effettivo versamento dei relativi importi, opponendo crediti f all’RAGIONE_SOCIALE e all’RAGIONE_SOCIALE. I coindagati COGNOME, COGNOMECOGNOME COGNOMECOGNOME COGNOME, grazie alla intermediazione di NOME COGNOME e del consulente del l NOME COGNOME, sono entrati in particolare in contatto con NOME COGNOMECOGNOME le rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, società committente, in ultimo beneficiar compensazioni indebite direttamente realizzate dalle società appaltatrici.
Nel calcolare la somma algebrica degli importi RAGIONE_SOCIALE indebite compensazioni giudici cautelari hanno ritenuto superata la soglia di punibilità del reat all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, essendo la relativa somma pari 75.025,61 euro, apparendo la valutazione del Tribunale coerente con il princi affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 20718 del 21/01/2022, Rv. 28334 secondo cui, in tema di indebita compensazione, la valutazione del “quantum” dei crediti non spettanti o inesistenti, necessaria ai fini della verifica del sup della soglia legale di punibilità, deve essere unitaria e complessiva, non e consentita la suddivisione della soglia per ogni singola imposta.
In ogni caso, le censure difensive sul punto risultano non adeguatame specifiche, oltre che connotate da palesi limiti di autosufficienza, stante la allegazione degli elementi di prova indicati a supporto RAGIONE_SOCIALE proprie deduzioni cui la riqualificazione giuridica del fatto operata dal G.I.P. prima e dal Tr poi non può allo stato ritenersi lesiva RAGIONE_SOCIALE prerogative difensive, e ciò a ragione della fluidità che spesso connota le imputazioni della fase cautelare.
Con riferimento alla posizione soggettiva di COGNOME, l’ordinanza impugnata sottolineato che in capo ailiostessb era ravvisabile il dolo richiesto ai f configurabilità del reato, ciò in ragione del fatto che il meccanismo dell’opposi al Fisco di crediti inesistenti rappresentava uno stratagemma essenziale p riuscita della frode, atteso che chi agiva in nome e per conto della s committente non poteva accontentarsi del solo trasferimento ai coindagati rappresentavano le società appaltatrici dei loro debiti fiscali, ma d pretendere necessariamente che questi ultimi provvedessero, sia p fittiziamente, ad assolvere al pagamento del debito medesimo, non potendo quind disinteressarsi RAGIONE_SOCIALE modalità attraverso le quali ciò sarebbe accaduto, rien dunque evidentemente la compensazione del debito fiscale nell’accordo criminoso
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In tal senso, è stato altresì ricordato il meccanismo della responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nel caso di appalto di servizi, per il trattamento retributivo per i contributi previdenziali e per i premi assicurativi dovuti dall’appaltatore e d eventuali subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto di servizi, ed entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto, da ciò ricavandosi che l’impresa beneficiaria, perché potesse effettivamente liberarsi del debito tributario, non doveva limitarsi a trasferirlo sul terzo appaltatore, ma doveva assicurarsi che quest’ultimo riuscisse a simularne il pagamento, incorrendo in caso contrario nell’azione di recupero dello Stato, che avrebbe potuto agire anche nei confronti del soggetto committente.
3.3. Orbene, rimarcato il differente standard valutativo richiesto ai fini dell’adozione RAGIONE_SOCIALE misure personali e di quelle reali, deve osservarsi che il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, in quanto fondato su una disamina non manifestamente illogica RAGIONE_SOCIALE fonti investigative disponibili, non presta il fianco alle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa circa i concreto ruolo assunto nella vicenda da RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE ben potranno essere eventualmente approfondite anche a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che, per quanto in questa sede rileva, il provvedimento impugnato risulta sorretto da un corpus argomentativo non definibile come apparente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è già anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
3.4. Parimenti immune da censure è la valutazione sulla sussistenza del periculum in mora.
Deve innanzitutto ribadirsi al riguardo che i giudici cautelari hanno correttamente individuato l’importo da sequestrare in 75.025,61 euro, somma corrispondente al risparmio di spesa conseguito in virtù del mancato pagamento dell’obbligazione tributaria derivante dall’indebita compensazione di cui al capo 23, avente ad oggetto tale importo. Tale impostazione è coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 03), secondo cui, in tema di indebita compensazione di crediti di imposta, il profitto del reato di cu all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, che può essere oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è costituito dall’importo corrispondente all’imposta evasa nella sua totalità, dovendosi a ciò aggiungere che il Tribunale, nell’individuare l’ordine con cui procedere all’apprensione dei beni, ha
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altresì fatto buon governo del principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258647, Gubert), ribadito dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, Rv. 272238, Sez. 3, n. 43816 del 01/12/2016, dep. 2017, Rv. 271254 e Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 2015, Rv. 262770), secondo cui, in tema di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimonial della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del re nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Ciò premesso, l’ordinanza impugnata, nel richiamare e nell’applicare correttamente i dettami RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848, ricorrente Ellade) in ordine all’onere di motivare, in caso di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. finalizzato alla confisca, le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ha valorizzato, in modo non improprio, il concreto rischio che i legali rappresentanti RAGIONE_SOCIALE società coinvolte nell indebite compensazioni possano far disperdere le somme conseguite tramite manovre fraudolenti, rendendo così impraticabile una successiva confisca, dovendosi tenere conto in tal senso RAGIONE_SOCIALE modalità elusive con cui sono stati commessi i reati, peraltro in un ambito territoriale non circoscritto, risultando fronte di tale rilievo recessivo il fattore temporale valorizzato nel ricorso.
Anche in tal caso, invero, le doglianze difensive sostanzialmente evocano vizi motivazionali del provvedimento impugnato che, come si è precisato, esulano dal perimetro del giudizio di legittimità in materia cautelare reale, per cui deve concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso di COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE
3.5. Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni sin qui svolte, i ricorsi propost nell’interesse di NOME COGNOME, di NOME COGNOME devono essere dichiarati pertanto inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i . ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascuno dei predetti ricorrenti versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME e rinv per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi ,dell’art comma 5, cod. proc. pen. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME e RAGIONE_SOCIALE, che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese process e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 15.07.2024