Indebita Compensazione: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’ordinanza in esame offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per cassazione in materia di reati tributari, in particolare per il delitto di indebita compensazione. La Suprema Corte ha ribadito principi consolidati riguardo alla responsabilità del legale rappresentante e ai criteri per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, confermando la condanna emessa nei gradi di merito.
I Fatti del Caso: La Condanna per Indebita Compensazione
Il caso riguarda un’imputata, legale rappresentante di una società, condannata sia in primo grado dal Tribunale che in secondo grado dalla Corte di Appello per il reato previsto dall’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era quella di aver effettuato una compensazione di debiti fiscali con crediti inesistenti, portando a un’evasione d’imposta per un importo di 74.185,00 euro. La pena inflitta era stata di un anno e quattro mesi di reclusione.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputata ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due principali motivi di doglianza:
1. Carenza dell’elemento psicologico: La difesa sosteneva che non fosse stata provata la sua consapevolezza e volontà di commettere il reato, contestando l’affermazione della sua responsabilità penale.
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: Si richiedeva il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis del codice penale, in considerazione di una presunta lieve entità del danno.
Le motivazioni della Corte di Cassazione sull’indebita compensazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure. I giudici hanno sottolineato che il ricorso non presentava argomenti nuovi, ma si limitava a riproporre le medesime questioni già esaminate e respinte dalla Corte di Appello. Questo tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove è precluso in sede di legittimità, dove la Corte può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge e non riesaminare i fatti.
Nel merito, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello del tutto logica e congrua. La responsabilità dell’imputata derivava in modo chiaro dalla sua posizione di legale rappresentante della società al momento dei fatti. Non era emerso, né era stato dedotto, alcun elemento che potesse far pensare a un ruolo puramente formale, privo di poteri gestionali effettivi.
Anche riguardo al secondo motivo, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non applicare l’art. 131-bis c.p. La motivazione si fonda su due elementi cruciali:
* L’entità dell’imposta evasa: Un importo di 74.185,00 euro è stato considerato tutt’altro che esiguo.
* La presenza di un precedente specifico: L’esistenza di un precedente penale per un reato della stessa indole ha costituito un ulteriore ostacolo all’applicazione del beneficio.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni: Limiti al Giudizio di Legittimità e Responsabilità del Legale Rappresentante
Questa pronuncia rafforza alcuni principi fondamentali del diritto penale tributario e processuale. In primo luogo, evidenzia come il ricorso per cassazione non possa trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. In secondo luogo, ribadisce la presunzione di responsabilità gestionale che grava sul legale rappresentante di una società, a meno che non venga fornita prova contraria. Infine, conferma che l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto richiede una valutazione complessiva che tiene conto non solo delle modalità della condotta, ma anche dell’entità del danno e della personalità dell’imputato, come desumibile dai precedenti penali.
Quando il legale rappresentante di una società è responsabile per il reato di indebita compensazione?
Secondo la sentenza, il legale rappresentante è ritenuto responsabile quando riveste tale carica al momento della commissione del reato, a meno che non venga dimostrato che la sua posizione era puramente formale e non corrispondeva a una gestione sostanziale dell’ente.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte di Appello, tendendo a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività che non è consentita alla Corte di Cassazione in sede di legittimità.
L’istituto della “particolare tenuità del fatto” può essere applicato a un’evasione fiscale di oltre 74.000 euro?
No, in questo caso la Corte ha ritenuto corretta la decisione di non applicare la causa di non punibilità, considerando l’entità rilevante dell’imposta evasa (74.185,00 euro) e la presenza di un precedente penale specifico a carico dell’imputata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36803 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36803 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONTESARCHIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che con sentenza del 22/11/2023 la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa il 22/11/2022 dal locale Tribunale, con la qual NOME era stata giudicata colpevole del delitto di cui all’art. 10-quater, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, e condannata alla pena di un anno e quattro mesi reclusione.
Rilevato che propone ricorso per cassazione l’imputata, contestand l’affermazione di responsabilità quanto al profilo psicologico della condo ancora, è censurato il mancato riconoscimento della causa di esclusione de punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché – riproponendo medesime censure avanzate alla Corte di appello – tende ad ottenere in ques sede una nuova e non consentita lettura delle stesse emergenze istruttorie esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e favorevole invero preclusa alla Corte di legittimità.
La doglianza, inoltre, trascura che il Collegio del gravame – pronunciando proprio sulle questioni qui riprodotte – ha steso una motivazione del tutto con fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; c tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha evidenziato responsabilità della NOME – pacifico il reato nella sua obiettività – deriv fatto che, al momento della compensazione contestata e dell’accertamento, stessa rivestiva la carica di legale rappresentante della società, e non era – né era stato dedotto – alcun elemento dal quale desumere che tale posizi formale non corrispondesse ad una gestione sostanziale dello stesso ente.
Rilevato che la motivazione della pronuncia risulta immune da vizi anche quanto al secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento del causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte di ap pronunciandosi sul punto, ha infatti sottolineato, per un verso, l’assoluta gen degli argomenti proposti al riguardo, e, per altro verso, l’entità dell’impost (74.185,00 euro) e la presenza di un precedente specifico.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 13 settembre 2024
Iyònsigliere estensore
Il Presidente