Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 29949 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 29949 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/08/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Varrapodi il 14/03/1953
avverso la sentenza del 22/01/2025 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, previa dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME, in ordine al reato di cui all’art. 10 quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, capo 1), perché estinto per prescrizione, ha rideterminato la pena al medesimo inflitta, in anni uno e mesi nove di reclusione, in ordine ai reati di cui all’art. 10- quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, di cui ai ca 2) e 3), ed ha ridotta la confisca per equivalente disposta nei suoi confronti in C 416.450,00.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla impugnazione degli atti di recupero ed alle produzioni documentali. In sintesi, la difesa censura la carenza di motivazione in relazione alla mancata acquisizione dei modelli F24, ritenuta dalla corte territoriale, e alla irregolarità delle notificazioni in ambito amministrativo all’imputato degli atti accertamento e alla illegittimità nella redazione degli atti di recupero. Gli unic elementi di prova sarebbero costituiti dalle deposizioni testimoniali dei funzionari dell’Agenzia delle entrate ritenute evanescenti, senza un preciso riscontro probatorio in relazione ai capi 1, 2 e 3 di imputazione. L’imputato sarebbe stato condannato sulla base di mere presunzioni veicolate nel processo dai funzionari dell’Agenzia delle entrate che non avrebbero competenze in materia giudiziaria. La motivazione della corte territoriale sarebbe “sconcertante ed illegittima” in un contesto nel quale le notificazioni sarebbero avvenute all’indirizzo societario dopo che l’imputato aveva cessato dalla carica sociale.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato in ragione del fatto che l’imputato era un muratore che non si era occupato della gestione sociale demandando tutto al professionista delegato dott. COGNOME NOME.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’erronea interpretazione della legge penale. Argomenta il ricorrente che la corte territoriale avrebbe aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il reato di compensazione indebita sussiste sia nel caso di compensazione verticale che orizzontale, indirizzo interpretativo ancora dibattuto nella giurisprudenza. Infine, avrebbero ritenuto sussistente la compensazione orizzontale per presunte compensazioni IMU, imposte inesistenti stante l’assenza di beni immobili in capo alla società RAGIONE_SOCIALE
2.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 10 quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, art. 157 e ss. cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente il reato di indebita compensazione di cui al capo 2) si sarebbe prescritto in data anteriore alla sentenza di appello in quanto la corte territoriale avrebbe spostato in avanti il momento consumativo, indicato nel capo 2) al febbraio 2017, data nella quale era stato presentato il Mod. F24 con cui si superava la soglia di punibilità, al 24 maggio 2017, momento nel quale vi era stata l’ultima del Mod. F24, con il quale sono state effettuate le indebite compensazioni,
Consegue che, nel caso in esame, la soglia di punibilità era già stata superata, con la compensazione eseguita nel febbraio 2017, conseguentemente il reato di cui al capo 2) si era prescritto in data anteriore alla sentenza di appello.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile con riguardo al capo 1, per il quale è intervenuta la declaratoria di prescrizione del reato, in quanto il ricorrente non deduce l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato a mente del dictum delle Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01) secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Risolvendosi nella deduzione di un motivo generico, esso è inammissibile per difetto di specificità.
Nel resto, con riguardo ai capi 2 e 3, il ricorso è inammissibile in quanto il difensore ricorrente si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata.
È ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intes come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione.
La corte territoriale, dopo avere richiamato per relationem la motivazione della sentenza di primo grado che, sulla scorta dagli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Bergamo, esitati negli atti di recupero n. T9CRBI00066/2018, n. T9FCR2019B300189 del 20.12.2019 e n. T9FCR202BI00003 del 27.1.2020, nei confronti di NOME COGNOME quale rappresentante legale pro tempore della ” RAGIONE_SOCIALE, e delle
dichiarazioni testimoniali dei funzionari dell’Agenzia delle entrate che, esaminando i modelli di pagamento unificato F24, acquisiti a sistema, avevano rilevato che la RAGIONE_SOCIALE allo scopo di estinguere le proprie obbligazioni tributarie e previdenziali, aveva utilizzato in compensazione dei crediti IRAP e IVA relativi agli anni 2014,2015,2016, 2017, successivamente risultati inesistenti, ha disatteso le censure difensive, ora nuovamente riproposte senza sostanziale elemento di novità, evidenziando che: quanto alla mancata acquisizione dei modelli F24, la deduzione difensiva era smentita dalla produzione del Pubblico Ministero che aveva anche prodotto gli atti di recupero non ‘opposti’, inoltrati negli anni 2018, 2019 e 2020, mentre del tutto priva di pregio era la deduzione di possibile ‘non autenticità’ degli F24 formulata dal gravame.
In ogni caso deve rammentarsi, in diritto, che il delitto di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, pur esigendo, sul piano materiale, l’utilizzo del modello F24, quale strumento tipico di estinzione dell’obbligazione tributaria, con indicazione del credito inesistente o non spettante portato in compensazione, non richiede, ai fini probatori, la produzione in giudizio dell’anzidetto in concreto utilizzato per il pagamento dell’imposta dovuta, potendo la prova essere fornita in qualunque altro modo (Sez. 3, n. 24254 del 14/02/2024 COGNOME, Rv. 286560 – 01).
Quanto alle ulteriori censure, rilevavano, i giudici territoriali, che gli amministrativi erano stati notificati alla sede della società, che il ricorrente no aveva contestato alcunchè in sede amministrativa tributaria, che, pur avendo ricevuto a mani proprie le notificazioni degli atti del processo penale, essendo rimasto assente nel processo, non aveva contestato il contenuto degli atti amministrativi e le accuse da questi promanate; che, quanto alla natura dei debiti compensati, dalla deposizione resa dalla teste COGNOME, relativa ai fatti di cui ai capi 1) e 2), risultava che trattavasi di debiti IMU e contributi INPS, che l’affermazione del difensore, intesa ad escludere il debito IMU, secondo cui la società non era stata intestataria di immobili, era rimasta del tutto assertiva in un contesto nel quale la società aveva ad oggetto proprio attività di “costruzione di edifici residenziali e non residenziali”.
Il secondo motivo di ricorso non si sottrae alla medesima conclusione essendo inammissibili per manifesta infondatezza.
L’imputato è stato ritenuto responsabile del reato in quanto legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE e, dunque, amministratore di diritto della società, essendo del tutto irrilevante la dedotta l’affermazione secondo cui il ricorrente era un soggetto inesperto (muratore), derivando gli obblighi in materia tributaria dall’assunzione formale della carica. Né rileva, per escludere la responsabilità l’eventuale affidamento ad un professionista, che, quanto al caso in
esame, era rimasto privo di dimostrazione in un contesto nel quale, argomentano i giudici del merito, che, comunque, era rimasto del tutto indimostrato che le scelte gestionali, peraltro illecite, fossero a costui riferibili.
6. Il terzo motivo di ricorso risulta contrario all’orientamento che si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, è configurabile sia nel caso di compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa (Sez. 6, n. 37085 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 281958 – 01).
Superando l’isolato precedente di Sez. 1, n. 38042 del 10/05/2019, Rv. 278825 – 01, la giurisprudenza di legittimità ha, con indirizzo ermeneutico che può dirsi consolidato, precisato che l’essenza della condotta non è rappresentata dall’utilizzo o meno del modello F24, dall’omogeneità o eterogeneità delle imposte compensate o dal rispetto del limite temporale della detraibilità del credito, ma dal ricorso a un istituto, la compensazione che costituisce un modo di estinzione dell’obbligazione, applicato nonostante l’assenza di un valido titolo, per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell’operazione realizzata.
Ed ancora si è chiarito che il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, i combinato disposto con l’art. 17 del d.lgs. 241 del 1997, si configura sia in caso di c.d. compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, sia in caso di c.d. compensazione verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, in quanto si concretizza in una condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione fondata su un credito inesistente o non spettante (Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 279118 – 01; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, COGNOME, Rv. 275833; Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018, COGNOME, Rv. 275015; Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010, COGNOME e altri, Rv. 248754).
Ed è proprio l’avere incentrato la rilevanza della condotta decettiva, che si realizza con la redazione di un documento (il modello F24) ideologicamente falso quanto alla inesistenza/non spettanza dei crediti usati per la compensazione con il debito (vero) che il contribuente ha l’obbligo di versare e il cui versamento è omesso proprio in ragione della condotta decettiva in parola, che smentisce la prospettazione difensiva in quanto contraria alla norma.
Come osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 6 dicembre 2017 (depositata il 21 febbraio 2018), il delitto di indebita
compensazione presenta un evidente tratto differenziale rispetto agli altri delitti in materia di omesso versamento delle imposte. La condotta di cui all’art. 10 quater cit. esprime una componente decettiva o di frode ossia un quid pluris che vale a differenziare il reato di cui all’art. 10 quater dalle fattispecie di mero omesso versamento cosicché il disvalore di azione consiste nella redazione di un «documento ideologicamente falso», mediante l’abusivo utilizzo dell’istituto della compensazione in materia tributaria disciplinato dall’art. 17 del d.lgs. 241/1997. Con questo istituto – che, per sua natura, implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento – si consente al contribuente di effettuare tramite la compilazione di un apposito modello, denominato “Modello F24”, il versamento unitario delle imposte e, contestualmente, di compensare le somme a debito con quelle a credito relative a tali imposte. L’eventuale indebita compensazione non è, però, immediatamente percepibile dall’amministrazione finanziaria, perché emerge soltanto qualora gli organi accertatori appurino l’insussistenza o la non spettanza del credito portato in compensazione, circostanza che rende la condotta descritta dall’art. 10 quater del d.lgs. 74/2000 dotata di particolare potenzialità decettiva.
Conseguentemente si è chiarito che il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, COGNOME, Rv. 274854 – 01).
Ne consegue che il superamento della soglia per una specifica annualità, proprio in ragione della natura decettiva del reato, che si consuma con il mancato versamento dell’imposta per effetto della predisposizione di un documento falso (il modello F24) perché indica crediti inesistenti/non spettanti in compensazione, dovrà essere calcolato sommando l’ammontare dei crediti inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione, non rilevando l’anno dei tributi compensati indicati nel modello F24 che proprio con la condotta decettiva consistita nella formazione di un documento falso (il modello F24) non viene versato. Ciò che rileva è l’utilizzo del modello F24, con cui si opera la compensazione, che produce l’effetto dell’omesso versamento dell’imposta, anche se sorta in periodi antecedenti e che è comunque dovuta e non viene versata per effetto dell’indebita compensazione operata tramite il modello F24.
Dunque, quello che rileva è l’ammontare di crediti inesistenti/non spettanti indicati nel relativo modello che, per effetto dell’indebita compensazione, producono l’effetto del mancato versamento delle imposte dovute e nel modello
indicate. Ammontare dei crediti che concorre alla determinazione della soglia di punibilità.
Il quarto motivo di ricorso con cui eccepisce la prescrizione del reato di cui al capo 2 è manifestamente infondato.
Il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato, e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condott decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (Sez. 3 n. 23027 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279755 – 01; Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, COGNOME, Rv. 274854 – 01; Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, COGNOME, Rv. 263051 – 01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha correttamente individuato il momento consumativo del reato al 24 maggio 2017, data di utilizzo dell’ultimo mod. F24, sicchè tenuto conto della sospensione dei termini di prescrizione per 78 giorni, il reato di cui al capo 2 si era prescritto il 10 febbraio 2025, dopo la sentenza impugnata. Ora il ricorrente contesta lo slittamento della data di consumazione del reato rispetto a quella indicata nel capo di imputazione al febbraio 2017 argomentando che il giudice non potrebbe modificare il momento consumativo del fatto rimodulando l’imputazione. In altri termini, la difesa contesta l’indebit mutazione del fatto contestato.
La censura appare manifestamente infondata in quanto il giudice ben può indicare una diversa (e giuridicamente corretta alla luce dell’indirizzhinterpretativo sopra richiamato) data di consumazione del fatto, risultante dagli atti, in un contesto nel quale il ricorrente, nel contestare la possibilità di mutamento del fatto di reato, non allega alcun pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa.
Va rammentato che, per costante indirizzo interpretativo, la violazione dell’art. 521 cod.proc.pen. postula l’allegazione un reale pregiudizio dei diritti dell difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la dedotta violazione postula l’allegazione di un pregiudizio del tutto omesso ed è comunque del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione proponendo il ricorso per cassazione.
L’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilit
a norma dell’art. 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, COGNOME
Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641
del 20/01/2004, COGNOME) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n.
15599 del 19/11/2014, COGNOME, Rv. 263119).
9. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 26/08/2025